lunedì, maggio 05, 2025

LIBRO: "Storia dell’aborto" di Giulia Galeotti

Nell'antichità l'aborto era fondamentalmente una questione di donne, il feto era considerato una sorta di appendice del corpo della madre, e l'aborto era perseguibile solo nei casi in cui ledeva un interesse maschile.

È il cristianesimo che per primo equipara l'aborto all'omicidio, ma ci vorranno secoli per codificare il momento in cui avviene l'animazione del feto. La situazione muta radicalmente tra il Sei e Settecento quando il feto acquista una sua autonomia, grazie alle acquisizioni scientifiche, e con la Rivoluzione francese, dopo il 1789, entra nella sfera pubblica.

Con il movimento femminista e con la depenalizzazione dell'aborto oggi molti segnali ci dicono che qualcosa sta cambiando: l'aborto è una questione di tutti, donne e uomini.

---------

La prima cosa davvero interessante da dire è che del corpo delle donne per secoli non si è saputo niente.

Pensateci: prima del progresso scientifico del Seicento, il corpo umano era un mistero. Questa ignoranza, nel corso della Storia, ha avuto il curioso effetto di proteggere la sfera intima delle donne. Delle donne non si sapeva niente, del concepimento non si sapeva niente, delle mestruazioni non si sapeva niente. Era anche praticamente impossibile distinguere tra aborti naturali, volontari, infanticidi.

Nessuna era certa di essere gravida fino a quando la pancia non iniziava a crescere: la malnutrizione rendeva il ciclo sporadico, e spesso le donne – e gli uomini – cercavano in altri sintomi (voglie, sensazioni) piuttosto incerti, la prova dell’avvenuto concepimento. 

Al netto di questa ignoranza, il fulcro della faccenda, in epoca antica, riguardava l’autonomia del feto rispetto alla gestante. Cioè, se si potesse già considerare il feto un individuo a sé.

Il giureconsulto romano Ulpiano disse: "mulieris portio vel viscerum", ossia che il feto, prima del parto, è parte delle viscere della donna. Questa visione, che dà alla donna piena autorità in materia di maternità, si accorda con il fatto che la mortalità infantile era allora all’ordine del giorno. Questo voleva dire che era molto più importante salvare e tutelare la donna durante il parto rispetto al bambino, che sarebbe comunque morto, con ogni probabilità, nei primi anni di vita.

Gli uomini non presenziavano al momento del parto, e i medici lo consideravano un evento indegno delle loro capacità. 

Così erano le donne a far nascere e le donne a far morire, come emerge da certi racconti straordinari di storici che si dilungano sul felice rapporto tra donne, piante officinali e veleni vari – usati per abortire. 

Non so quanti di voi abbiano letto il bel romanzo Lapvona di Ottessa Moshfegh. Uno dei personaggi più interessanti che lo animano è quello di Ina, una levatrice cieca che allatta i bambini del villaggio, conosce i segreti delle piante e vive da emarginata, temuta eppure ricercata da tutti. Era questa in effetti l’aura delle levatrici, come racconta Galeotti citando Yvonne Verdier: “Fait les bébés et fait les morts”. Molte delle donne condannate per stregoneria dal 1400 al 1700 furono levatrici.

Ad ogni modo, il filo che sostiene una totale appartenenza del feto alla madre si snoda fino ad arrivare a oltre il 1700, quando il giurista Cangiamila dice: “Il frutto mentre è sull’albero è porzione del medesimo”. Naturalmente però, di fili ce ne sono stati molti, spesso dipanati dai grandi monoteismi e intrecciati alle scoperte scientifiche e alle teorie filosofiche delle varie epoche.

Tra i greci e i romani, l’aborto era moralmente e legalmente accettato a patto che il padre fosse d’accordo. Del resto, si pensava che l’anima entrasse nel corpo del neonato solo una volta che questo fosse uscito dalla pancia della donna. Tra i “non favorevoli” noti in Grecia ci sono Ippocrate – che considerava la pratica rischiosissima – e gli stoici, che sostenevano che la natura dovesse fare il suo corso senza che l’uomo stesse lì a interromperla. 

A Roma l’aborto – considerato puramente l’asportazione di una parte della donna – era praticabile, purché non offendesse il padre.

