Un dramma umano e civile su cui si è spesso soffermato anche
il Presidente della Repubblica Mattarella richiamando il mondo del lavoro alla
massima attenzione e responsabilità.
Che la problematica abbia una diffusione così tragica -
qualcuno sostiene che più che tragedie sono stragi - segnala un malessere
diffuso di precauzioni non applicate, di leggi aggirate o eluse, di mancata
attenzione alla formazione del personale e all’adozione delle necessarie misure
di protezione.
L’enormità del tema trova una singolare angolazione nella
proposta di lettura che compie Giuseppe Ciarallo con il suo volume “Era bello
il mio ragazzo. Morti sul lavoro. Canzoniere del dolore e della rabbia”
dedicato all’argomento attraverso la costruzione di un’antologia musicale che approccia
la mortalità sul lavoro attraverso un canzoniere sicuramente doloroso ma anche
arrabbiato.
Nella prefazione al volume, Luigi Manconi e Chiara
Tamburello ricordano un articolo di Giuliano Zincone pubblicato dal Corriere
della Sera il 15 luglio 1973, cui ne seguiranno poi altri, su un fenomeno che
finalmente diviene palese agli occhi dell’opinione pubblica.
Con il titolo “La pelle di chi lavora” Zincone pubblicherà
successivamente anche un libro per evidenziare l’entità degli eventi che
insanguinano il mondo del lavoro. In qualche modo cade così un tabù su cui
negli anni precedenti molti avevano steso scandaloso velo.
In questo contesto, anche la musica cosiddetta leggera,
ancorché impegnata, non resta insensibile alla drammaticità del problema.
Scrivono Manconi e Tamburello: "E così troviamo questa
materia dolente in molti testi della musica leggera italiana, riportati in 'Era
bello il mio ragazzo'. Giuseppe Ciarallo compone una sorta di autobiografia
della classe lavoratrice italiana uccisa, ferita, resa invalida…”.
Da Lu minaturi (1954) di Domenico Modugno a L’uomo nel lampo
(2024) di Paolo Jannacci e Stefano Massini, in un lasso di tempo di
settant’anni Ciarallo compone un’antologia ragionata intorno a una tematica che
ha ispirato numerosi musicisti.
Un lavoro “prezioso per la memoria e per il presente” che
con la forza e l’efficacia della musica popolare amplifica concetti universali
che ancora oggi non sono entrati nella sfera mentale, per dirla così, di chi il
lavoro lo gestisce, lo manovra e spesso lo sfrutta.
(Marilena Nardi)
Nella prefazione al volume, Luigi Manconi e Chiara
Tamburello ricordano un articolo di Giuliano Zincone pubblicato dal Corriere
della Sera il 15 luglio 1973, cui ne seguiranno poi altri, su un fenomeno che
finalmente diviene palese agli occhi dell’opinione pubblica.
Con il titolo “La pelle di chi lavora” Zincone pubblicherà
successivamente anche un libro per evidenziare l’entità degli eventi che
insanguinano il mondo del lavoro. In qualche modo cade così un tabù su cui
negli anni precedenti molti avevano steso scandaloso velo.
(Vauro Senesi - Vauro)
I
Dalle indagini più recenti, salta subito agli occhi un dato
agghiacciante.
Nel mondo, ogni anno perdono la vita sul lavoro circa due
milioni di persone.
In Italia muoiono al giorno mediamente tre
lavoratrici/lavoratori, oltre ai decessi per le malattie causate dal lavoro.
L’antologia composta da Ciarallo utilizza un ritmo
cronologico per evidenziare come il tema si sia sviluppato e ampliato quanto a
casistica nel corso degli anni.
La prima testimonianza, come detto, è la canzone Lu minaturi
di Domenico Modugno dove il messaggio è già molto palese:” Ma la muntagna è
forti/e quarche giurnu amaru/ a casa cchiù nu torna”.
Il tema degli incidenti accaduti in miniera assume toni
marcati subito dopo la strage di Marcinelle dell’8 agosto 1956, quando in una
miniera belga perirono 262 minatori, tra cui 136 di origine italiana.
Il fatto scosse talmente l’opinione pubblica che anche il
mondo della canzone volle contribuire a far conoscere quella tragedia.
Del 1956 stesso è dunque la canzone Marcinelle, di autore
anonimo sull’aria di “Sul ponte di Perati”, cantata da Gualtiero Bertelli e La Compagnia
delle Acque, la cui strofa: ”Morti di Marcinelle/ quella miniera/ non è più una
tomba, ma una bandiera” sintetizza la commozione ma anche la rabbia per
l’immane incidente.
Alla vicenda della miniera belga del Bois du Cazier,
definita anche la “madre di tutte le stragi”, sono dedicate anche Lu treno di
lu soli (1964) con testo del poeta Ignazio Buttitta e musica di Otello Profazio
che ne è anche interprete e Mangia el carbon e tira l’ultimm fiaa (1966) di
Ivan Della Mea, uno degli interpreti più appassionati e prolifici della canzone
cosiddetta alternativa che è anche autore di Con la lettera del prete (1974) e
Quand g’avevi sedes ann (1974) nelle quali ricorre il tema degli incidenti e
delle morti sul lavoro.

