venerdì, febbraio 28, 2025

LIBRO: “Governare le fragilità – Istituzioni, Sicurezza Nazionale, Competitività”

di Roberto Garofoli e Bernardo Giorgio Mattarella


Nonostante i suoi importanti punti di forza l’Italia presenta fragilità che, oggi più che mai, rischiano di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, la competitività, i livelli di benessere.
Le guerre, gli squilibri geopolitici, la frammentazione dell’economia globale, le grandi transizioni in atto – digitale e ambientale – hanno infatti mutato profondamente lo scenario, amplificando gli effetti di alcune storiche debolezze del Paese.
Se alcuni divari rispetto ad altre aree del mondo esigono misure europee, ancor più urgenti dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, altri vanno governati a livello nazionale con nuove politiche.
Alcune sono state messe a punto, in particolare con il PNRR, altre vanno definite.
Tutte richiedono, però, un tempo di attuazione spesso più lungo di quello «della politica e dei governi».
In questa prospettiva, Roberto Garofoli e Bernardo Giorgio Mattarella mettono in luce quanto sia decisivo poter contare su un sistema di governo rafforzato e su una macchina amministrativa più efficiente, all’altezza delle sfide da condurre e in grado di dare continuità alle riforme necessarie.

Una riflessione che gli autori sviluppano per i principali settori da cui dipendono sicurezza e competitività:
  • politica estera, per consolidare la grande vocazione italiana all’export, attrarre investimenti, importare materie prime strategiche;
  • politiche energetiche, per ridurre la dipendenza dall’estero, oltre che i prezzi, tra i più alti in Europa;
  • misure per l’approvvigionamento idrico, indifferibili a fronte di sprechi di acqua non più tollerabili;
  • difesa e sicurezza nazionale, per fronteggiare le crescenti minacce;
  • politiche per il sistema industriale, comprese quelle volte a regolare il rapporto tra Stato e mercato, a coinvolgere i privati nella realizzazione delle infrastrutture critiche, a proteggere gli asset strategici del Paese;
  • politiche economiche, dirette fra l’altro a rafforzare il contrasto all’evasione e a razionalizzare la spesa pubblica, anche nel sistema sanitario, afflitto da perduranti inefficienze oltre che da diseguaglianze profonde;
  • politiche educative, ancor più essenziali in una fase in cui i lavori cambiano repentinamente.
Non meno rilevanti alcuni fattori trasversali:
  • produzione e attuazione delle leggi,
  • funzionamento e digitalizzazione dell’amministrazione,
  • giustizia.
Per ciascun settore il libro esamina le fragilità italiane, le ragioni per le quali è necessario oggi governarle, le politiche e gli adattamenti istituzionali da valutare.

AUTORI:

Roberto Garofoli è presidente di Sezione del Consiglio di Stato, è stato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel governo Draghi, segretario generale a Palazzo Chigi e capo di gabinetto nei ministeri dell’Economia e della Funzione pubblica. Ha presieduto le Commissioni governative in tema di misure di contrasto alla criminalità e alla corruzione.

Bernardo Giorgio Mattarella è professore ordinario di diritto amministrativo presso la Luiss Guido Carli, ove è direttore del corso di laurea in Giurisprudenza. È stato assistente di studio presso la Corte costituzionale, capo dell’Ufficio legislativo del ministro dell’Istruzione e del ministro della Funzione pubblica, presidente e componente di varie Commissioni ministeriali.

 

giovedì, febbraio 27, 2025

MILANEIDE: Itinerario 04 - da Casa Guazzoni a Villa Necchi Campiglio


Gli autori, che ringraziamo per la disponibilità, ma soprattutto bravura, sono:

Giovanni Carlo Biffi - per la fotografia
Luigi Destri - per i testi
Angelo Destri - per i disegni

Link interattivo all' Itinerario 4 - Google Map

Buon Viaggio!

mercoledì, febbraio 26, 2025

LIBRO: “Coscienza artificiale. Come le macchine pensano e trasformano l’esperienza umana” di Lorenzo Perilli

 

Le macchine possono pensare, decidere, riprodursi?
Possono comprendere che cosa sia il bene o il male?
In un viaggio che ripercorre il cammino del sogno più antico dell’uomo, Lorenzo Perilli indaga le possibilità concrete di sviluppare una coscienza artificiale e che cosa questo significherebbe per l’umanità: un’opera che non solo affronta il futuro della tecnologia ma la natura stessa di ciò che siamo soliti chiamare realtà.
Immaginare che i processi dell’intelligenza – i processi mentali, i processi che portano al costituirsi della coscienza – siano riprodotti per via algoritmica è oggi qualcosa di plausibile.
La rivoluzione tecnologica in corso è destinata a lasciare un segno indelebile su tutti gli aspetti della nostra vita individuale e associata, dallo sviluppo delle nostre capacità cognitive all’interazione tra individui, dalla democrazia al mondo del lavoro, dall’insegnamento alla comunicazione; ma a ridefinirsi è anche il rapporto tra vero e falso, il concetto di responsabilità e le definizioni stesse di umano e di macchina.
Se le macchine algoritmiche sono ampiamente in grado di superare il test escogitato da Alan Turing nel 1950 per poterle dire «intelligenti», che senso ha allora parlare di una demarcazione tra artificiale e umano?
A partire dalle riflessioni di Omero e Aristotele, Cartesio e Leibniz, Norbert Wiener e Douglas Hofstadter, Coscienza artificiale ci spinge a riflettere su tematiche che mai gli esseri umani si sono trovati ad affrontare prima che l’evoluzione delle macchine li costringesse a farlo.
Un’opera profonda e innovativa, che ci rivela come la tecnologia di oggi non sia più stolida materia inerte o qualcosa che reagisce alle nostre sollecitazioni, ma un vero e proprio soggetto autonomo; e che ciò di fronte a cui potremmo infine trovarci è una nuova forma di esistenza.