Stupisce l’episodio raccontato da Tito Livio secondo cui, nel 214 a.C., in segno di protesta contro una legge che vieta loro le carrozze, le matrone decidono di scioperare e procurarsi aborti volontari finché non le riottengono. 

C’è chi storce il naso: tra questi Plinio il Vecchio, che sostiene che l’aborto sia una devianza femminile, e altri che temono per l’estinzione del genere umano. Perché a Roma si legiferi per la prima volta sull’aborto bisogna però aspettare l’epoca Caracalliana, dopo circa l'anno 200, durante la quale le donne che abortiscono per far dispetto all’uomo vengono condannate a un breve esilio, e coloro che trafficano con filtri magici e ricette abortive ai lavori forzati.

È un momento importante, che segna il parziale ingresso dell’aborto nella pubblica piazza.

Raffigurazione del parto a Roma.

Con il cristianesimo le cose cambiano: l’aborto diventa omicidio.

Ne La dottrina dei dodici apostoli, databile attorno all’anno 100, si dichiara che l’aborto è senza dubbio peccato perché si uccide una creatura di Dio. Tra l’altro, dato che spesso le donne si procuravano un aborto per nascondere l’adulterio, i peccati si sommavano.

Ma in quale momento della gestazione, per la Chiesa, viene infusa l’anima nel nascituro? Non tutti sono concordi nell’affermare che questa infusione avvenga fin dal principio, ma in linea di massima per i cristiani l’embrione prima e il feto poi non appartengono alla madre, ma sono già organismi autonomi di fronte a Dio, e ne è la prova il fatto che non basta che la donna sia battezzata perché lo sia automaticamente anche il figlio. Solo nel caso in cui il feto metta a repentaglio la vita della donna, allora si può procedere con il male necessario. Questo è un dettaglio importante.

Per il cristianesimo la vita del bambino non sarà mai più importante di quella della donna, a differenza di quanto non succederà molti secoli dopo in ambito laico

Ad ogni modo, il Concilio di Elvira del 300 circa stabilisce che la donna che ha commesso adulterio e poi si è procurata un aborto deve essere per sempre esclusa dalla Chiesa. Bisogna pensare però che, prima di Costantino, il cristianesimo era un culto frequentato da pochi. Quindi nel momento in cui viene concessa la libertà di culto, circa dieci anni dopo il Concilio, è vero che aumenta il numero di cristiani, ma il dogmatismo della fede inizia a diluirsi nella massa, e le pene per l’aborto si ammorbidiscono.

In ogni caso, il cristianesimo sarà sempre severamente contrario alla pratica, e le dichiarazioni dei Papi che ancora oggi fanno indignare e scandalizzare sono gli echi di una tradizione millenaria, che molto difficilmente potrà essere scalfita.

Dal breviario di Martino I d’Aragona.

Ora, è vero che il cristianesimo è rigido, ma ricordiamoci che siamo ancora in un’epoca di grande confusione medica e anatomica, e per le donne è ancora piuttosto facile nascondere una gravidanza o addirittura non accorgersi di essere incinte. Vale la pena chiedersi allora come si pensava avvenisse il concepimento da un punto di vista scientifico.

Fino al Seicento, l’idea diffusa era che l’utero fosse un contenitore che permetteva allo sperma maschile di fermentare e dare luogo all’embrione. La donna quindi era un ricettacolo passivo utile a far maturare il potenziale maschile. Tutto cambia con il progresso scientifico, la scoperta del microscopio, lo studio dei cadaveri, delle piante e degli animali. Prende piede la buffa ipotesi preformazionista grazie alla scoperta dei “testicoli femminili”, ossia le ovaie al cui interno si troverebbero già esserini preformati.

Stravaganti ipotesi a parte, è in questo periodo che gli uomini – medici – vengono ammessi al parto. 

Si tratta di un cambiamento enorme. I dottori lavorano in coppia, e si dividono in medici e chirurghi: i primi sono intellettuali, teorici, di classe sociale alta, i secondi popolani. Del resto, spesso la storia della medicina è animata da barbieri, come accade nel caso della chirurgia estetica: in Italia, per lungo tempo, i nasi sono stati proprietà esclusiva dei barbieri.

E come spesso avviene quando gli uomini occupano un campo che è sempre stato delle donne, inizia una campagna violenta per sminuirle. 

