martedì, dicembre 09, 2025

Che fare del vecchio asilo di Palazzolo? Demolire o nuova sede delle Associazioni ora a palazzo Vismara?

 
Con la costruzione in corso del nuovo asilo a Palazzolo (entrata da via Volta una volta giardino della scuola media Don Minzoni di piazza Hiroshima) con i 2 milioni di Euro di fondi del PNRR, per la vecchia sede in via Sabotino non è ancora stata decisa la sorte: 

  • demolizione (ancora da concordare con Roma) ?
  • o ristrutturazione (per accogliere le associazioni ora presenti a Palazzo Vismara di cui è ancora in corso la valutazione statica con relativa stima dei costi di ristrutturazione)?
In attesa della decisione, nel nuovo asilo di via Volta devono ancora essere ultimati 4 macro-interventi:
  1. realizzazione della recinzione
  2. sistemazione delle aree esterne, vale a dire del parcheggio a supporto dei pendolari che prendono il treno in stazione a Palazzolo. Parcheggio di valore perché già in gran parte "a spugna", poiché tutti i posti auto hanno già una pavimentazione con autobloccanti
  3. allestimento della cucina. Il progetto iniziale prevedeva un'area adibita a riscaldamento vivande, ma costruzione pressoché ultimata che si è rivelata errata, poiché le norme prevedono una cucina vera e propria per gli asili. Mi auguro che gli extra costi per la revisione del progetto e i costosi interventi di adeguamento alle norme vengano addebitati all'azienda che ha presentato il progetto: vien da pensare che non fosse a conoscenza di norme fondamentali... O devono pagare i cittadini padernesi per l'incompetenza delle aziende che si aggiudicano gli appalti?
  4. Fornitura degli arredi

INCONTRO: "Terreno di Speranza" 12 Dicembre 2025 - Limbiate



lunedì, dicembre 08, 2025

domenica, dicembre 07, 2025

Conferenza Nazionale Industria del Riciclo 2025 - 11 Dicembre - Milano

 
11 Dicembre 2025, appuntamento con la Conferenza Nazionale dell’Industria del Riciclo 2025, promossa dalla Fondazione dello Sviluppo Sostenibile, in collaborazione con CONAI Pianeta2030 e Il Corriere della Sera, si svolgerà a Milano presso la sede del Corriere, in via Eugenio Balzan, 3 - dalle ore 10.00 alle ore 16.00

Il programma della Conferenza nazionale dell'industria del riciclo 2025, l'11 dicembre a Milano - Fondazione Sviluppo Sostenibile



sabato, dicembre 06, 2025

Il nuovo metodo di Israele per cacciare i palestinesi

da L'Internazionale del 27 Novembre - di Refaat Ibrahim, Al Jazeera, Qatar

In Sudafrica sono atterrati alcuni aerei carichi di abitanti di Gaza. L’ultima di una lunga serie di iniziative decise dagli israeliani per trasferire la popolazione palestinese con la forza

Il 13 novembre un aereo con a bordo 153 palestinesi di Gaza è atterrato in Sudafrica senza la necessaria documentazione. I passeggeri sono rimasti bloccati sull’aereo per dodici ore prima che le autorità sudafricane, che hanno dichiarato di non essere state in formate dagli israeliani sul volo di espulsione, consentissero lo sbarco per motivi umanitari. 

I palestinesi a bordo avevano pagato tra i 1.500 e i cinquemila dollari ciascuno a un’azienda chiamata Al Majd Europe per lasciare Gaza. L’iniziativa è gestita da alcuni palestinesi in coordinamento con le autorità di occupazione israeliane. Al meno altri due voli simili sono stati effettuati dal giugno scorso. 

Questo è il metodo più recente usato da Israele per spopolare Gaza, un obiettivo storico del suo regime di apartheid che risale all’inizio del novecento. Fin dagli albori del movimento sionista i palestinesi sono stati percepiti come un ostacolo demografico alla creazione di uno stato ebraico. 

Alla fine dell’ottocento Theodor Herzl, uno dei padri fondatori del sionismo, scrisse che il trasferimento degli arabi dalla Palestina doveva essere parte del progetto sionista, suggerendo che le popolazioni povere potevano essere spostate oltre i confini e private di opportunità lavorative in modo discreto e oculato. 

