sono promossi dall'Assessore al Commercio MARCO COLORETTI
e patrocinata dal Comune di Paderno Dugnano
con l'intento di promuovere la CULTURA e la RISTORAZIONE LOCALE
Circolo Culturale di Paderno Dugnano
Il gruppo NewPrinces, neoproprietario della catena di
supermercati, da quando ha ricevuto il via libera dall’Unione Europea per l’acquisto
di Carrefour Italia, e guidato da Angelo Mastrolìa ha già inviato una lettera
ai fornitori dei supermercati che nel giro di tre anni torneranno a esporre la
storica insegna Gs.
La missiva chiede ai fornitori di presentare entro il 15
dicembre – cioè, nel giro di due settimane -le «proposte
commerciali per il 2026, includendo i nuovi prezzi coerenti con lo scenario
attuale».
La richiesta di prezzi più bassi con il «prezzo netto
pulito»
La prima richiesta di NewPrinces ai fornitori è quella di
abbassare i costi delle merci che finiranno sugli scaffali, tenendo conto
della discesa dei prezzi negli ultimi mesi.
«In un contesto di forte deflazione, riteniamo
fondamentale lavorare insieme per mantenere competitività e costruire nuove
opportunità di crescita - si legge nella lettera - per questo motivo sarà
necessario aggiornare le condizioni economiche sin da subito, così da poter
potenziare la collaborazione e generare ulteriori volumi».
La comunicazione di NewPrinces si segnala però anche per
un’altra novità che ha destato sorpresa fra alcuni fornitori, se non
altro per la rapidità della svolta e, quindi, dell’adattamento richiesto alle
aziende produttrici di beni di largo consumo.
«Per rendere i processi più semplici, trasparenti ed
efficaci per entrambe le parti, a partire dal 1° gennaio 2026 adotteremo un
sistema di fatturazione net-net», spiega il gruppo.
Fuori dal gergo della grande distribuzione, ciò significa
che la nuova gestione di Carrefour intende adottare la politica del
«prezzo netto-netto», in base alla quale la catena di supermercati chiederà di
concordare con i fornitori un prezzo iniziale «fisso» sul quale applicherà,
oltre l’Iva, un ricarico, per arrivare al prezzo finale per i consumatori.
Questo sistema semplifica molto la gestione dei contratti
per l’operatore della GDO (Grande Distribuzione Organizzata), ma limita
molto la possibilità di fare sconti e campagne promozionali durante l’anno.
Vantaggi e svantaggi del “prezzo netto pulito”
Si tratta di una strategia già adottata da diverse catene
inglesi e dai discount, ma che si distingue da quella generalmente utilizzata
dai supermercati italiani.
Di norma, infatti, le catene della grande distribuzione
concordano con i fornitori prezzi base per i loro prodotti (i cosiddetti
listini), stabilendo però una serie di clausole contrattuali legate
alla performance di attività che verranno svolte nel corso dell’anno, come la
quantità di attività promozionali, il raggiungimento di target di volumi,
sconti logistici, sconti finanziari, premi di fine anno e via dicendo.
In questo modo, il margine effettivo dell’operatore della
GDO e del fornitore sarà determinato solo alla fine dell’anno.
Con l’acquisizione di Carrefour Italia, il gruppo italiano NewPrinces diventa quindi il secondo gruppo italiano dell’agroalimentare per fatturato: accordo che supera il miliardo di euro e interessa mille punti vendita. E in tre anni tornerà in Italia lo storico marchio Gs, voluto da Angelo Mastrolia, proprietario e presidente esecutivo di NewPrinces.
Il gruppo, in fase di espansione, ha in pancia più di
30 marchi alimentari, tra cui Delverde, Plasmon e Centrale
del Latte.
Conta 13 mila dipendenti in Italia, più di 18 mila nel
mondo, e prevede di chiudere l’esercizio del 2025 con un utile netto
superiore ai 700 milioni di euro.
Spiega Mastrolia in una nota: «Con l’ingresso di Carrefour
Italia, NewPrinces Group raggiunge una dimensione senza precedenti, con
ricavi consolidati pari a circa 7 miliardi di euro e un profilo patrimoniale
che, entro fine anno, prevediamo superiore a 1,1 miliardi».
