sabato, gennaio 28, 2012

Donne ad Auschwitz, cuori tenaci tra i reticolati

Ieri mattina alla celebrazione della Giornata della Memoria” che si è tenuta a Calderara, la consigliera di Quartiere (e socio fondatore del circolo Culturale Restare Umani), Giovanna Baracchi, in rappresentanza dell'ANPI di Paderno Dugnano ha pronunciato il seguente discorso.

Il 27 gennaio 1945 è la data della liberazione del Lager di Auschwitz da parte delle truppe Sovietiche dell’Armata Rossa.
Oggi ricordiamo quel giorno come “Giorno della Memoria” per non dimenticare lo sterminio nazi-fascista perpetrato nei confronti di Ebrei (6 milioni di morti), di Rom e Sinti (almeno 500.000), di oppositori politici, di omosessuali, di scioperanti, di minorati fisici e mentali, di appartenenti ad altre religioni, di asociali e apolidi.
A questi la guerra, ha provocato vittime civili fino ad arrivare a 14 milioni di morti.
In questa immane tragedia, anche se non ben evidenziata dalla narrazione storica, le donne hanno subito soprusi e angherie, se possibile, anche maggiori degli uomini.
La stragrande maggioranza delle donne deportate, ebree e non ebree, partecipanti alla lotta politica o no, hanno provato traumi laceranti per gli orrori che subirono sui loro corpi e nelle loro menti.
All’odio razziale, le donne hanno contrapposto con grande dignità, in quelle circostanze drammatiche, il sentimento di solidarietà verso le loro compagne di sventura, tra le quali non esisteva discriminazione per differenze di religione, tradizioni, lingue, costumi, educazione. Questa stessa solidarietà ha permesso a molte di loro di resistere, di far fronte alle brutalità e, per alcune di loro, di far ritorno al mondo civile pacificato.
Tutte vissero tragicamente la perdita dell'identità: traumatico fu il denudarsi tra le brutalità degli aguzzini, impresso un numero tatuato sul braccio, vedersi rasate a zero. Non erano più donne, non erano più individui.
Nell'estate del '44 ad Auschwitz, un gruppo di deportate, quasi tutte molto giovani, composero una canzone, sull'aria di un motivo allora in voga, "Piemontesina bella". Facevano parte del gruppo le 5 sorelle Szörenyi (di cui solo la più piccola, Arianna, scampò allo sterminio) e forse altre 5 o 6 ragazze, alcune romane, altre venete. Anche comporre una canzone sulla propria drammatica condizione era un modo di resistere in quel campo di morte.
La canzone cominciava così:
"Svegliamoci presto ragazze, il tedesco è venuto, ci deve contar,
svelte andiamo all'appello,
formiamo un drappello,
laggiù nel piazzal.
Perché a lavorar bisogna andar,
poco mangiare e il baston.
I camerati nemici ci son!
Non ti potrò scordare, o prigionia di guerra
la pena, il cuor ci serra ci rende triste ognor.
Ma poi pensando a casa ritorna l'allegria, la speranza si ravviva
di presto ritornar!"  


giovedì, gennaio 26, 2012

Auschwitz. Ero il numero 220543

Era un soldato inglese in Egitto quando fu fatto prigioniero dai nazisti e portato nel campo vicino al famigerato lager. Lì, Denis Avey si sostituì a un detenuto ebreo e passò due notti con la divisa a righe. Ora, a 93 anni, ha scritto la sue memorie e quell'incredibile avventura è diventata un bestseller. 
"I due campi di prigionia erano contigui: il nostro, di soldati inglesi, e quello degli ebrei. Lavoravamo insieme alla costruzione di una fabbrica della IG Farben, il colosso della chimica, che avrebbe prodotto una gomma sintetica indispensabile alla macchina da guerra nazista. Spartivamo gli stenti - undici ore al giorno a spaccarci la schiena - ma non le esecuzioni arbitrarie: quegli uomini ombra con l'uniforme a righe e il volto terreo morivano di continuo, ammazzati a calci e bastonate o stroncati dallo sfinimento. A noi i nazisti consentivano di sopravvivere. La sera, ci scortavano ai rispettivi campi: loro ad Auschwitz III, di cui sapevamo solo - sussurri tra disperati - che era l'inferno in terra. Noi all'E715, dove ci aspettavano baracche e rancio scarso, ma almeno la certezza di arrivare all'indomani. Ero tormentato dal bisogno di sapere di più. Un uomo a righe mi aveva bisbigliato, "Tu che un giorno tornerai a casa, racconta", e quella supplica mi era entrata nel cervello come un tarlo".
Fu così che Denis Avey escogitò un piano, corruppe prigionieri e Kapò, rischiò la pelle, per entrare ad Auschwitz di sua volontà. Due volte. Un'impresa da pazzi.
Eppure, quando alla fine della guerra tentò di raccontare, nessuno gli diede retta. Del conflitto si volevano ricordare gli atti di eroismo, non le atrocità. Così Denis si chiuse nel silenzio - e negli incubi - fino a un paio d'anni fa, quando gli chiesero di parlare in un'intervista. Poi scrisse le sue memorie, che ora escono in Italia: "Auschwitz. Ero il numero 220543" (Newton Compton). L'edizione paperback, appena uscita in Inghilterra, ha venduto 45 mila copie in due settimane ed è in cima alle classifiche.

