giovedì, ottobre 23, 2025

LIBRO: "Dislessico famigliare. Cronache (s)connesse di una famiglia straordinariamente normale" di Giampaolo Morelli e Gloria Bellicchi

 

Giampaolo era considerato uno studente pigro, svogliato, addirittura poco dotato, ma la verità era un'altra: il suo cervello, semplicemente, funzionava in modo diverso. 

All'epoca non si parlava di dislessia e disturbi dell'apprendimento, mentre oggi questi temi sono all'ordine del giorno. Eppure, quanto ne sappiamo davvero sull'argomento? È quello che si è chiesta Gloria nel momento in cui ha scoperto che non solo suo marito Giampaolo, ma anche i loro due figli, Gianmarco e Pier Maria, sono dislessici. 

Questo libro nasce dal bisogno di raccontare la quotidianità di una famiglia per tre quarti neuro-divergente: e così, tra compiti a ostacoli e lettere che si rincorrono, prende forma un racconto vivo, umano, che mescola il memoir al consiglio pratico, l'esperienza personale alla riflessione condivisa; senza la pretesa di insegnare, ma con il desiderio di offrire uno spaccato di vita e uno sguardo onesto su ciò che significa convivere con la dislessia - da genitori e da figli -, affrontando le difficoltà ma anche valorizzando le risorse, i talenti, le prospettive diverse. 

Tra aneddoti, errori e traguardi, il lettore troverà una storia in cui riconoscersi e un piccolo vademecum costruito sul campo: utile per chi deve affrontare situazioni simili, illuminante per chi vuole semplicemente capire qualcosa in più. 
Due voci autentiche e autorevoli - quelle di Giampaolo e Gloria - in queste pagine si alternano per mostrare come essere «diversi» non significhi essere sbagliati. 
E come, in fondo, la vera sfida sia imparare a cambiare punto di vista.

Articolo sul La Repubblica Salute di Sabina Pignataro del 3 Ottobre 2025

La dislessia? Un intreccio di difficoltà e disturbi isolati - la Repubblica

Per anni dislessia, disgrafia e discalculia sono state considerate separate. La ricerca mostra che i DSA raramente si presentano in forma isolata. Le novità in occasione della Settimana Nazionale della Dislessia 2025


“Mio figlio è dislessico”. Per anni, questa frase ha significato ricevere un’etichetta precisa: difficoltà di lettura, distinta e separata dalla disgrafia (scrittura), dalla discalculia (calcolo) o da altri disturbi dell’apprendimento. Oggi, però, le cose sono cambiate.

“Un tempo – spiega Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo e dell’Educazione all’Università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento – l’attenzione era concentrata soprattutto nel distinguere con rigore diagnostico ogni singolo disturbo: la dislessia era separata dalla disgrafia, la discalculia da altri deficit, e così via. Era fondamentale che la comunità scientifica, clinica ed educativa riconoscesse la specificità di ciascun disturbo come un problema reale del neuro-sviluppo, mostrando che non si trattava di “pigrizia” o “scarso impegno” del bambino, ma di vere e proprie difficoltà con basi neurobiologiche precise”.

Profili intrecciati

Oggi la prospettiva è diversa. “Sempre più spesso incontriamo profili complessi, con difficoltà che si intrecciano: la lettura può essere compromessa insieme alla scrittura, ai calcoli, all’attenzione, alla memoria, ai processi esecutivi e persino alla regolazione emotiva”, spiega Lucangeli. “È invece raro trovare bambini che presentino soltanto un disturbo specifico, anche severo, di dislessia in forma isolata. Non si tratta soltanto di un problema specifico, ma di una vulnerabilità più ampia, una comorbidità, che riguarda diversi aspetti dello sviluppo cognitivo ed emotivo”.

Per capire cosa significa basta pensare a un bambino che legge lentamente e, nello stesso tempo, commette errori di ortografia, fatica a memorizzare le tabelline e si distrae facilmente. O a una ragazza che rende bene nei compiti orali ma va in ansia davanti a una verifica scritta, perché la memoria di lavoro e la scrittura le costano uno sforzo enorme. In pratica, non si tratta quasi mai di un disturbo isolato, ma di un intreccio che rende le giornate scolastiche piene di ostacoli: leggere un testo, svolgere una divisione, prendere appunti o restare concentrati diventano sfide che si sommano e si amplificano a vicenda.