Il marchio storico Gs
La scelta del marchio Gs è di fatto un ritorno alle origini.
Gs, sigla che sta per Generale Supermercati, è la celebre catena
lanciata negli anni Sessanta da Marco Brunelli e Guido
Caprotti a Roma e diventata un punto di riferimento per gli
italiani.
Tra il 1966 e il 1975 passò alla Sme, che riuniva
le attività agro-alimentari controllate dall’Iri, fino ad entrare nel
1995 nella Schemaventuno delle famiglie Benetton e Del
Vecchio.
Solo nel 2000 venne venduta alla francese Carrefour per
5 mila miliardi di lire.
Cosa cambia per i lavoratori
In attesa del rilancio del marchio che richiederà tempo, le insegne Carrefour
saranno mantenute per un periodo massimo di tre anni.
Resta ancora da sciogliere il nodo dell’occupazione con i
sindacati preoccupati per possibili riduzioni del personale.
In Italia Carrefour impiega ad oggi circa 24 mila
lavoratrici e lavoratori.
Dopo l’incontro del 30 luglio scorso al ministero
delle Imprese e del Made in Italy, Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs
hanno a più riprese sollecitato la ripresa del confronto con la direzione
aziendale francese e con la nuova proprietà.
Obiettivo: conoscere i contenuti del piano di
rilancio per garantire il mantenimento dei livelli occupazionali, la continuità
delle attività e la corretta applicazione delle normative contrattuali.
Mastrolia ha dichiarato: «Nessuna cassa integrazione, ma un
rilancio con il marchio Gs. E a breve il progetto per la quotazione alla Borsa
di Londra» e intende rilanciare gli oltre mille supermercati italiani di
Carrefour, con un investimento di 200 milioni destinati a iniziative di
sviluppo, innovazione logistica e rinnovamento dell’offerta.
Mentre sui mercati aziende come Nestlé riducono in modo
massiccio gli organici, Mastrolia sembra rilanciare. «La scelta è stata
fatta grazie al nostro supporto perché prima di prendere qualunque decisione
vogliamo capire le competenze di ogni lavoratore — dice Mastrolia —.
Poi presenteremo il piano, a inizio 2026: un progetto di rilancio con il
marchio storico GS».
La rete vede 385 negozi in franchising e gli altri 642 di
proprietà. «Stiamo già esercitando l’opzione di acquisto della proprietà
immobiliare dei negozi — aggiunge l’imprenditore — che sotto le insegne di GS
sarà presidente esecutivo. «Non ci sarà un amministratore delegato —
aggiunge — l’80% del mio tempo sarà impiegato sul gruppo dei supermercati».
Storia diversa dalla vicenda Auchan dove la vendita del
gruppo francese, che abbandonato il mercato italiano della grande
distribuzione, era finita con uno spezzatino, poiché nessuno dei player
italiani voleva l’intero perimetro, e i concorrenti ambivano solo alla rete di
supermercati o a pezzi di essa, forse per motivi Antitrust o perché non
potevano farsi carico anche della sede».
Gli esami di screening oncologici per il tumore al seno sono fondamentali per la diagnosi precoce della neoplasia più diffusa nella popolazione femminile.
La diagnosi precoce è importante perché permette di intervenire contro la patologia quando questa è generalmente più curabile.
Lo screening per il tumore al seno comprende sostanzialmente tre esami strumentali:
La mammografia è l’indagine più importante, ma non è adatta a ogni età: fattori come la maggiore densità del seno tipica delle donne sotto i 40 anni potrebbero, infatti, influenzare i risultati.
Approfondiamo insieme, e analizziamo con maggiori dettagli gli esami di screening oncologici per il cancro del seno, le fasce di età coinvolte, quando iniziare il percorso di indagini e i benefici della diagnosi precoce.
Domande frequenti (FAQ)
Offerti gratuitamente dal Sistema Sanitario Nazionale, gli esami di screening oncologici sono indagini diagnostiche, effettuate su una popolazione considerata a rischio, per individuare tempestivamente i tumori ai loro esordi.
La diagnosi precoce può rivelarsi cruciale in ottica di prognosi, in quanto permette di attuare le terapie in una fase in cui le speranze di successo delle stesse sono maggiori.
