Giampaolo era considerato uno studente pigro, svogliato, addirittura poco dotato, ma la verità era un'altra: il suo cervello, semplicemente, funzionava in modo diverso.
All'epoca non si parlava di dislessia e disturbi dell'apprendimento, mentre oggi questi temi sono all'ordine del giorno. Eppure, quanto ne sappiamo davvero sull'argomento? È quello che si è chiesta Gloria nel momento in cui ha scoperto che non solo suo marito Giampaolo, ma anche i loro due figli, Gianmarco e Pier Maria, sono dislessici.
Questo libro nasce dal bisogno di raccontare la quotidianità di una famiglia per tre quarti neuro-divergente: e così, tra compiti a ostacoli e lettere che si rincorrono, prende forma un racconto vivo, umano, che mescola il memoir al consiglio pratico, l'esperienza personale alla riflessione condivisa; senza la pretesa di insegnare, ma con il desiderio di offrire uno spaccato di vita e uno sguardo onesto su ciò che significa convivere con la dislessia - da genitori e da figli -, affrontando le difficoltà ma anche valorizzando le risorse, i talenti, le prospettive diverse.
Due voci autentiche e autorevoli - quelle di Giampaolo e Gloria - in queste pagine si alternano per mostrare come essere «diversi» non significhi essere sbagliati.
E come, in fondo, la vera sfida sia imparare a cambiare punto di vista.
Articolo sul La Repubblica Salute
di Sabina Pignataro del 3 Ottobre 2025
La
dislessia? Un intreccio di difficoltà e disturbi isolati - la Repubblica
Per anni dislessia, disgrafia
e discalculia sono state considerate separate. La ricerca mostra che i DSA
raramente si presentano in forma isolata. Le novità in occasione della
Settimana Nazionale della Dislessia 2025
“Mio figlio è dislessico”. Per anni, questa frase ha significato ricevere
un’etichetta precisa: difficoltà di lettura, distinta e separata dalla
disgrafia (scrittura), dalla discalculia (calcolo) o da altri disturbi
dell’apprendimento. Oggi, però, le cose sono cambiate.
“Un tempo – spiega Daniela
Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo e dell’Educazione
all’Università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento –
l’attenzione era concentrata soprattutto nel distinguere con rigore diagnostico
ogni singolo disturbo: la dislessia era separata dalla disgrafia, la
discalculia da altri deficit, e così via. Era fondamentale che la comunità
scientifica, clinica ed educativa riconoscesse la specificità di ciascun
disturbo come un problema reale del neuro-sviluppo, mostrando che non si trattava
di “pigrizia” o “scarso impegno” del bambino, ma di vere e proprie difficoltà
con basi neurobiologiche precise”.
Profili intrecciati
Oggi la prospettiva è diversa.
“Sempre più spesso incontriamo profili complessi, con difficoltà che si
intrecciano: la lettura può essere compromessa insieme alla scrittura, ai
calcoli, all’attenzione, alla memoria, ai processi esecutivi e persino alla regolazione
emotiva”, spiega Lucangeli. “È invece raro trovare bambini che presentino
soltanto un disturbo specifico, anche severo, di dislessia in forma isolata.
Non si tratta soltanto di un problema specifico, ma di una vulnerabilità più
ampia, una comorbidità, che riguarda diversi aspetti dello sviluppo cognitivo
ed emotivo”.
Per capire cosa significa basta
pensare a un bambino che legge lentamente e, nello stesso tempo, commette
errori di ortografia, fatica a memorizzare le tabelline e si distrae
facilmente. O a una ragazza che rende bene nei compiti orali ma va in ansia davanti
a una verifica scritta, perché la memoria di lavoro e la scrittura le costano
uno sforzo enorme. In pratica, non si tratta quasi mai di un disturbo isolato,
ma di un intreccio che rende le giornate scolastiche piene di ostacoli: leggere
un testo, svolgere una divisione, prendere appunti o restare concentrati
diventano sfide che si sommano e si amplificano a vicenda.
