Da L’Internazionale del 9 Maggio: Adam Posen, Foreign
Affairs, Stati Uniti
Gli Stati Uniti sono la parte più debole nello scontro con
la Cina. Perché molte delle cose che comprano da Pechino sono difficilmente
sostituibili.
“Se un paese perde miliardi di dollari negli scambi commerciali
praticamente con qualsiasi paese con cui fa affari”, ha scritto una volta il
presidente de gli Stati Uniti Donald Trump in un tweet del 2018, “le guerre
commerciali sono una buona cosa, e si vincono facilmente”.
Ad aprile, quando
l’amministrazione Trump ha imposto dazi superiori al 100 per cento sulle
importazioni degli Stati Uniti dalla Cina, scatenando una pericolosa guerra
commerciale, il segretario del tesoro statunitense Scott Bessent ha dichiarato:
“Penso che questa escalation della Cina sia stato un grave errore, perché hanno
in mano delle carte ridicole. Cosa ci perdiamo noi se i cinesi alzano i dazi
contro di noi? Noi esportiamo in Cina un quinto di quello che loro esportano da
noi, ecco per ché questa per loro è una mano perdente”.
L’amministrazione Trump
è convinta di avere quella che la teoria dei giochi definisce una dominanza
dell’escalation con la Cina e con qualsiasi altro paese con cui hanno un
disavanzo commerciale.
La dominanza dell’escalation, come si legge in un
rapporto della Rand corporation, significa “avere la capacità di intensificare
un conflitto in modi che risulteranno svantaggiosi o costosi per l’avversario,
mentre l’avversario non può rispondere con lo stesso comportamento”.
Se la
logica dell’amministrazione Trump è corretta, allora la Cina, il Canada e
qualsiasi altro paese dovesse rispondere ai dazi statunitensi starebbe
effettivamente giocando una mano perdente.
Questa logica però è sbagliata:
nella guerra commerciale è la Cina ad avere la dominanza.
Gli Stati Uniti
ricevono merci vitali da Pechino, che non si possono sostituire nel giro di
poco tempo né si possono produrre internamente a costi accessi bili.
Ridurre
questa dipendenza potrebbe essere un buon motivo per prendere dei provvedimenti,
ma combattere la guerra in corso prima di averlo fatto è la ricetta per una
sconfitta quasi certa, a un prezzo altissimo.
Le affermazioni
dell’amministrazione statunitense sono fuori strada per due ragioni.
Innanzitutto, entrambi i paesi ne escono danneggiati, perché tutti e due
perdono accesso ai prodotti di cui hanno bisogno. Una guerra commerciale è un
atto distruttivo che mette a rischio anche le forze e il fronte interno di chi
attacca: se chi si difende non ritenesse di poter danneggiare l’aggressore, si
arrenderebbe. Il paragone con il poker fatto da Bessent è fuorviante perché il
poker è un gioco a somma zero: io vinco solo se tu perdi. Il commercio, invece,
è un gioco a somma positiva: nella maggior parte delle situa zioni ci
guadagnano tutti. Nel poker l’unico modo per recuperare una puntata è vincere.
Nel commercio si ottiene sempre qualcosa, nella forma dei prodotti e dei
servizi comprati.
L’amministrazione Trump pensa che più cose si importano meno
si ha da perdere: dato che gli Stati Uniti hanno un disavanzo commerciale con
la Cina, allora i cinesi sono più vulnerabili.
È un errore fattuale, non
un’opinione discutibile. Bloccare gli scambi commerciali riduce le entrate
reali e il potere d’acquisto di un paese. I paesi esportano per guadagnare i
soldi con cui comprare cose che non hanno o cose troppo costose da produrre internamente.
Per di più, anche se ci si concentra solo sul saldo commerciale bilaterale, per
gli Stati Uniti ci sono scarse prospettive di vittoria.
Nel 2024 le
esportazioni statunitensi di beni e servizi in Cina sono state di 199,2
miliardi di dollari e le importazioni dalla Cina di 462,5 miliardi, con un disavanzo
di 263,3 miliardi. Il vantaggio spetta all’economia in surplus. La Cina, il
paese in surplus, rinuncerà alle vendite, la sua unica moneta; gli Stati Uniti,
il paese in disavanzo, rinunceranno a beni e servizi che non producono in modo
competitivo o non producono affatto.
