La persona «grammamante» è dunque il contrario della «grammarnazi»: non pensa che le parole siano qualcosa di fisso e immobile, che va protetto e a cui bisogna ubbidire religiosamente;
al contrario, ha una vera e propria relazione amorosa con le parole, basata sul benessere e in grado di reggere la complessità.
Quella con le parole potrebbe essere una relazione amorosa, erotica, piena di possibilità, e invece spesso si rivela una relazione tossica basata sul possesso.
Di solito se ne parla con un senso di nostalgia, come a dire che una volta la lingua italiana era davvero elegante, mentre oggi viene sporcata dagli inglesismi e usata nella peggior maniera possibile.
In realtà, non è vero che prima la lingua italiana fosse «pura», anche perché si tratta di un idioma piuttosto giovane e da sempre pieno di regionalismi e variazioni, e tutto sommato quello che dovrebbe starci a cuore è che si tratti di una lingua viva, capace di trasportare concetti e dare modo alle persone di esprimersi.
Se una lingua non viene usata per paura che si rovini, non sta svolgendo la sua funzione principale: accompagnare la persona nella scoperta di sé e nella relazione con gli altri e con il mondo.
La storia del nostro rapporto con le parole è legata alla nostra identità, al nostro paesaggio emotivo e all’immaginario: l’ambiente in cui siamo nati, le lingue che abbiamo sentito, le serie che abbiamo visto, i libri che abbiamo letto, le persone che abbiamo incontrato hanno dato vita al nostro «idioletto», cioè l’insieme delle nostre caratteristiche linguistiche.
Ogni «idioletto», spiega Vera Gheno, è qualcosa di simile a un’impronta digitale: è unico e irripetibile, non è lineare e uguale per tutti, e più è ricco di mescolanze più possibilità ci offre. In effetti, a seconda della lingua che parliamo, cambia anche il modo in cui sviluppiamo i pensieri, i gesti che accompagnano le parole, la nostra personalità.
È anche la ragione per cui sul linguaggio ci si scontra spesso: le parole non sono solo parole ma trasportano simboli, significati, cultura, stereotipi, credenze, identità.
Le parole ci permettono di trasmettere e definire le conoscenze con precisione, di diffondere più lontano nello spazio e nel tempo rispetto a tanti altri strumenti di comunicazione.
«Grammamare», dunque, significa amare l’uso delle parole, e ricorda anche la figura del rabdomante: le parole preziose sono intorno a te, hanno un’energia particolare, e sceglierle significa non solo riconoscerle, ma anche essere in grado di stupirsene e di liberare il loro potenziale trasformativo e narrativo.
Eugenio Montale scriveva: «le parole sono di tutti, e non si celano nei dizionari».
Ed Emil Cioran, filosofo rumeno che scriveva in un elegantissimo francese diceva: «Non si abita un Paese, si abita una lingua».
ATTUALITA'
Quanto contano le parole nel raccontare chi siamo?
Quando parliamo di genere e potere, le parole non sono solo accessori: possono costruire la realtà o demolirla.
Quando il linguaggio sminuisce:
Quello che a una lettura superficiale potrebbe sembrare un complimento del presidente USA, 
in questo contesto si rivela, al contrario, 
un’azione invalidante del ruolo della premier. 
Chi rappresenta un Paese va riconosciuto per la sua funzione, non per l’aspetto.
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