martedì, febbraio 25, 2025

Quanto guadagnano i tuoi colleghi

 

Da l’Economist del 14 Febbraio 2025

In molti paesi la legge impone una maggiore trasparenza sui compensi nelle aziende. 
È un modo per ridurre le disparità salariali. Ma ha anche degli effetti negativi.
Quanto sono pagati i vostri colleghi? In alcuni paesi, come la Norvegia, è possibile saperlo consultando i dati sulle tasse e sul reddito complessivo di ogni contribuente, che sono pubblici.
Nella maggior parte degli altri, invece, bisogna chiedere agli interessati.
Una cosa socialmente accettabile come dire: “Che brutto bambino”.
Zoë Cullen, della Harvard business school, e Ricardo Perez-Truglia, dell’University of California, Los Angeles, hanno offerto del denaro ai dipendenti di una banca del su dest asiatico se fossero riusciti a sapere quanto avrebbero guadagnato alcuni loro colleghi. Nella maggior parte dei casi le persone non se le sono sentita, né i loro colleghi erano disposti a dirlo, soprattutto se pensavano di guadagnare più degli altri.
Le norme sulla privacy e la riservatezza sul reddito sono il motivo che spinge i legislatori attenti al tema delle disparità salariali a chiedere più trasparenza. 
Pochi sistemi sono radicali come quelli scandinavi, ma cresce il numero di paesi in cui s’impone alle aziende di rendere conto dei divari salariali di genere (e di altro tipo), di pubblicare le fasce retributive negli annunci di lavoro o di evitare di chiedere ai candidati informazioni sui redditi precedenti.

Una direttiva dell’Unione europea sul tema entrerà in vigore nel 2026.

L'analisi di Cullen rivela un quadro con luci e ombre. 
Sapere quanto guadagnano le persone che svolgono lavori simi li ha contribuito a ridurre il divario retributivo di genere. Questo però non è avvenuto perché i dipendenti meno pagati hanno ricevuto degli aumenti, ma perché i salari medi sono stati ridotti.
La trasparenza sembra offrire ai datori di lavoro un potente strumento di contrattazione: 
le aziende possono dire che, se aumentano lo stipendio a una persona, poi devono farlo a tutti. Una legge danese del 2006 impone alle aziende al di sopra di una certa dimensione di rendere noti i divari retributivi di genere.

Ma uno studio del 2019 ha rilevato che il divario tra uomini e donne si è ridotto soprattutto perché i dipendenti maschi avevano registrato una crescita salariale più lenta.

Anche la produttività delle aziende danesi interessate dal fenomeno è diminuita, forse perché scoprire di essere sottopagati ha scoraggiato i lavoratori con salari più bassi o perché quelli pagati di più sono stati infastiditi dal freno agli aumenti salariali.

Ci possono essere anche altri effetti. Per esempio, l’obbligo di includere i dettagli salariali negli annunci di lavoro sembra spingere le retribuzioni verso l’alto, in parte perché sia le aziende sia i dipendenti hanno migliori informazioni sui livelli del mercato.
La trasparenza può anche spingere a essere più motivati.
Secondo uno studio di Cédric Gutierrez, dell’università Bocconi, e altri autori, la trasparenza sul reddito dei docenti universitari statunitensi ha spinto i più pagati a impegnarsi di più. Insomma, se guadagnate tanto, è meglio che dimostriate il vostro valore.
Per quanto riguarda le disparità salariali tra i dirigenti e i dipendenti, si potrebbe immaginare che queste differenze alimentino il risentimento. Ma possono an che stimolare l’ambizione.
Cullen e Perez Truglia suggeriscono che i dipendenti sottovalutano quanto guadagnano i dirigenti, ma lavorano anche molto di più quando scoprono le possibili ricompense legate a una promozione.
Data questa esigenza di trasparenza, diventa ancora più importante stabilire la giusta connessione tra retribuzione e risultati. 
Un lavoro di James Flynn, dell’università di Miami, ha analizzato cos’è successo quando, nel 1990, furono pubblicati i compensi dei giocatori di hockey su ghiaccio del Nordamerica.
Quelli sottopagati si concentrarono su gol e assist, più remunerati delle azioni difensive, a scapito però delle prestazioni complessive della squadra.
Insomma, la trasparenza retributiva offre vantaggi e insidie: 
  • nel migliore dei casi dovrebbe colmare i divari salariali ingiusti e fornire ai lavoratori più in formazioni dentro e fuori le aziende;
  • nel peggiore dei casi, il morale e la produttività potrebbero risentirne perché la ricerca dell’equità può portare a una crescita salariale più lenta.

