da L'Internazionale del 27 Novembre - di Refaat Ibrahim, Al Jazeera, Qatar
In Sudafrica sono atterrati alcuni
aerei carichi di abitanti di Gaza.
L’ultima di una lunga serie di iniziative decise dagli israeliani
per trasferire la popolazione
palestinese con la forza
Il 13 novembre un aereo con a bordo
153 palestinesi di Gaza è atterrato in
Sudafrica senza la necessaria documentazione. I passeggeri sono rimasti bloccati sull’aereo per dodici ore
prima che le autorità sudafricane, che
hanno dichiarato di non essere state in
formate dagli israeliani sul volo di espulsione, consentissero lo sbarco per motivi
umanitari.
I palestinesi a bordo avevano pagato
tra i 1.500 e i cinquemila dollari ciascuno
a un’azienda chiamata Al Majd Europe
per lasciare Gaza. L’iniziativa è gestita da
alcuni palestinesi in coordinamento con
le autorità di occupazione israeliane. Al
meno altri due voli simili sono stati effettuati dal giugno scorso.
Questo è il metodo più recente usato
da Israele per spopolare Gaza, un obiettivo storico del suo regime di apartheid che
risale all’inizio del novecento.
Fin dagli albori del movimento sionista i palestinesi sono stati percepiti come
un ostacolo demografico alla creazione di
uno stato ebraico.
Alla fine dell’ottocento
Theodor Herzl, uno dei padri fondatori
del sionismo, scrisse che il trasferimento
degli arabi dalla Palestina doveva essere
parte del progetto sionista, suggerendo
che le popolazioni povere potevano essere spostate oltre i confini e private di opportunità lavorative in modo discreto e
oculato.
Nel 1938 David Ben Gurion, leader sionista che in seguito sarebbe diventato il primo premier di Israele, affermò
di essere favorevole al “trasferimento”
forzato dei palestinesi e di non vederci
nulla di “immorale”.
In parte questa visione fu attuata dieci anni dopo con la
Nakba del 1948, quando più di 700mila
palestinesi furono costretti a lasciare le
loro case in quella che lo storico israeliano Benny Morris ha definito una pulizia
etnica “necessaria”.
Dopo il 1948 Israele ha proseguito su
questa strada.
Negli anni cinquanta decine di migliaia di palestinesi e beduini palestinesi furono trasferiti con la forza dal
deserto del Naqab (Negev) alla penisola
del Sinai o alla Striscia di Gaza, che all’epoca si trovava sotto l’amministrazione
egiziana.
Dopo la guerra del giugno 1967,
quando occupò Gaza, la Cisgiordania e
Gerusalemme Est, Israele adottò una
strategia che definì di “migrazione volontaria”.
L’idea era creare condizioni di vita difficili, anche attraverso la demolizione di
case e la riduzione delle opportunità di
lavoro, per spingere gli abitanti ad andarsene.
Lo stesso fu fatto nei campi profughi
di Gaza creando degli “uffici per l’emigrazione”: chi aveva perso ogni speranza di
tornare alla propria casa riceveva denaro
e l’organizzazione del viaggio per partire.
Israele ha anche incoraggiato i palestinesi
ad andare a lavorare all’estero, soprattutto nel Golfo. Il prezzo che dovevano pagare per andarsene era l’esilio permanente.
Nessun ritorno
Dopo il 7 ottobre 2023
Israele ha visto
un’altra possibilità di portare avanti il suo
piano di pulizia etnica di Gaza, questa volta attraverso il genocidio e l’espulsione
forzata. Ha pensato di avere la simpatia
internazionale e il capitale diplomatico
necessari per compiere questa atrocità,
come dimostrano le dichiarazioni di vari
funzionari israeliani, tra cui i ministri Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich.
Questi
ultimi hanno perfino proposto il “piano
dei generali” per spopolare completa
mente il nord di Gaza.
Il nuovo piano per costringere i palestinesi a lasciare Gaza rientra a pieno titolo in questa tendenza storica. La differenza, però, è che stavolta i palestinesi devono pagare il proprio sfollamento forzato e
la loro disperazione è sfruttata da collaborazionisti palestinesi in cerca di profitti
facili.
Ciò, naturalmente, impoverisce
ancora di più la popolazione e crea nuove
tensioni e fratture interne.
Il piano attuale, come i precedenti, ha
la caratteristica fondamentale di negare il
ritorno ai palestinesi. Nessuno dei passeggeri dell’aereo ha ricevuto il timbro di
uscita sul passaporto, motivo per cui le
autorità sudafricane hanno avuto problemi con le procedure di ingresso.
Non avere un documento legale che attesti l’uscita dal territorio di Gaza occupato da Israele
significa che queste persone sono classificate automaticamente come migranti irregolari e non possono tornare.
È importante chiarire perché Israele
permette la partenza di questi voli, mentre impedisce l’evacuazione di palestinesi malati e feriti o di studenti ammessi in
università straniere.
Le loro uscite sarebbero legali e comporterebbero il diritto al
ritorno, cosa che Israele non vuole permettere.
Non sorprende che ci siano palestinesi pronti a cadere nell’inganno di
questi voli. Due anni di genocidio hanno
spinto la popolazione di Gaza a una disperazione inimmaginabile. Tanti abitanti della Striscia salirebbero volentieri
su quei voli. Ma Israele non può mandarci
tutti in Sudafrica.
In tutti questi decenni di occupazione
sionista i palestinesi hanno perseverato.
La loro tenacia di fronte a guerre, assedi,
incursioni nelle case, demolizioni, furto
di terre e assoggettamento economico
conferma che la terra di Palestina non è
solo un luogo dove vivere, ma un simbolo
di identità e storia al quale non vogliono
rinunciare.
Negli ultimi due anni Israele
ha distrutto le vite e le case di due milioni
di palestinesi. E neppure tutto questo è
riuscito a uccidere la loro forza d’animo e
la voglia di restare aggrappati alla terra. I
palestinesi non voleranno via. Siamo qui
per restare.
Refaat Ibrahim è uno scrittore di Gaza,
che si occupa di questioni sociali, politiche
e umanitarie legate alla Palestina.