La visione globale del neuro-sviluppo

Ecco perché oggi i DSA vengono collocati all’interno dei disturbi del neuro-sviluppo: non riguardano solo la scuola o la velocità con cui un bambino legge o scrive, ma riflettono un funzionamento più ampio del cervello e dello sviluppo. Non ci si limita, quindi, a osservare i sintomi scolastici – come leggere lentamente, scrivere con molti errori o fare fatica con i calcoli – ma si considera l’intero percorso di crescita: attenzione, memoria, emozioni, strategie di apprendimento e capacità di affrontare le difficoltà.

Origini e fattori di rischio

Ma allora, come mai si manifestano questi disturbi? Da dove hanno origine? Gli studiosi spiegano che le difficoltà di apprendimento non dipendono da scarso impegno o mancanza di intelligenza, ma da un funzionamento diverso dei processi cognitivi, radicato nello sviluppo e nella maturazione del cervello.

“La ricerca conferma che i primi mille giorni di vita sono decisivi per lo sviluppo del cervello e per la costruzione delle basi emotive e cognitive – spiega Lucangeli –. In quel periodo non contano solo i fattori genetici, ma anche quelli epigenetici: cioè il modo in cui l’ambiente, le relazioni affettive, lo stress vissuto dalla madre durante la gravidanza o le cure ricevute nei primi anni incidono sull’espressione dei geni”. Tradotto nella vita reale: la genetica può predisporre a certe fragilità, ma è l’ambiente a renderle più evidenti o più lievi.

“La prevenzione, l’intervento precoce, la neuroplasticità sono tutte risorse importanti: un bambino seguito da adulti attenti, che riceve stimoli positivi e sostegno, può sviluppare strategie efficaci nonostante le sue vulnerabilità. Al contrario, la mancanza di diagnosi precoci, l’assenza di supporto scolastico o esperienze di stress prolungato possono aggravare le difficoltà e renderle più stabilizzate e meno modificabili già nei primi anni di scuola”.

Un approccio integrato

Un approccio integrato, chiarisce Lucangeli, “ci aiuta a capire che non basta occuparsi della lettura o della scrittura, ma bisogna guardare al percorso complessivo di crescita e apprendimento del bambino. È questo sguardo che permette di trasformare la difficoltà in possibilità, accompagnando lo sviluppo cognitivo ed emotivo nella sua interezza”.

In pratica significa che non è sufficiente allenare un bambino a leggere più velocemente o a scrivere con meno errori. Serve capire come si sente davanti a un compito, quali strategie usa per ricordare, quanto riesce a mantenere l’attenzione, come reagisce all’errore e alla frustrazione. Solo così la difficoltà non resta un ostacolo, ma può diventare l’occasione per sviluppare nuove risorse e strategie di apprendimento.

Un’Italia a due velocità

A confermare la necessità di questo sguardo globale sono i dati diffusi in occasione della Settimana Nazionale della Dislessia 2025, che si è tenuta il 4 ottobre a Rende (Cosenza) con il XIX Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Dislessia.

In quella occasione l’AID lancia un allarme chiaro: “al Sud le diagnosi sono ancora poche e tardive. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, nell’ultimo biennio le certificazioni nelle regioni meridionali si fermano al 2,8%, contro il 7,9% del Nord-Ovest, il 6,7% del Nord-Est e il 6,1% del Centro”.

La presidente AID, Silvia Lanzafame, lo riassume con parole nette: “L’Italia dei DSA è un’Italia a due velocità. 
Se non facciamo squadra per creare la cultura giusta e sostenere la scuola pubblica con strumenti adeguati, il rischio di lasciare indietro molte persone è reale”. 

Ancora più preoccupante è il ritardo nella scuola primaria. 

Secondo i dati AID, solo 49.418 alla primaria, contro 112.210 alle medie e 192.941 alle superiori (a.s. 2022/2023). “Questo significa che molti bambini vivono anni di difficoltà senza una spiegazione, accumulando frustrazione e senso di inadeguatezza”.


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