La luce del sole è bella, ma può anche essere dannosa.


lunedì, febbraio 24, 2025

Elenco NEGOZI e PUNTI RACCOLTA dove è possibile VOTARE su Modulo cartaceo con Firma - 24/02/2025 - Anche in Comune presso l' URP

 


Incoraggiamo i cittadini a VOTARE 
per far diventare il 
Parco Borghetto un Luogo del Cuore FAI.

Con un piccolo sforzo (basta una firma) 
ogni cittadino può contribuire a rendere la nostra Città più bella.

Più voti raccoglieremo e più fondi il FAI metterà a disposizione 
per rispristinare gli edifici del Parco Borghetto ora inagibili 

Anche TU puoi dare il tuo contributo!



LIBRO: “La Metamorfosi” di Franz Kafka

 

Più che mai attuale

La Metamorfosi, opera emblematica di Franz Kafka, può essere interpretata attraverso una prospettiva metafisica che rivela dimensioni profonde della decadenza spirituale e del malessere esistenziale della modernità.

La storia di Gregor Samsa, che si trasforma in un insetto mostruoso, simboleggia la disumanizzazione e l’alienazione che colpiscono l’individuo nel mondo moderno, separato dalle proprie radici spirituali.

Gregor, una volta una persona comune, perde la sua essenza e diventa estraneo a sé stesso e agli altri, incarnando così la condizione umana contemporanea, inondata di valori materialisti e utilitaristici.

La reazione della famiglia Samsa, che rifiuta Gregor dopo la sua trasformazione, mette in risalto l'incapacità della società moderna di riconoscere e integrare gli aspetti spirituali e trascendenti dell’esistenza.

Questa incapacità porta all'isolamento, all'incomprensione e, infine, alla distruzione dell’individuo.

La perdita di identità e il declino di Gregor riflettono la decadenza dell’uomo moderno, intrappolato nel vortice di una vita privata del suo significato profondo.

Attraverso la sua storia, Kafka evidenzia la fragilità e la vulnerabilità dell’uomo in un mondo che non ha connessione con il sacro.

La trasformazione di Gregor diventa quindi una potente metafora della decadenza spirituale, dell’alienazione e della disperazione che derivano da questa separazione.

In generale, La Metamorfosi di Kafka, vista da questa prospettiva, è una critica acuta della modernità e dei suoi effetti sull’anima umana.

Ci invita a riflettere sui pericoli dell’alienazione e della perdita di significato, sottolineando l'importanza di riconnetterci per combinare i principi spirituali e metafisici al fine di recuperare una vera comprensione della nostra esistenza.


domenica, febbraio 23, 2025

Il Di-Vino Galileo Galilei

 

Da "il Corriere della Sera - La Lettura del 16 Febbraio 2025"

Per un toscano o un veneto il vino non è semplicemente una bevanda o un cibo o una fonte di euforia, ma un simbolo della vita quotidiana, della convivialità e, per gli intellettuali, un nutrimento della stessa ricerca del sapere. Galileo Galilei (1564-1642), che visse i suoi anni giovanili tra Pisa e Firenze e poi la maturità a Padova prima di tornare a Firenze, fu esposto sin da giovane alla tradizione enologica.

Il vino, oltre a essere una componente fondamentale della dieta mediterranea, era — come lo è ancora oggi — al centro di dibattiti filosofici e artistici. Pensiamo ai quadri di Tiziano, Caravaggio o Guido Reni e agli scritti di Boccaccio, Poliziano, Lorenzo il Magnifico e delle corti medicee, fino al poema Bacco in Toscana di Francesco Redi, di pochi anni successivo a Galileo. Nell’ode Contro il portar la toga scritta a venticinque anni durante la docenza triennale presso l’ateneo pisano (la cui breve durata sembra in parte dovuta alla volgarità dell’ode stessa nei confronti dei colleghi di rango superiore), Galileo elenca le molte osterie di Pisa da lui frequentate, e discute la correlazione inversa tra la bellezza delle bottiglie e la qualità del vino.

Galileo si trasferì a Padova nel 1592 e vi trascorse diciott’anni, da lui stesso poi definiti i migliori della sua vita. Acquistò una casa in via dei Vignali (oggi via Galilei) con un terreno a vigna, e cominciò a produrre vino. Oltre a produrlo, ne comperava e ne riceveva in dono: vini veneti, rossi toscani e vini del sud della penisola e della Grecia. Il suo allievo prediletto e biografo, Vincenzo Viviani, oggi sepolto con lui in Santa Croce, scrisse che Galileo amava «l’esquisitezza e varietà de’ vini d’ogni paese [...]: e tale era il diletto ch’egli aveva nella delicatezza de’ vini e dell’uve e del modo di custodire le viti ch’egli stesso di propria mano le potava e le legava negli orti delle sue ville, con osservazione, diligenza e industria più che ordinaria, e in ogni tempo si dilettò grandemente dell’agricoltura, che gli serviva insieme di passatempo e d’occasione di filosofare».