Ma il denaro è sostituibile: se perdi
entrate, puoi tagliare le spese, trovare altri mercati, distribuire il peso dei
mancati guadagni in tutto il paese o attingere ai risparmi (per esempio con
stimoli fiscali). La Cina, come la maggior parte dei paesi in surplus, mette i
soldi da parte invece di investirli. Questo significa che, in un certo senso,
ha troppi risparmi. Gli aggiustamenti sarebbero relativamente facili. Non ci
sarebbero grandi carenze e si potrebbe sostituire gran parte delle vendite agli
Stati Uniti con vendite interne o verso altri paesi. I paesi in disavanzo
spendono più di quanto risparmiano. Nelle guerre commerciali rinunciano o
riducono le forniture di prodotti di cui hanno bisogno (per ché a causa dei
dazi costano di più) e che non sono neanche lontanamente intercambiabili o
sostituibili come il denaro. Di conseguenza, l’impatto si fa sentire su determinati settori, luoghi o famiglie che devono affrontare la mancanza di
prodotti a volte necessari, alcuni dei quali non sostituibili a breve termine.
I paesi in disavanzo, inoltre, importano capitali, e questo rende gli Stati
Uniti più vulnerabili ai cambiamenti di percezione sull’affidabilità del loro
governo e sull’attrattiva del paese come posto in cui fare affari.
Quando l’amministrazione Trump prende decisioni capricciose per imporre un enorme aumento
delle tasse e provoca una grande incertezza sulle filiere del settore manifatturiero,
il risultato sarà una riduzione degli investimenti negli Stati Uniti e, di conseguenza,
un aumento dei tassi d’interesse sul debito.
In sintesi, l’economia
statunitense subirà danni enormi in caso di un’ampia guerra commerciale con la
Cina. Di fatto soffrirà di più, e le sofferenze non faranno che aumentare se
gli Stati Uniti intensificheranno il livello del conflitto.
Trump sarà anche
convinto di mostrare i muscoli, ma di fatto sta mettendo l’economia statunitense
alla mercé di un inasprimento del conflitto da parte cinese. Gli Stati Uniti
soffriranno la mancanza di importazioni critiche, dagli ingredienti di base di
gran parte dei prodotti farmaceutici ai semiconduttori a basso costo usati
nelle automobili e negli elettrodomestici fino ai minerali indispensabili ai
processi industriali, compresa la produzione di armi.
Lo shock nelle forniture
provocato dalla drastica riduzione o dall’azzeramento delle importazioni dalla
Cina, l’obiettivo delle affermazioni di Trump, si tradurrà nella stagflazione
(con trazione del pil insieme all’aumento dell’inflazione), l’incubo
macroeconomico che si realizzò negli anni settanta e nel periodo della pandemia
di covid-19. In una situazione simile le autorità hanno a disposizione solo
scelte terribili e poche possibilità di prevenire la disoccupazione, a meno di
non far aumentare ulteriormente l’inflazione.
L’aggressione economica
Nel caso di una guerra vera e propria, se si ha il timore di
essere invasi sarebbe un suicidio provocare l’avversario prima di essersi
armati. Questo è sostanzialmente il rischio che si corre con l’aggressione
economica di Trump: tenuto conto che l’economia statunitense dipende interamente da fonti cinesi per prodotti essenziali è sconsiderato non assicurarsi
forniture alternative o una produzione interna adeguata prima di troncare i
rapporti commerciali.
Si potrebbe considerare tutto questo una mera tattica
negoziale, a prescindere dalle affermazioni e dalle azioni di Trump e Bessent.
Anche da questa prospettiva, però, la strategia farà più danni che altro. Il
problema dell’approccio economico di Trump è che per essere credibile ha bisogno
di una quantità enorme di minacce autolesioniste, e questo significa che i
mercati e le famiglie si aspetteranno un lungo periodo di incertezza.
Statunitensi e stranieri investiranno di meno nell’economia degli Stati Uniti e
non avranno più fiducia nel fatto che la Casa Bianca possa rispettare un
accordo. Sarebbe perciò difficile raggiungere una soluzione negoziata o un
accordo per attenuare le tensioni.
La capacità produttiva degli Stati Uniti, di
conseguenza, subirà un declino e questo non farà che rafforzare l’influenza
della Cina e di altri paesi sugli Stati Uniti.
L’amministrazione Trump si sta
imbarcando nell’equivalente economico della guerra del Vietnam, una guerra voluta
che presto si trasformerà in un pantano, indebolendo la fiducia, sia interna
sia internazionale, nell’affidabilità e nella competenza degli Stati Uniti. E
si sa com’è an data a finire.