Se la strage di Marcinelle ha ispirato, secondo Ciarallo,
almeno otto brani, il tema della miniera, espressivamente ed evocativamente
molto potente, ricorre anche in altre canzoni come La zolfara (1959), composta
da due autori impegnati come Michele L. Straniero e Fausto Amodei (“Per i morti
di Reggio Emilia”), cantata da Ornella Vanoni, che rievoca un’ulteriore strage
di minatori a Gessolungo, in Sicilia nel 1958, in cui risalta la strofa:”
Spara prima la mina, mezz’ora si guadagna/ me ne infischio
se rischio che di sangue poi si bagna:/ tu prepara la bara, minatore di
zolfara”, che contiene in sé tutta la valenza negativa del lavoro non protetto
e non sicuro.
Per non dire di Una miniera (1969), cavallo di battaglia dei
New Trolls che, forse involontariamente, risulta paradossalmente molto
“politica”.
Ma anche le canzoni non dimenticano tutta l’ampia casistica
degli incidenti mortali sul lavoro, da quelli legati all’immigrazione a quelli accaduti
in fabbrica, non mancano neppure gli infortuni accorsi a ferrovieri e
tramvieri, con una presenza significativa di rappresentazione di morti nei cantieri,
per non parlare di inquinamento o avvelenamento dovuto agli ambienti malsani.
Nel 1969, su testo del partigiano anarchico Pietro Bianconi,
Paolo Pietrangeli (“Contessa”) e Giovanna Marini (“I treni per Reggio
Calabria”) musicano e interpretano Uguaglianza: “Ti ho visto lì per terra/ al
sole del cantiere/ le braccia e gambe rotte dal dolore… Ti ho visto lì per
terra/ poi ti ha coperto il viso/ la giacca di un padrone che ti ha ucciso./ Ti
hanno nascosto subito/ eri per loro ormai da buttar via”.

Francesco De Gregori, con il supporto alle musiche di Lucio
Dalla, compone nel 1975 Pablo, in cui un lavoratore muore precipitando da una impalcatura
in un cantiere stradale.
Con apparente frivolezza Enzo Jannacci rimarca la questione
in Bobo Merenda (1968) e in Il bonzo (1975), testo di Dario Fo e Cochi Ponzoni,
in cui l’accento viene posto sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Del resto, sempre al genio assoluto di Jannacci si deve, in
collaborazione con Beppe Viola per il testo, una canzone straordinaria come
“Vincenzina e la fabbrica” (1974), dove si descrive magistralmente lo
straniamento dovuto al lavoro massificato.
E sempre Jannacci è l’interprete di La costruzione (1977) di
Chico Buarque de Hollanda, con testo italiano di Sergio Bardotti: “Ed inciampò nel
cielo come ubriaco fradicio/ e fluttuò nell’aria come fosse un passero/ e cadde
giù per terra come un pacco flaccido/ agonizzando in mezzo del passaggio
pubblico/ è morto contromano disturbando il traffico”.
Dà il titolo al prezioso lavoro di Giuseppe Ciarallo una
canzone “leggera” che Anna Identici ebbe il coraggio di portare addirittura al
Festival di Sanremo nel 1972.

Era bello il mio ragazzo costituì allora un pugno nello
stomaco per tutti coloro che erano abituati a una musica votata all’amore e ai
buoni sentimenti, aprendo una strada che poi venne intrapresa da altri autori
che introdussero argomenti di valore civile e sociale.
Va da sé che la canzone della Identici venne immediatamente
eliminata dalla gara mentre, però fuori concorso, Paolo Jannacci e Stefano
Massini nel 2024 portarono sul palco sanremese la loro L’uomo nel lampo che ripose
al centro dell’attenzione le morti sul lavoro.
Ci sarebbe ancora molto da citare e ricordare, come Gerardo
nuvola ‘e povere (2012) di Enzo Avitabile e Francesco Guccini o per segnalare anche
una sezione finale del libro dedicata a canzoni internazionali tra cui la
straordinaria Deportee-Plane Wreck at Los Gatos (1948) di Woody Guthrie, uno
dei padri della canzone di protesta.
Oltre alle canzoni citate, il volume ospita numerosi altri
brani, complessivamente sono settantatré, dovuti ad autori molto noti e meno noti,
tutti impegnati a far riflettere su una problematica che continua a insanguinare
i nostri luoghi di lavoro.

Qualche altro nome? Brunori sas, Alessio Lega, I Gufi,
Gruppo Operaio ”E Zézi” di Pomigliano d’Arco, 99 Posse, Claudio Lolli,
Caparezza, Modena City Ramblers, Roberto Roversi, Lucio Dalla e tanti altri
ancora.
Certo “sono solo canzonette”, come ricordava Edoardo
Bennato, ma contribuiscono a raccontare e a sottolineare la drammaticità di un problema
che è ancora molto lontano dall’essere risolto.
Tutti i testi sono corredati da puntuali note e
approfondimenti che li collocano nel contesto storico in cui sono stati
concepiti e proposti al pubblico.
L’ottimo lavoro di Giuseppe Ciarallo, affermato scrittore di
letteratura, musica e satira, oltre a ospitare i settantatré testi musicali,
propone anche altrettante illustrazioni dovute a disegnatori tra cui Massimo
Bucchi, Vauro, Sergio Staino, Giuliano e Danilo Maramotti. La copertina è di
Lido Contemori.

Tutti i disegni sono destinati a essere raccolti in una
mostra itinerante che verrà esposta presso le Camere del Lavoro.
Il volume, realizzato dall’editore bolognese Pendragon, si
avvale, come ricordato, della prefazione di Luigi Manconi e di Chiara
Tamburello, e della postfazione di Massimo Vaggi, avvocato militante.
Importante infine la collaborazione di AFEFA Emilia Romagna (Associazione
Familiari e Vittime Amianto) e COMMA 2-Lavoro e dignità (Associazione di
giuristi che si occupano di solidarietà sociale a tutela dei diritti delle
lavoratrici e dei lavoratori).
Per dirla con Ciarallo:
“Con la speranza che un giorno, il
più vicino possibile,
la mattanza quotidiana di lavoratori e lavoratrici possa
avere fine…
buona lettura”.