Galileo stimava in circa quattro bozze la quantità di vino che quattro amici possono bere insieme in una serata di conversazione. 

  • L’unità di misura veneta di capacità era il mastello, che a Padova conteneva circa 71 litri (la quantità variava da città a città). 
  • Un mastello si divideva in 72 bozze (bottiglie di circa un litro); 
  • una bozza si divideva in 4 goti (bicchieri). 
  • Un goto equivaleva a circa il doppio dell’unità minima, detta «ombra», ancor oggi in uso in Veneto.

Galileo amava parlare di vino, in particolare con il suo allievo e poi amico Giovanfrancesco Sagredo. Dopo la prematura scomparsa di Sagredo nel 1620, Galileo lo renderà immortale facendolo protagonista del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) e dei Discorsi e dimostrazioni matematiche (1638). Sagredo introdusse Galileo nell’alta società veneziana e alla gioia di bere. Quando divenne tesoriere della Repubblica veneziana a Palma (oggi Palmanova), per invogliarlo a fargli visita, Sagredo gli descrisse con passione i vini friulani e istriani. 

Nel novembre 1606 gli scrisse: «Quest’anno i vini da Buri [Buttrio] molto famosi non sono riusciti dolci, et quelli da Rosazzo sono tra il dolce et il garbo; ma nel costo riescono salati, poiché si vendono [...] a [...] l’istesso che la Malvasia in Venetia. Io, con tutto questo, ne ho compro tre mastelli, uno de’ quali ho mandato al Signor Donà Moresini [il Doge], che me lo ricercò, uno si è quasi bevuto, et un altro si è fatto mez’acqua, né è cosa degna di lei. Qui ho gustati vini d’Istria, moscateli e ribole assai buone, et l’anno venturo spero farne qualche provisione per qualche amico et per qualche amica».

Moscatelli e ribolle, oggi ben noti, erano già molto apprezzati all’epoca, come documentato nel Trattato della coltivazione delle viti di Giovanni Vittorio Soderini pubblicato da Giunti nel 1600, un ricco catalogo della biodiversità viticola dell’epoca, con la descrizione di una cinquantina di varietà. Il pittore Bartolomeo Bimbi (1648-1729) ha dipinto accuratamente queste uve.

A Galileo il vino suggeriva anche immagini poetiche. 

Bellissima è la frase «Il vino è composto di umore e luce»

Insomma, per Galileo il vino, frutto dell’interazione tra sole, terra e acqua, era una testimonianza materiale dell’armonia del mondo. E anche dell’ingegno. 

Galilei usò il vino rosso come «tracciante» in esperimenti di idraulica. In particolare, nei suoi Discorsi e dimostrazioni matematiche descrive un esperimento dal risultato sorprendente: «S’io empio d’acqua una palla di cristallo, che abbia un foro angusto quant’è la grossezza d’un fil di paglia, e così piena la volto con la bocca all’in giù, [...] se io presenterò a quel foro un vaso con del vino rosso, che quasi insensibilmente è men grave dell’acqua, lo vedremo subito con tratti rosseggianti lentamente ascendere per mezzo l’acqua, e l’acqua con pari tardità scender per il vino, senza punto mescolarsi, sin che finalmente la palla si empirà tutta di vino e l’acqua calerà tutta nel fondo del vaso di sotto». Molti filosofi non ci credettero (anche Alexandre Koyré nel XX secolo), ma Galileo aveva ragione: in assenza di instabilità e turbolenze, i due liquidi si scambiano sorprendentemente di posto senza mescolarsi.

Galileo applicò la scienza anche alla produzione del vino, in particolare nell’ultima parte della vita. Soprattutto dal 1617, quando si stabilì in una casa di Bellosguardo che aveva una buona vigna, e dal 1631 nella villa Il Gioiello di Arcetri — trovata dalla figlia primogenita e prediletta Virginia, divenuta suora col nome di Maria Celeste — Galileo si dedicò con assiduità alla viticoltura. 

Il Gioiello disponeva di un’ampia vigna, confinante con il convento di suor Maria Celeste. Nella tecnica di vinificazione «alla toscana» l’uva veniva pestata nei tini e lasciata con le vinacce fino a venti giorni, poi il mosto veniva messo in piccole botti, tenute aperte fino al giorno di San Martino. Conclusa questa fermentazione, se il vino era buono si chiudevano le botti e si iniziava a berlo. 

Questo metodo dava vini privi di «possanza» anche se con un tenore alcolico non lontano da quello dei vini odierni: poteva arrivare a 10 o perfino 13 gradi. 

Ai tempi di Galileo la moda però stava cambiando: si stava passando a vini più decisi, svinando le botti non prima di Natale. Accanto a vini comuni ottenuti mescolando uve diverse si stava inoltre diffondendo l’usanza di vini monovarietali.

