martedì, ottobre 28, 2025

Libro, Parole O_Stili ed Attualità: "GRAMMAMANTI" di Vera Gheno


Le parole sono centrali nelle nostre vite e dischiudono infinite opportunità. 
Per questo dovremmo instaurare con loro una vera e propria relazione amorosa, sana, libera, matura. Perché le parole ci permettono di vivere meglio e ci danno la possibilità di cambiare il mondo. 
Chi può definirsi grammamante? Chi ama la lingua in modo non violento, la studia e così comprende di doverla lasciare libera di mutare a seconda delle evoluzioni della società, cioè degli usi che le persone ne fanno ogni giorno parlando. 
Essere grammarnazi significa difendere la lingua chiudendosi dentro a una fortezza di certezze tanto monolitiche quanto quasi sempre esili; 
chi decide di abbracciare la filosofia grammamante, invece, non ha paura di abbandonare il linguapiattismo, ossia la convinzione che le parole che usiamo siano sacre, immobili e immutabili.

Perché per fortuna, malgrado la volontà violenta di chi le vorrebbe sempre uguali a loro stesse, le parole cambiano: alcune si modificano, altre muoiono, ma altre ancora, nel contempo, nascono. 
E tutto questo dipende da noi parlanti: non c’è nessuna Accademia che possa davvero prescrivere gli usi che possiamo farne; siamo noi a deciderlo e permettere il cambiamento. 
È tempo di smettere di essere grammarnazi e tornare ad amare la nostra lingua, apprezzandola per quello che davvero è: uno strumento potentissimo per conoscere sé stessi e costruire la società migliore che vorremmo.

La persona «grammamante» è dunque il contrario della «grammarnazi»: non pensa che le parole siano qualcosa di fisso e immobile, che va protetto e a cui bisogna ubbidire religiosamente; 

al contrario, ha una vera e propria relazione amorosa con le parole, basata sul benessere e in grado di reggere la complessità.

Quella con le parole potrebbe essere una relazione amorosa, erotica, piena di possibilità, e invece spesso si rivela una relazione tossica basata sul possesso

Di solito se ne parla con un senso di nostalgia, come a dire che una volta la lingua italiana era davvero elegante, mentre oggi viene sporcata dagli inglesismi e usata nella peggior maniera possibile. 

In realtà, non è vero che prima la lingua italiana fosse «pura», anche perché si tratta di un idioma piuttosto giovane e da sempre pieno di regionalismi e variazioni, e tutto sommato quello che dovrebbe starci a cuore è che si tratti di una lingua viva, capace di trasportare concetti e dare modo alle persone di esprimersi. 

Se una lingua non viene usata per paura che si rovini, non sta svolgendo la sua funzione principale: accompagnare la persona nella scoperta di sé e nella relazione con gli altri e con il mondo.

La storia del nostro rapporto con le parole è legata alla nostra identità, al nostro paesaggio emotivo e all’immaginario: l’ambiente in cui siamo nati, le lingue che abbiamo sentito, le serie che abbiamo visto, i libri che abbiamo letto, le persone che abbiamo incontrato hanno dato vita al nostro «idioletto», cioè l’insieme delle nostre caratteristiche linguistiche. 

Ogni «idioletto», spiega Vera Gheno, è qualcosa di simile a un’impronta digitale: è unico e irripetibile, non è lineare e uguale per tutti, e più è ricco di mescolanze più possibilità ci offre. In effetti, a seconda della lingua che parliamo, cambia anche il modo in cui sviluppiamo i pensieri, i gesti che accompagnano le parole, la nostra personalità.

È anche la ragione per cui sul linguaggio ci si scontra spesso: le parole non sono solo parole ma trasportano simboli, significati, cultura, stereotipi, credenze, identità. 

Le parole ci permettono di trasmettere e definire le conoscenze con precisione, di diffondere più lontano nello spazio e nel tempo rispetto a tanti altri strumenti di comunicazione.

«Grammamare», dunque, significa amare l’uso delle parole, e ricorda anche la figura del rabdomante: le parole preziose sono intorno a te, hanno un’energia particolare, e sceglierle significa non solo riconoscerle, ma anche essere in grado di stupirsene e di liberare il loro potenziale trasformativo e narrativo. 

Eugenio Montale scriveva: «le parole sono di tutti, e non si celano nei dizionari».

Ed  Emil Cioran, filosofo rumeno che scriveva in un elegantissimo francese diceva: «Non si abita un Paese, si abita una lingua».

ATTUALITA'

Quanto contano le parole nel raccontare chi siamo?

Quando parliamo di genere e potere, le parole non sono solo accessori: possono costruire la realtà o demolirla. 

E allora scegliamole con cura - come fanno i “Grammamanti” di Vera Gheno: 
con dolcezza e ascolto, non per dominarle ma per capirle.

Quando il linguaggio sminuisce:

Un episodio recente ce lo ricorda bene: durante la conferenza stampa al vertice di pace di Sharm el-Sheikh, che ha visto i leader di ventotto Paesi e tre organizzazioni internazionali riunirsi per firmare il documento che traccia il futuro della Striscia di Gaza, Donald Trump ha definito la premier italiana Giorgia Meloni “una bellissima giovane donna”.

Quello che a una lettura superficiale potrebbe sembrare un complimento del presidente USA, 
in questo contesto si rivela, al contrario, 
un’azione invalidante del ruolo della premier. 
Chi rappresenta un Paese va riconosciuto per la sua funzione, non per l’aspetto.

È un esempio chiaro di quanto il linguaggio possa rafforzare o ridurre la leadership femminile
E ci ricorda che, nella nostra lingua, il maschile universale non è davvero neutro: quando diciamo “il medico”, nella nostra mente spesso compare un uomo.

Nessun commento:

Posta un commento