Auschwitz. Ero il numero 220543
Denis Avey – Rob Broomby
Newton Compton
329 pag. Euro 9,90

martedì, gennaio 17, 2012

Domenico, il sole nell'anima

Luci e ombre- D.Porpora

Il calore che emana la pittura di Domenico Porpora ricorda gli spettacolari luoghi amalfitani,
da cui l'artista proviene, anche se ormai residente a Senago da diversi anni.
Il blu, colore particolarmente amato, e le figure femminili rappresentate in svariate tele, raccontano un quotidiano neosurrealista che ci riporta alla genialità della pittura di Salvador Dalì.
Realtà e immaginario diventano tutt'uno, cosicchè osservando un'opera di Porpora si è catturati da un inaspettato magnetismo intriso di "calde" colorazioni che richiamano la mente a emozioni dimenticate.
Un artista conosciuto e presente nel panorama pittorico attuale, insignito di numerosi riconoscimenti fra cui l'Ambrogino d'argento del Comune di Milano. Dice di lui il Prof. Antonino De Bono: "Egli va oltre un'istanza metafisica, perché coglie nel profondo l'anima inquieta dell'eterno femminile, che d'ora in poi non procederà più a senso unico, ma sarà colonna portante della società senza classi".

giovedì, gennaio 12, 2012

La talpa

L'imminente uscita della versione cinematografica de "La Talpa", film tratto dal famoso "Tinker, Tailor, Soldier, Spy" scritto nel 1974 dal maestro inglese del genere spy story, John le Carré, mi ha spinto a rileggere questo libro che io considero un capolavoro della letteratura del secolo scorso. La storia è affascinante e malinconica perché lo sono i suoi protagonisti, agenti del servizio segreto britannico, ormai ridotto ad essere l'ombra di quello che fu in epoca imperiale quando l'Inghilterra dominava il mondo con colonie in cinque continenti. 
La trama in sintesi è la seguente: 1973, in piena guerra fredda, George Smiley, un ex agente del servizio, familiarmente chiamato Circus, in semi-pensionamento, viene richiamato e incaricato di scovare una "talpa" che si annida tra i membri dei servizi segreti britannici, che si sospetta essere una spia sovietica.  Il romanzo fu ispirato da fatti veramente avvenuti al vertice dei servizi inglesi quando lo stesso le Carrè ne era membro, precisamente dalla vicenda di Kim Philby (un agente doppiogiochista al servizio del KGB che fece saltare la copertura a molti agenti britannici).
Smiley non ha niente a che vedere con James Bond, il modello di spia moderna, interpretato sullo schermo da Sean Connery, eroe sofisticato, elegante e sex symbol degli anni 60 che allora andava per la maggiore. Egli infatti è tutto fuorché un eroe: è un ometto triste e dimesso, malinconico e sensibile, tradito dalla moglie e dagli amici, ma è anche un grandissimo incassatore che fa della pazienza, della sua umanità e della capacità di attendere le sue armi vincenti.
Il racconto è il primo di una trilogia di romanzi che vede al centro il fantomatico capo del KGB, Karla, che era riuscito ad inserire, con un paziente lavoro di infiltrazione durato anni, in un posto di comando la "talpa", chiamata Gerald. L'agente, insospettabile membro del Circus, era riuscita a prendere il controllo dei servizi segreti dopo la morte di Controllo, l'ex capo di Smiley. Controllo stesso, che già sapeva dell'esistenza della "talpa", poco prima di morire, aveva affidato a un agente fedele,  Jim Prideaux, un'importante missione: mettersi in contatto con un militare ceco per ottenere il nome del traditore. Ma la missione fallisce, Controllo, vecchio e malato muore, permettendo alla "talpa" stessa di prendere il potere L'agente infiltrato dal KGB aveva creato una serie di falsi rapporti provenienti dall'URSS, vere disinformazioni da scambiare con autentiche importanti notizie sul servizio britannico. 

domenica, gennaio 01, 2012

Il dromedario azzurro


Il presepio mi piace. E' una tradizione che sento naturale e più o meno l'ho sempre fatto nelle diverse case nelle quali ho vissuto, esclusa una (la mia compagna di quegli anni era ebrea). 
Oggi, giornata sonnacchiosa dopo la vigilia consumata piacevolmente a cena con una coppia di amici e vicini di casa, mi sono messo a curiosare nel presepio fatto dalle mie figlie e ho ripensato ai tanti presepi della mia vita.
Al pranzo di Natale, a casa di mio padre a Chiavari, ho scoperto nel suo presepio alcune statuine della mia infanzia, scrostate e sbiadite, ma ancora inconfonibilmente quelle con le quali avevo giocato da bambino, le ochette bianche che facevo galleggiare sulla carta stagnola di cui era fatta l'acqua dello stagno, l'arrotino e la filatrice di lana sotto l'albero, il pastore con il cane al guinzaglio, le due contadinelle con la cesta delle mele.
Anche in quello che le mie figlie hanno apparecchiato sul piano della massiccia credenza di legno intagliato che viene dalla casa di mia moglie, ci sono molte vecchie statuine. Di sacre famiglie ce ne sono una ufficiale dentro la capanna e due ufficiose sistemate nella mensola soprastante. Quella installata al coperto è fatta di gessose figure vecchie di almeno 80 anni perché eredità di mia suocera. Un gruppo originale che comprende asino e bue, ma non il bambino che è stato sostituito con uno moderno dopo un'accidentale rottura di quello antico. Le altre tre natività sono una di radice di tiglio comprata 30 anni fa in Val Gardena, l'altra in terracotta e tessuto proveniente da Tropea dove l'abbiamo trovata in un negozio io e mia moglie nel 1990.