Galileo inventò un metodo innovativo per fare il vino. Ne parla Viviani: «Per cavare da un medesimo tino il vino dolce e maturo, e far che vi resti l’agro, si faccia empiere il tino di uve senza ammostare in grappoli intieri, e si lasci così stare qualche poco di tempo; che sturando la cannella, uscirà vino maturo, che sarà quello dei grani delle uve più maturi, spremuti dal peso e carico proprio dei grappoli, che sono i primi a scoppiare, e dopo che sarà uscito tal vino dolce, pigiando et ammostando l’uve ne uscirà il vino assai meno maturo, anzi assai agro». Sono gli elementi di una tecnica oggi chiamata macerazione carbonica, vinificazione in un’atmosfera povera di ossigeno e ricca di anidride carbonica (la quale nella procedura di Galileo veniva prodotta dalla fermentazione in ambiente chiuso) che favorisce la formazione di aromi di frutti rossi e limita l’asprezza e l’astringenza. 

Fu l’enologo francese Michel Flanzy a codificarla nel 1934, dando origine ai vini novelli come il Beaujolais nouveau, venduto in tutto il mondo dal terzo giovedì di novembre, e a produzioni come i vini novelli italiani.

Grazie alla prestigiosa Accademia dei Georgofili, che dal 1753 promuove studi legati all’agricoltura, è stata ricostruita la cantina della villa di Galileo. Essa possedeva almeno tre botti (di ciliegio, oggi poco usato ma che dava al vino profumi particolari), quattro barili e gli strumenti necessari alla produzione. Le misure di capacità normalmente utilizzate in Toscana venivano dalla tradizione medievale. Un fiasco (all’epoca di Galileo privo dell’impagliatura, poi introdotta per proteggere il vetro da urti e luce) conteneva circa 2,28 litri e corrispondeva a otto quartucci; un barile conteneva 20 fiaschi, circa 46 litri. Le botti non avevano una capacità standard, e corrispondevano a quattro barili ma anche a sei. Galileo attingeva a vini di tipologie diverse «due e a quattro fiaschi per volta, ora bianco, ora rosso» per evitare che si guastasse rimanendo nelle botti.

Molte informazioni sul rapporto tra Galileo e il vino vengono dal suo carteggio, in particolare con la figlia Maria Celeste. Di lei possediamo 124 lettere al padre (dal 1623 alla sua morte nell’aprile 1634, otto anni prima della scomparsa di Galileo), e tra queste ben 36 menzionano il vino. 

Sappiamo che Galileo produceva vino bianco (il preferito di Maria Celeste) e rosso, e ne faceva dono alla figlia e alle sue consorelle (fra cui l’altra figlia, suor Arcangela, con la quale Galileo non parlava). Tra le uve bianche coltivate c’erano la verdea, casta poi caduta in disuso e recentemente recuperata, citata anche nell’ode Contro il portar la toga, e la lugliola. Sappiamo inoltre che il vino di Galileo non sempre riusciva buono (lettera dell’ottobre 1633). Purtroppo non possediamo le risposte di Galileo, probabilmente distrutte dalla superiora per timore di attirare sul convento accuse di eresia.

Anche in Toscana Galileo non solo produceva vino ma ne acquistava e ne riceveva in regalo. Dalla corte medicea giungevano vini provenienti dalle cantine del Granduca o dalle fattorie. Non mancavano grossi acquisti: suor Maria Celeste parla in una lettera del 1633 dell’arrivo da San Miniato di dieci barili di vino. Da un’altra missiva del 1634 sappiamo che Geri Bocchineri, segretario del Granduca Ferdinando II e amico di Galileo, si offrì di procurargli «cinque barili, bianco, rosso, ciliegiuolo, chiarello, claretto [i claretti venivano prodotti soprattutto in Provenza], bruschetto, piccante, dolce, e di qualunque altro colore o sapore che vostra signoria desideri». Galileo inviava salumi all’amico Ascanio Piccolomini di Siena per averne in cambio vini prodotti in una vigna presso Montalcino.

Avere una cantina ben fornita fu per Galileo una grande consolazione. E quando il vino scarseggiava scriveva lettere ansiose, come quella all’amico Benedetto Guerrini, nel nevoso marzo 1637, in cui afferma di preferire ormai il piacere del vino a quelli dell’amore e del cibo, e di gradire i vini calabresi, siciliani e i claretti. «I freddi eccessivi, l’uno della stagione e l’altro della mia vecchiaia, l’esser ridotto al verde il regalo grande di due anni fa delli 100 fiaschi, [...] oltre all’essermisi guastato il vino di due botticelle di questo del paese, mi mettono in necessità di ricorrere al sussidio e favore di V. S. [...], 40 fiaschi, non curando punto di risparmio di spesa, perché risparmio tanto in tutti gli altri gusti corporali, che posso lasciarmi andare a qualche cosa a richiesta di Bacco, senza offesa delle sue compagne Venere e Cerere. Costì non debbon mancare Scillo e Carino, né meno la patria del mio maestro Archimede Siracusano; i Grechi, i Claretti ecc. Avranno, come spero, comodo di farmeli capitare col ritorno delle casse della dispensa».