La visione globale del
neuro-sviluppo
Ecco perché oggi i DSA vengono
collocati all’interno dei disturbi del neuro-sviluppo: non riguardano solo la
scuola o la velocità con cui un bambino legge o scrive, ma riflettono un
funzionamento più ampio del cervello e dello sviluppo. Non ci si limita, quindi,
a osservare i sintomi scolastici – come leggere lentamente, scrivere con molti
errori o fare fatica con i calcoli – ma si considera l’intero percorso di
crescita: attenzione, memoria, emozioni, strategie di apprendimento e capacità
di affrontare le difficoltà.
Origini e fattori di rischio
Ma allora, come mai si
manifestano questi disturbi? Da dove hanno origine? Gli studiosi spiegano che
le difficoltà di apprendimento non dipendono da scarso impegno o mancanza di
intelligenza, ma da un funzionamento diverso dei processi cognitivi, radicato
nello sviluppo e nella maturazione del cervello.
“La ricerca conferma che i primi
mille giorni di vita sono decisivi per lo sviluppo del cervello e per la
costruzione delle basi emotive e cognitive – spiega Lucangeli –. In quel
periodo non contano solo i fattori genetici, ma anche quelli epigenetici: cioè
il modo in cui l’ambiente, le relazioni affettive, lo stress vissuto dalla
madre durante la gravidanza o le cure ricevute nei primi anni incidono
sull’espressione dei geni”. Tradotto nella vita reale: la genetica può
predisporre a certe fragilità, ma è l’ambiente a renderle più evidenti o più
lievi.
“La prevenzione, l’intervento
precoce, la neuroplasticità sono tutte risorse importanti: un bambino seguito
da adulti attenti, che riceve stimoli positivi e sostegno, può sviluppare
strategie efficaci nonostante le sue vulnerabilità. Al contrario, la mancanza
di diagnosi precoci, l’assenza di supporto scolastico o esperienze di stress
prolungato possono aggravare le difficoltà e renderle più stabilizzate e meno
modificabili già nei primi anni di scuola”.
Un approccio integrato
Un approccio integrato, chiarisce
Lucangeli, “ci aiuta a capire che non basta occuparsi della lettura o della
scrittura, ma bisogna guardare al percorso complessivo di crescita e
apprendimento del bambino. È questo sguardo che permette di trasformare la difficoltà
in possibilità, accompagnando lo sviluppo cognitivo ed emotivo nella sua
interezza”.
In pratica significa che non è
sufficiente allenare un bambino a leggere più velocemente o a scrivere con meno
errori. Serve capire come si sente davanti a un compito, quali strategie usa
per ricordare, quanto riesce a mantenere l’attenzione, come reagisce all’errore
e alla frustrazione. Solo così la difficoltà non resta un ostacolo, ma può
diventare l’occasione per sviluppare nuove risorse e strategie di
apprendimento.
Un’Italia a due velocità
A confermare la necessità di
questo sguardo globale sono i dati diffusi in occasione della Settimana
Nazionale della Dislessia 2025, che si è tenuta il 4 ottobre a Rende (Cosenza)
con il XIX Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Dislessia.
In quella occasione l’AID lancia
un allarme chiaro: “al Sud le diagnosi sono ancora poche e tardive. Secondo i
dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, nell’ultimo biennio le
certificazioni nelle regioni meridionali si fermano al 2,8%, contro il 7,9% del
Nord-Ovest, il 6,7% del Nord-Est e il 6,1% del Centro”.
Se non facciamo squadra per creare la cultura giusta e sostenere la scuola pubblica con strumenti adeguati, il rischio di lasciare indietro molte persone è reale”.
Ancora più preoccupante è il ritardo nella scuola primaria.
Secondo i dati AID, solo 49.418 alla primaria, contro 112.210 alle medie e
192.941 alle superiori (a.s. 2022/2023). “Questo significa che molti bambini
vivono anni di difficoltà senza una spiegazione, accumulando frustrazione e
senso di inadeguatezza”.
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