da L'Internazionale del 17 Ottobre 2025 di Nesrine Malik, The Guardian, Regno Unito
Con la fine della guerra, i paesi occidentali che hanno reso possibile la distruzione di Gaza si ripuliscono la coscienza.
Il 13 ottobre Sharm el Sheikh ha ospitato il più importante incontro di leader mondiali in Medio Oriente degli ultimi anni.
Lo statunitense Donald Trump, il britannico Keir Starmer, il francese Emmanuel Macron, lo spagnolo Pedro Sánchez e altri si sono riuniti “per mettere fine alla guerra nella Striscia di Gaza, intensificare gli sforzi per raggiungere la pace e la stabilità in Medio Oriente e inaugurare una nuova era di sicurezza e stabilità nella regione”. Se il cessate il fuoco reggerà, questo linguaggio è un presagio del futuro.
Un futuro in cui non si fan no i conti con quello che è successo né si affrontano le cause profonde. C’è solo una corsa sfrenata verso l’imperativo di ripulire e risolvere.
Nel frattempo l’occupazione illegale continua e un altro capitolo delle violazioni di Israele è chiuso furtiva mente, senza che né a Tel Aviv né ai suoi sostenitori sia chiesto di prendersi le loro responsabilità. C’è un’espressione araba, hameeha ha rameeha, che significa “il custode è il ladro”, e mi viene in mente quando chi ha riempito Israele di armi si riunisce per ca pire come raggiungere la pace a Gaza.
Nelle prossime settimane e mesi si vedrà una Gaza ancora più devastata di quella che è stata mostrata al mondo finora. Sta diventando chiara la portata colossale di quello che deve essere ricostruito.
Le persone tornano alle loro case nella città di Gaza e trovano una terra desolata, rasa al suolo dalle bombe e dai bulldozer. Nelle immagini perfino la luce del sole sembra diversa, ultraterrena. Non riuscivo a capirne il motivo, finché non mi sono resa conto che era perché non c’erano strutture a filtrarla. Nessuna ombra né penombra. Una casa dove tornare è uno spazio su cui piantare un’altra tenda e aspettare gli aiuti. Ma questa volta con meno rischi di essere bombardati nel sonno.
La popolazione di Gaza è stata liberata dalla paura della morte, ma che ne sarà della vita che ora deve affrontare? Che ne sarà delle migliaia di orfani e dei bambini feriti o mutilati senza famiglie sopravvissute? Non è solo l’infrastruttura di gran parte della Striscia a essere stata distrutta, ma anche il tessuto sociale.
Linee familiari di due, tre, quattro generazioni sono state spazzate via. Che ne sarà delle migliaia di genitori che hanno seppellito i figli? E di tutti quelli che hanno raccolto i resti dei loro cari? Come si può anche solo cominciare a pensare di affrontare un simile trauma di massa quando non c’è nemmeno un tetto sotto cui riunirsi?
Ho chiesto a un uomo notizie del fratello, che ha perso tutti i suoi figli e la moglie in un attacco.
Dove si trova ora? “Cammina senza sosta, girando intorno alle macerie” del luogo in cui sono morti. “Smarrito”. Il bilancio delle vittime è destinato sicuramente a salire, man mano che i corpi che prima non potevano essere recuperati sono estratti dalle macerie.
Almeno il 10 % della popolazione di Gaza è stato ucciso o ferito, e questa è una stima prudente.
La storia cancellata
È importante che questi fatti non siano semplicemente sommati e liquidati come costi della guerra. L’assalto deve finire, ma le condizioni alle quali finisce e sulle quali si basa il percorso verso la pace e la ricostruzione sono cruciali.
I crimini che sono stati commessi non possono essere riparati e non si può nemmeno impedire si ripetano, se restano le condizioni che hanno permesso ai loro autori di agire. È difficile insistere su questo punto quando si ha a che fare con un genocidio.
La portata della morte e della violenza, la cancellazione delle condizioni di vita, rendono la fine della distruzione la questione più urgente, l’unico obiettivo. Ma con questo arriva l’assoluzione, e anche peggio. Donald Trump sta già festeggiando la sua vittoria per aver riportato la pace, dopo aver reso possibile quello che è andato avanti per mesi.
Suo genero Jared Kushner ha elogiato la condotta di Israele: “Invece di replicare la barbarie del nemico, avete scelto di essere eccezionali”.
Il premier britannico Keir Starmer ha lodato Trump per aver raggiunto l’accordo e ha sottolineato l’importanza di far entrare gli aiuti umanitari.
E così ora abbiamo un crimine senza criminali, un genocidio senza genocidari, una popolazione miserabile che, dobbiamo credere, è stata ridotta in miseria da Hamas e deve essere nutrita e dissetata mentre il mondo decide cosa farne.
L’intera storia di impunità e dominio israeliani in Palestina, di ripetute pulizie etniche, regime militare, espansione degli insediamenti – e ora di esplicito rifiuto dell’autodeterminazione palestinese – è cancellata, ancora una volta.
Questa volta l’assoluzione, definire quello che è successo un evento tragico e finalmente concluso, è ancora più urgente, perché la responsabilità dei paesi che hanno sostenuto Israele e messo a tacere chi lo critica è più chiara che mai. Ovviamente si precipiterebbe a Sharm el Sheikh chiunque rappresentasse un governo che ha fornito armi, limitato le proteste e rifiutato sia di approvare le dichiarazioni di genocidio sia di obbedire alle richieste della Corte penale internazionale quando ha emesso un mandato di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
La pace a Gaza rappresenta un’opportunità per dimenticare, per cancellare dalla coscienza collettiva un’epoca in cui alcuni paesi occidentali hanno calpestato le norme e le istituzioni internazionali, e perfino la loro stessa politica in terna, per imporre la distruzione di Gaza.
Ma molte persone nel mondo che hanno assistito al massacro e a tutto quello che è servito a sostenerlo per due anni non lo dimenticheranno così facilmente. Il futuro di chi vive a Gaza, e in Palestina in generale, non è qualcosa che può essere fornito dai ladri diventati protettori.
Senza che sia dato potere al popolo palestinese e sia garantita la sua autodeterminazione, non ci può essere fede o fiducia in Israele o nei suoi alleati per quella “pace duratura” costantemente invocata.
Per ora, fortunatamente, le uccisioni a Gaza si sono fermate (!?!), ma ora bisogna rifiutare di normalizzare ciò che seguirà: un ritorno allo status quo in cui tutti continuiamo a fingere che la vita dei palestinesi sia sostenibile sotto l’autorità di Israele.
I palestinesi continueranno a essere uccisi, le loro case rubate, i prigionieri torturati e detenuti senza un regolare processo. Quello che abbiamo imparato negli ultimi due anni non si può dimenticare, nonostante tutta l’energia che sarà spesa perché succeda. La causa palestinese non può essere riportata ai margini di una politica “complessa” e secondaria, un quadro che ha permesso due anni di devastazione. I responsabili si sono da tempo squalificati da qualsiasi mandato sul popolo che hanno contribuito a uccidere e distruggere. Ciò che sarà rivelato dalla conta dei morti e dei danni a Gaza dovrebbe rendere impossibile negarlo.
Mentre i leader mondiali si riuniscono, una frase della poesia Gerontion di T. S. Eliot aleggia su Sharm el Sheikh: “Dopo tale conoscenza, quale perdono?”
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