Un episodio curioso riguarda la polemica sulla natura delle comete che vide contrapposti Galileo e il gesuita Orazio Grassi, che culminò nell’opera Il Saggiatore (1623) in cui il Maestro affermava di voler analizzare il problema con «bilancia esquisita e giusta», per l’appunto una bilancia da saggiatore, in contrasto con la rozzezza del suo rivale. Grassi gli rispose traducendo provocatoriamente «saggiatore» in «assaggiatore», alludendo alla sua passione per il vino. Curiosamente, invece di rispondere con sarcasmo, Galileo replicò stizzito.

Non sembra comunque che Galileo abusasse del vino, se non raramente. Una leggenda vuole che appena giunto in Veneto, dopo un’abbondante libagione in una villa sui colli di Costozza, egli si fosse addormentato sulla bocca d’aria di un «ventidotto» (un condotto per rinfrescare gli ambienti con aria proveniente da una grotta) e si fosse risvegliato con dolori dai quali non guarì mai.

Periodi di difficoltà possono favorire qualche eccesso, e Galileo ne ebbe diversi. In una lettera dolcissima del 4 giugno 1633, a Roma per il processo che si sarebbe concluso con la sua condanna, la figlia gli scrive: «Mi dispiace che le sue doglie non la lascino, se bene par quasi necessario che il gusto ch’Ella sente nel bere cotesti vini così eccellenti sia contrapesato da qualche dolore, acciò, astenendosi dal berne maggior quantità, venga ad ovviare a qualche altro maggior nocumento che potrebbe riceverne».

Quando nel 1638 ricevette la visita di John Milton, che nel suo Paradiso perduto (1667) lo cita ben tre volte (unico contemporaneo menzionato nel poema), Galileo era da poco divenuto cieco. E particolarmente triste e «mal ridotto», come scrisse Viviani, anche per il «sagrifìzio, per lui gravissimo, di dover rinunziare al vino, contro l’abuso del quale e in termini amorevolissimi lo ammoniva la prediletta sua primogenita».

Negli ultimi anni, inoltre, i denti di Galileo si deteriorarono. L’autopsia rivela che «nella mandibula superiore mancavano tutti i denti, fuori dei due ultimi molari, ed erano per la vecchiezza totalmente aboliti gli alveoli; [al]la mandibula inferiore mancavano parimente tutti i denti fuori che i quattro incisori, e i due ultimi molari». Non è dunque escluso che il vino facesse da nutrimento al vecchio Galileo, il quale, a quanto riferì Viviani, diceva: «Questo bere mi conduce alla bara».

La passione di Galileo per il vino, ampiamente documentata, ha in parte associato il genio toscano alla diffusa idea dell’ebbrezza alcolica come via privilegiata per accedere a verità nascoste o nuove forme di conoscenza. 

Tuttavia, per quanto centrale nella vita di Galileo, e nonostante le raccomandazioni e talvolta i rimproveri della sua prediletta primogenita, questo rapporto pare restare abbastanza sano, anche in relazione ai costumi dell’epoca e alle abitudini di altri grandi scienziati contemporanei come Keplero. 

In un periodo in cui il sapere era spesso soggetto a censura e dogmi, e l’acqua non di rado risultava putrida, possiamo facilmente immaginare Galileo sorseggiare un bicchiere di vino mentre rifletteva sulle orbite planetarie o sulle leggi del moto, trovando in quella bevanda conforto e ispirazione.


sabato, febbraio 22, 2025

LIBRO: Dare un'anima alla politica di Bruno Bignami

 

L’immagine evangelica del lievito, non preoccupato della propria visibilità e tuttavia capace di far fermentare la pasta, è il simbolo di una presenza allo stesso tempo serena e ferma, pacifica ed efficace.

È così che possiamo pensare, anche oggi, il ruolo dei cristiani in politica.

Il libro è diviso in due parti.

La prima è fondativa e mostra come il cristianesimo tocca e forma le coscienze. La fraternità ha profonde radici teologiche e si è affermata nel percorso della dottrina sociale della Chiesa. Inoltre, chi si lascia interpellare dal mistero cristiano, e lo celebra con fede, viene trasformato dal dono di Cristo e può offrire con consapevolezza al mondo il dono delle proprie aspirazioni, visioni e competenze.

La seconda parte raccoglie alcune testimonianze di vissuto o di pensiero sulla spiritualità in politica. Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira e David Sassoli (per giungere quindi all’attualità) raccontano, attraverso la loro esperienza in epoche diverse, differenti sfumature del rapporto tra spiritualità cristiana e politica e mostrano di aver trovato nel vangelo una comune ispirazione a prendersi cura del bene comune.

venerdì, febbraio 21, 2025

PARCO BORGHETTO - Luogo del Cuore FAI: da OGGI si può VOTARE su Modulo Cartaceo anche in COMUNE all'URP!


 

PAROLE O_STILI: Odio

L’odio si insinua nelle parole, si nutre di pregiudizi e cresce nei silenzi. 