Come riporta l’AIRC (la Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) sulla base dei dati AIRTUM, il tumore al seno è la neoplasia più frequente in Italia, la più diffusa tra le donne e la prima causa di morte per tumore sempre nella popolazione femminile. Colpisce 1 donna su 18 nel periodo di massima incidenza (tra i 50 e i 69 anni) e una 1 donna su 8 nel corso di tutta la vita.
Inoltre, in base al documento “I numeri del cancro in Italia 2024” di AIRTUM, l’Italia ha registrato, per il 2024, 53.065 nuove diagnosi di tumore al seno (primo posto per diagnosi di tumore) e, relativamente al 2022, 15.500 decessi.
Questi dati chiariscono perfettamente quanto sia importante la diagnosi precoce del tumore al seno: individuare una patologia potenzialmente mortale nelle sue prime fasi, quando è più curabile, aumenta infatti l’aspettativa di vita della paziente.
Le campagne di screening attuate nel nostro Paese ormai da diverso tempo e l’adesione della popolazione femminile stanno dando già qualche anno i loro frutti: in base ai dati riportati da Fondazione Veronesi, la comunità medica prevede tra il 2020 e il 2025 un calo della mortalità per tumore al seno del 9,8% per la fascia di età 50-69 anni (quella più critica) e del 12,4% per la fascia di età 70-79 anni.
Questo trend positivo è in linea con quanto osservato nel periodo 2006-2021, in cui si è assistito a un riduzione del tasso di mortalità per tumore alla mammella di un 16,2% (Fonte AIRTUM, “I numeri del cancro in Italia 2024”, citata poco sopra).
Per quanto riguarda l’impatto sul tasso di sopravvivenza, anche in questo caso i numeri sono decisamente dalla parte della diagnosi precoce: per i tumori al seno individuati allo stadio iniziale, il tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è del 98-99%, ovvero la quasi totalità, mentre per i tumori al seno scoperti a una stadio avanzato, scende a circa il 30% a 5 anni dalla diagnosi.
Prima di analizzare nel dettaglio quali sono gli esami di screening e le indicazioni specifiche per le varie fasce di età, è utile richiamare l’attenzione su quando cominciare a preoccuparsi del seno, per una prevenzione secondaria (quella della diagnosi precoce) efficace.
Le prime indagini dovrebbero iniziare a 25 anni, con l’autopalpazione, e proseguire con la mammografia, combinata all’ecografia al seno, a partire dai 40-50 anni.
Eventuali variazioni di questo iter schematico e meramente indicativo dipendono dalla maggiore predisposizione della paziente per il tumore al seno: per esempio, nelle donne ad alto rischio (per una storia familiare di carcinoma mammario, un tumore molto aggressivo del seno, o per la presenza di una predisposizione genetica), i controlli tramite ecografia e talvolta mammografia dovrebbero iniziare prima.
Gli esami di screening per il tumore al seno – come anticipato – sono essenzialmente tre:
La predisposizione familiare e quella genetica per il tumore al seno sono aspetti che il medico deve tenere in considerazione quando pianifica lo screening: la loro presenza, infatti, potrebbe anticipare i tempi dei controlli o comunque determinare delle variazioni.
È utile ricordare che:
L’ecografia al seno acquisisce importanza e rappresenta a tutti gli effetti un esame a scopo di screening nelle donne di età compresa tra i 25 e i 40 anni, con presenza di noduli sospetti (rilevati per esempio durante una visita senologica) o con una familiarità per il cancro del seno.
Questo significa anche che, in assenza di anomalie o storia familiare, al di sotto dei 40 anni, non ci sono motivi particolari per svolgere indagini di tipo ecografico.
Per le donne tra i 25 e i 40, l’ecografia al seno è da preferirsi alla mammografia, perché il seno è ancora troppo denso e, all’esame radiologico, rischierebbe di fornire immagini poco precise (come si vedrà successivamente, però, ci sono delle eccezioni).
Dai 40 anni, l’ecografia al seno continua a rimanere un esame di screening, da combinare però alla mammografia, ai fini di una migliore raccolta delle informazioni.
Rappresenta il principale esame di screening per il tumore al seno, questo perché è l’indagine gold standard per la fascia di età in cui l’incidenza del cancro è maggiore (ovvero, come riporta l’AIRC, tra i 50 e i 69 anni).