Nel 1938 David Ben Gurion, leader sionista che in seguito sarebbe diventato il primo premier di Israele, affermò di essere favorevole al “trasferimento” forzato dei palestinesi e di non vederci nulla di “immorale”. 

In parte questa visione fu attuata dieci anni dopo con la Nakba del 1948, quando più di 700mila palestinesi furono costretti a lasciare le loro case in quella che lo storico israeliano Benny Morris ha definito una pulizia etnica “necessaria”. 

Dopo il 1948 Israele ha proseguito su questa strada. 

Negli anni cinquanta decine di migliaia di palestinesi e beduini palestinesi furono trasferiti con la forza dal deserto del Naqab (Negev) alla penisola del Sinai o alla Striscia di Gaza, che all’epoca si trovava sotto l’amministrazione egiziana. 

Dopo la guerra del giugno 1967, quando occupò Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, Israele adottò una strategia che definì di “migrazione volontaria”. L’idea era creare condizioni di vita difficili, anche attraverso la demolizione di case e la riduzione delle opportunità di lavoro, per spingere gli abitanti ad andarsene. 

Lo stesso fu fatto nei campi profughi di Gaza creando degli “uffici per l’emigrazione”: chi aveva perso ogni speranza di tornare alla propria casa riceveva denaro e l’organizzazione del viaggio per partire. Israele ha anche incoraggiato i palestinesi ad andare a lavorare all’estero, soprattutto nel Golfo. Il prezzo che dovevano pagare per andarsene era l’esilio permanente. Nessun ritorno 

Dopo il 7 ottobre 2023 

Israele ha visto un’altra possibilità di portare avanti il suo piano di pulizia etnica di Gaza, questa volta attraverso il genocidio e l’espulsione forzata. Ha pensato di avere la simpatia internazionale e il capitale diplomatico necessari per compiere questa atrocità, come dimostrano le dichiarazioni di vari funzionari israeliani, tra cui i ministri Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich. 

Questi ultimi hanno perfino proposto il “piano dei generali” per spopolare completa mente il nord di Gaza. Il nuovo piano per costringere i palestinesi a lasciare Gaza rientra a pieno titolo in questa tendenza storica. La differenza, però, è che stavolta i palestinesi devono pagare il proprio sfollamento forzato e la loro disperazione è sfruttata da collaborazionisti palestinesi in cerca di profitti facili. 

Ciò, naturalmente, impoverisce ancora di più la popolazione e crea nuove tensioni e fratture interne. Il piano attuale, come i precedenti, ha la caratteristica fondamentale di negare il ritorno ai palestinesi. Nessuno dei passeggeri dell’aereo ha ricevuto il timbro di uscita sul passaporto, motivo per cui le autorità sudafricane hanno avuto problemi con le procedure di ingresso. 

Non avere un documento legale che attesti l’uscita dal territorio di Gaza occupato da Israele significa che queste persone sono classificate automaticamente come migranti irregolari e non possono tornare. 

È importante chiarire perché Israele permette la partenza di questi voli, mentre impedisce l’evacuazione di palestinesi malati e feriti o di studenti ammessi in università straniere. 

Le loro uscite sarebbero legali e comporterebbero il diritto al ritorno, cosa che Israele non vuole permettere. 

Non sorprende che ci siano palestinesi pronti a cadere nell’inganno di questi voli. Due anni di genocidio hanno spinto la popolazione di Gaza a una disperazione inimmaginabile. Tanti abitanti della Striscia salirebbero volentieri su quei voli. Ma Israele non può mandarci tutti in Sudafrica. 

In tutti questi decenni di occupazione sionista i palestinesi hanno perseverato. La loro tenacia di fronte a guerre, assedi, incursioni nelle case, demolizioni, furto di terre e assoggettamento economico conferma che la terra di Palestina non è solo un luogo dove vivere, ma un simbolo di identità e storia al quale non vogliono rinunciare.

Negli ultimi due anni Israele ha distrutto le vite e le case di due milioni di palestinesi. E neppure tutto questo è riuscito a uccidere la loro forza d’animo e la voglia di restare aggrappati alla terra. I palestinesi non voleranno via. Siamo qui per restare. 

Refaat Ibrahim è uno scrittore di Gaza, che si occupa di questioni sociali, politiche e umanitarie legate alla Palestina.