Non è un’espressione di libertà, ma una scelta che ferisce, divide e crea muri.

Eppure l’odio è un’emozione antica quanto gli uomini e le donne, radicata nella paura, nell’incomprensione e nel dolore. 

Nasce spesso dalla fragilità, odiamo soprattutto quando ci sentiamo minacciati o incapaci di accettare ciò che è diverso. 

Odiando però, perdiamo l’occasione di capire.

Non possiamo sempre scegliere quello che ci accade, ma possiamo decidere come rispondere.

Possiamo riconoscere le nostre emozioni senza lasciare che ci dominino. 

Possiamo sostituire l’odio con il coraggio di accettare, con la volontà di cercare punti di incontro, con l’apertura di chi non ha paura di guardare l’altra persona negli occhi. 

Liberarsi dall’odio non significa dimenticare le ingiustizie o tollerare il male, ma trovare modi per affrontarlo senza restare intrappolati nella spirale della rabbia. 

È una scelta consapevole per costruire il mondo

L’odio pesa, consuma.  

 

LIBRO: “MOLLAMI – Educare i figli adolescenti e trovare la giusta distanza per farli crescere” di Daniele Novara

 

Quelli dell'adolescenza sono anni che mettono alla prova sia i figli sia i genitori.

Un'età che può togliere serenità in famiglia ma durante la quale si gettano le basi per aiutare le nostre ragazze e i nostri ragazzi a diventare adulti consapevoli.

Quali strategie si possono mettere in atto per guidarli in una fase così delicata?

Quali comportamenti sono da adottare per continuare a essere presenti senza diventare soffocanti e rispettando il loro bisogno di libertà?

In che modo i genitori si possono aiutare tra loro nel nuovo gioco di squadra educativo?

Ed è possibile trovare un metodo che consenta di orientarsi anche nei momenti di conflitto, crisi e smarrimento?

Daniele Novara - il più importante pedagogista italiano e tra i massimi esperti nella gestione dei conflitti - ci mostra come costruire un'organizzazione familiare adatta a questo periodo di passaggio verso l'età adulta e suggerisce diverse modalità pratiche e innovative - dalla tecnica del paletto all'ascolto senza commento, dalle comunicazioni di servizio al silenzio attivo - che in questi anni hanno già aiutato tanti genitori a vivere l'adolescenza dei figli senza inquietudine e con la giusta distanza.

Perché, come ci ricorda l'autore, davanti a noi abbiamo "ragazzi e ragazze in crescita che sgomitano per conquistare la propria vita", e il nostro compito è quello di "avere un progetto educativo, per rispondere alla necessità imperiosa e imprescindibile che ci consegnano: hanno bisogno di noi, ma in un modo completamente diverso da quando erano bambini".


mercoledì, febbraio 19, 2025

EUROSTAT: La classifica degli stipendi europei (reali)

 

La classifica degli stipendi (reali): Italia ultima tra i grandi Paesi, la mappa interattiva | Corriere.it

E’ un grafico che fa impressione. Lo trovate a questo link dell’ufficio di statistica europeo dell’Eurostat, basta cliccare sulla mappa interattiva cliccando su ogni singolo Paese e potrete capire la retribuzione netta media nei Paesi Ocse parametrata al potere d’acquistoDunque, questa analisi ci dice esattamente quanto si guadagna davvero. Cioè, quanto è il nostro vero potere d’acquisto, secondo un calcolo medio delle retribuzioni nette nel nostro Paese, per acquistare beni e servizi.

La valuta che certifica il potere d’acquisto

La classifica ci dice che siamo ultimi tra i grandi Paesi occidentali, dietro a Francia, Germania e Spagna, che per economie e modello di sviluppo, demografia e stato sociale, somigliano a noi (qui la classifica in valori assoluti dei principali Paesi). I dati si riferiscono all’anno 2023, l’ultimo disponibile confrontando i valori nei Paesi Ocse. 

La parola chiave è il Purchasing Power Standard (PPS), una valuta artificiale che certifica lo stesso potere d’acquisto in tutti i Paesi.

Mille PPS in Italia ci permettono di acquistare gli stessi beni e servizi di mille PPS in Svizzera. 

La conversione tra euro (o un’altra valuta) non è costante ma cambia per ogni Paese.

Quali sono i salari reali medi

In questo modo possiamo vedere i reali dati su quanto si guadagna in Italia e nel resto dei Paesi avanzati.

La classifica si riferisce alla retribuzione netta di una persona single senza figli. 

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Nell’Unione europea nel 2023 è stata di 27,5 mila PPS, contro una media italiana di circa 24 mila PPS. La media dell’Ue è del 15% maggiore di quella italiana.

La Svizzera svetta in testa con oltre 47 mila PPS di stipendio netto medio.

A seguire i Paesi Bassi con oltre 38mila, la Norvegia, il Lussemburgo, l’Austria, la Germania (con quasi 35mila PPS all’anno). 

In Germania lo stipendio medio per una persona single senza figli è di 34,9 mila PPS, in Francia di 28,5 mila PPS e in Spagna di 24,5 mila.