Come già accennato, per motivi legati alla densità del seno, prima dei 40 anni, la mammografia non rientra tra gli esami raccomandati, salvo che la paziente non presenti mutazioni in geni delicati come BRCA1 o BRCA2 o non abbia un’importante storia familiare di carcinoma mammario. In questi casi particolari, i controlli mammografici, combinati all’ecografia, si possono iniziare già a 25 anni o 10 anni prima dell’età di insorgenza del tumore nella parente di sangue più giovane.
Chiaramente, a decidere la frequenza dei controlli è il medico di riferimento.
Anche dopo i 40 anni, in realtà, la mammografia resta non raccomandata, se non in determinate pazienti: a renderla necessaria è una storia di tumore al seno in famiglia. Come affermato in precedenza, l’esame va combinato a un’ecografia al seno, per una valutazione più esaustiva dello stato di salute della paziente. Anche in questo caso, a stabilire la frequenza dei controlli è il medico di riferimento.
Scremate le eccezioni, in donne senza sintomi, la mammografia diviene esame di screening raccomandato superati i 50 anni e fino ai 69 anni (N.B: in alcune Regioni del nostro Paese, la soglia scelta è quella dei 45 anni) e la cadenza con cui ripeterla è biennale.
Per la fascia di età 50-69 anni, lo screening mammografico è estremamente importante, poiché copre quella popolazione femminile più fortemente a rischio di tumore del seno.
Per quanto riguarda, infine, le pazienti over-70, c’è un dibattito decisamente ancora molto aperto in merito all’effettiva utilità della mammografia.
A riguardo, l’AIRC riporta un’interessante nota delle linee guida europee, le quali sostengono che eventuali estensioni dello screening mammografico dopo i 70 anni sono da prendersi in considerazione solo se il Sistema Sanitario Nazionale è in grado di garantire lo screening gratuito per la fascia di età più delicata, ovvero quello 50-69 anni.
La risonanza magnetica nucleare del seno è fondamentalmente un esame finalizzato ad approfondire immagini ed esiti sospetti dell’ecografia e soprattutto della mammografia.
È particolarmente importante nelle pazienti con una predisposizione genetica al cancro, dovuta alla presenza di mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2.
In chiave prevenzione secondaria, hanno rilevanza altri due controlli: l’autopalpazione del seno e la visita senologica.
Vediamo nei dettagli in cosa consistono.
L’autopalpazione è un esame che ciascuna donna può svolgere tranquillamente in autonomia e a casa propria. Essa comprende due fasi: l’osservazione e la palpazione.
La presenza di noduli è senza dubbio il principale campanello d’allarme, ma non bisogna trascurare nemmeno eventuali retrazioni o cambiamenti della pelle, perdite di liquido dai capezzoli e/o variazioni della forma del seno.
L’autopalpazione inizia ad avere senso a partire dai 25 anni: un controllo al mese, a 7-14 giorni dal primo giorno delle ultime mestruazioni. Rispettare queste tempistiche è fondamentale a evitare confusione e falsi allarmi, in quanto la struttura del seno risponde e si modifica in funzione delle variazioni ormonali.
Dopo i 40 anni, l’autopalpazione dovrebbe diventare una prassi mensile, in quanto si sta entrando nella fascia di età più a rischio per il tumore al seno.
Per certi versi, l’autopalpazione rappresenta il primo strumento di prevenzione. Tuttavia, è doveroso precisare che da sola non è sufficiente: per un controllo efficace e attendibile, infatti, bisogna affidarsi alle visite mediche e agli esami strumentali, quali mammografia ed ecografia.
La visita senologica, invece, è un esame clinico completo del seno, effettuato da uno specialista.
Semplice e indolore, essa si svolge in uno studio medico e prevede l’impiego di determinati strumenti. Parte tipicamente dall’anamnesi, analizzando in particolare fattori come la storia familiare, l’età di comparsa delle prime mestruazioni, l’alimentazione, il numero di gravidanze avute e l’uso di terapie ormonali.
Dopodiché, prosegue con l’osservazione di anomalie che possono riguardare l’aspetto o la consistenza del seno, e termina con la palpazione.
Per quanto riguarda la frequenza con cui svolgere il controllo, dopo i 40 anni è consigliabile un controllo annuale, mentre per le donne più giovani non esiste una particolare indicazione, se non quella di approfittare di un’eventuale visita ginecologica per verificare anche le condizioni del seno.
La visita senologica è una valutazione potenzialmente in grado di fornire tante informazioni utili, ma non è sufficiente a stilare una diagnosi di tumore: per questa, servono i test strumentali e la biopsia.
Lo screening oncologico è importante e, grazie alla medicina moderna, sta salvando sempre più vite.
Ciò, tuttavia, non deve mettere in secondo piano un altro aspetto cruciale della prevenzione del tumore al seno: la prevenzione primaria.
Per prevenzione primaria si intendono tutti quei comportamenti e interventi volti a ridurre a monte l’insorgenza e lo sviluppo di una patologia.
Per il tumore al seno, la prevenzione primaria comprende:
Lo screening è fondamentale per una diagnosi precoce del tumore al seno, la neoplasia più diffusa tra le donne. Permette di intervenire quando la patologia è generalmente più curabile, aumentando così le speranze di successo delle terapie e le aspettative di vita delle pazienti.
Gli esami principali sono tre: l’ecografia del seno, la mammografia e la risonanza magnetica nucleare del seno. L’ecografia è adatta ai seni densi delle donne giovani, la mammografia è l’esame più importante perché rileva anche microcalcificazioni, mentre la risonanza magnetica si usa per approfondimenti e in pazienti ad alto rischio genetico.
La prevenzione dovrebbe iniziare a 25 anni con l’autopalpazione mensile. Gli esami strumentali come la mammografia, spesso combinata all’ecografia, sono invece raccomandati a partire dai 40-50 anni. Per le donne ad alto rischio a causa di familiarità o predisposizione genetica, i controlli possono iniziare prima, secondo le indicazioni del medico.
L’impatto è cruciale. Per i tumori al seno individuati in stadio iniziale, il tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è del 98-99%. Al contrario, per i tumori scoperti in uno stadio avanzato, questo tasso scende drasticamente a circa il 30%. Questo dimostra quanto una diagnosi tempestiva sia fondamentale per aumentare l’aspettativa di vita.
Per le donne tra i 25 e i 40 anni, l’esame di screening più indicato è l’ecografia al seno, specialmente in presenza di noduli sospetti o familiarità. La mammografia non è generalmente raccomandata prima dei 40 anni perché il seno, essendo più denso, potrebbe fornire immagini poco precise, a meno che non ci sia un alto rischio genetico o familiare.
Questa fascia d’età è quella con la massima incidenza di tumore al seno. Per le donne senza sintomi specifici, la mammografia è l’esame di screening raccomandato, da ripetere con cadenza biennale (ogni due anni). Questo screening è estremamente importante perché copre la popolazione femminile considerata più a rischio.
L’autopalpazione è un esame che ogni donna può svolgere in autonomia e a casa per rilevare cambiamenti nel seno, come noduli, retrazioni della pelle o variazioni della forma. Si consiglia di eseguirla una volta al mese a partire dai 25 anni, tra il 7° e il 14° giorno dall’inizio delle mestruazioni. Sebbene sia un primo strumento di prevenzione, da sola non è sufficiente e va abbinata a controlli medici.
Sì, la prevenzione primaria consiste nell’adottare comportamenti che riducono il rischio di sviluppare la malattia. Le raccomandazioni includono: mantenere il peso nella norma, seguire una dieta sana come quella mediterranea, fare attività fisica regolare, non fumare e limitare il consumo di alcolici. Anche la gravidanza e l’allattamento al seno hanno effetti protettivi.
La comunicazione arriva anche a seguito delle dichiarazioni rilasciate dal Presidente di ENAC in un’intervista al TG3, in occasione della manifestazione promossa da comitati locali presso l’area aeroportuale. In quell’occasione Di Palma aveva sottolineato la continuità dell’attuale assetto dell’aeroporto e ribadito il principio di un confronto costante, aperto e trasparente con i territori coinvolti.
Nella lettera Il primo cittadino ha quindi chiesto conferma dell’interpretazione di tali affermazioni e, soprattutto, ha riaffermato con chiarezza la posizione dell’Amministrazione comunale di Cinisello Balsamo che vede la ferma contrarietà a qualsiasi scenario futuro che preveda l’introduzione di voli commerciali presso l’Aeroporto di Bresso.