Lo stipendio medio tedesco è maggiore a quello italiano del 45 per cento, quello francese del 18% e quello spagnolo del 2%. Tra i grandi Paesi europei, l’Italia è dove si guadagna di meno a parità di costo della vita.

In Italia penalizzati i redditi sopra i 50 mila euro all’anno

Questo grafico testimonia quello che è avvenuto negli ultimi anni. I bonus e le detrazioni che si sono stratificati negli anni hanno creato una tassazione dei redditi da lavoro caotica. Ci sono casi in cui a un aumento dello stipendio lordo corrisponde una diminuzione di quello netto. Queste modifiche hanno ignorato le fasce di reddito medio-alto (sopra i 40.000 euro lordi annui, corrispondenti a circa 2.100 euro netti mensili). Un lavoratore che guadagna 50.000 euro si trova così a pagare la stessa imposta marginale di un dirigente che ne guadagna 200.000 euro. Un’anomalia dell’Irpef italiana è quella di avere la soglia dello scaglione maggiore a un livello molto basso; questo livello era 75.000 euro ma è stato ridotto ulteriormente a 50.000 euro nel 2021.

La fuga dei talenti

Per questo i talenti decidono di trasferirsi altrove, in base alla qualità della vita che quel Paese offre loro. Dipende da una molteplicità di fattori ogni scelta di vita, certo: la disponibilità di servizi, le reti sociali, la famiglia e la soddisfazione personale. 

Ma è indubitabile che il salario e le tasse pagate sui redditi giochino un ruolo decisivo. 

I giovani hanno meno necessità di servizi: necessitano meno di servizi sanitari e, non avendo ancora figli, di servizi per l’infanzia. Un altro fattore fondamentale è la formazione, dato che un lavoro che insegna competenze importanti può garantire un salario più alto in futuro. Ecco in tutti parametri siamo in grande ritardo (qui puoi leggere il caso del Portogallo che ha azzerato il costo del lavoro sui giovani cercando di attrarli: il lordo per loro diventa netto)

martedì, febbraio 18, 2025

LIBRO: La dieta amica del clima

 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Ottorino Pagani

Il libro La dieta amica del clima” si propone come una guida completa e aggiornata sul legame cruciale tra cibo e cambiamento climatico. Gli autori, esperti nel settore, analizzano in dettaglio limpatto ambientale delle nostre scelte alimentari, offrendo al contempo strumenti pratici per orientarsi verso un consumo più sostenibile.

Il libro non si limita a denunciare limpronta ecologica del sistema alimentare attuale, ma ne analizza le cause profonde, fornendo dati e informazioni scientifiche aggiornate. Si parte dall’impatto della produzione agricola, passando per la trasformazione industriale, fino ad arrivare al consumo e allo spreco alimentare. 

Uno degli elementi distintivi del libro è il food ranking, un sistema di classificazione che permette di confrontare limpronta carbonica dei diversi alimenti. Questo strumento si rivela prezioso per fare scelte consapevoli al momento della spesa, privilegiando i prodotti a minore impatto ambientale.

Il libro non si limita a fornire informazioni teoriche, ma offre anche una serie di consigli pratici per adottare unalimentazione più sostenibile. Suggerimenti che spaziano dalla scelta di prodotti locali e di stagione alla riduzione del consumo di carne, dall’attenzione all’imballaggio all’impegno nella lotta contro lo spreco alimentare.

Vengono inoltre approfonditi temi specifici legati al cibo e all’ambiente, come limportanza dell’acqua, il ruolo dei latticini, limpatto della pesca e dell’acquacoltura, e limportanza di unagricoltura sostenibile.

La dieta amica del clima” si rivolge a un pubblico ampio e variegato, dai consumatori più attenti e consapevoli agli operatori del settore alimentare, dagli studenti ai semplici curiosi. Il linguaggio è chiaro e accessibile, e le informazioni fornite sono supportate da dati scientifici rigorosi.
Il libro si conclude con un invito all’azione, sottolineando come le scelte individuali di ciascuno possano fare la differenza nel contrastare il cambiamento climatico. Un piccolo cambiamento nelle nostre abitudini alimentari può contribuire a costruire un futuro più sostenibile per tutti.

Gli autori:

Giuliano Rancilio è ricercatore al Politecnico di Milano, nel Dipartimento di Energia. Nella sua attività di ricerca lavora sui temi della transizione ecologica e della decarbonizzazione. In particolare, si occupa di energie rinnovabili, di mobilità sostenibile, di regolazione e policy dei sistemi elettrici, di iniziative di sostenibilità dal basso come le comunità energetiche. È docente presso il Politecnico nei corsi di laurea in Ingegneria energetica ed elettrica.

Davide Gibin attualmente lavora presso lAutorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa). Ha conseguito una laurea magistrale al Politecnico di Milano nel 2015 con una tesi sull’impatto ambientale della produzione e consumo di cibo, ha inoltre svolto un dottorato sulla stessa tematica nel 2021 presso lUniversità di Brescia.