Così le levatrici perdono improvvisamente il loro ruolo sociale. Perfino la più illustre tra costoro, Louise Boursier, sposata con un medico e che operava nella corte francese, subirà una campagna di diffamazione da parte dei colleghi maschi a seguito della morte della sorella della regina, avvenuta a sei giorni dal parto supervisionato da Boursier. 

Dice Scipione Mercurio nel 1603 che i parti “per lo più sono commessi da donne le quali troppo presumono nella medicina (...). Imparino a eseguire quello che da periti medici vien comandato e non vogliano intromettersi in professione tanto disconveniente al loro stato”.

Louise Boursier.

Il Settecento è il secolo in cui il feto, fino ad allora inimmaginabile ai più, viene mostrato. Compaiono i manuali di anatomia dove viene illustrato nel dettaglio, e questa visione cambia tutto. Ancora oggi, mostrare il feto, descriverlo, è un affare spinoso, su cui antiabortisti e pro-choice si scontrano: vedere un organismo già piuttosto formato rende molto difficile liberarsene senza sensi di colpa o tentennamenti. Oltretutto, spazza via i dubbi sull’autonomia o meno rispetto alla madre: il feto è un individuo, e come tale va rispettato.

Ecco, è successo: ora il feto è un affare pubblico, maschile. Cambia tutto. L’intimità che la donna aveva con se stessa e il suo corpo viene violata, e la sua autorevolezza minata. È la scienza a dire se una donna è incinta o meno, è la scienza a stabilire la natura di quel feto, è la società a decidere le sorti dell’eventuale nascituro. In questo contesto, muta ovviamente anche il controllo della Chiesa sul corpo delle donne.

Se l’embrione è già formato, il problema dell’infusione dell’anima viene meno, e l’aborto è un omicidio a qualunque stadio della gravidanza. E infatti nel 1679 il Sant’Uffizio condanna la possibilità di abortire per le ragazze ai primi stadi di gravidanza che altrimenti verrebbero diffamate o uccise e sancisce una volta per tutte che l’anima esiste dal momento del concepimento.

Diventa poi legittimo praticare un cesareo post-mortem per salvare l’anima del feto, e i peccati legati alla gravidanza si moltiplicano: ora non ci si deve muovere troppo, ballare o divertirsi, onde evitare aborti spontanei.

Nel 1500 Leonardo Da Vinci disegnò il feto pur senza averlo mai visto.

Con la rivoluzione francese, il valore della nascita cambia ancora di significato: un paese più popoloso è un paese più forte. Quindi l’aborto non è tanto un problema morale, religioso: è tema sociale, politico.

Diderot scrive che quanto più uno Stato è popoloso, tanto più sarà potente. La mortalità delle donne durante il parto, unita a quella neonatale, genera preoccupazione nei cittadini e stimola invettive contro gli Stati che non si curano delle loro donne. Di conseguenza, il ruolo di madre viene ammantato di un eroismo drammatico. È qui che nasce l’idea della maternità come sacrificio, della donna disposta a tutto, perfino a morire, pur di far vivere il nascituro. La gravidanza è un affare di Stato, e la donna incinta non appartiene più a se stessa ma alla propria patria.

I Paesi europei si impegnano per sistematizzare la conoscenza acquisita: si formano nuove levatrici sottoposte ai medici, si insegna alle donne come nutrirsi e cosa fare e non fare in gravidanza. 

A questo punto il nascituro non va difeso in quanto individuo o creatura divina, ma in quanto futuro cittadino. 

Non a caso questo è il momento in cui lo Stato inizia gradualmente a prendere il posto della Chiesa per quanto riguarda lo sviluppo del cittadino vita natural durante: si fanno censimenti – un tempo appannaggio del clero – e si registrano nascite, morti e matrimoni.

In Italia le decisioni giuridiche prese riguardo all’aborto nell’Ottocento sono durate fino al 1975. Sono previste pene severe dai 5 ai 10 anni, ma nella fattispecie vengono raramente applicate troppo severamente, perché coloro che tentano di abortire rischiano la vita e non vengono considerate sane di mente; vengono invece condannate le donne che l’aborto lo praticano.

In Italia dopo la Prima guerra mondiale e con il fascismo le pene per chi pratica l’aborto si inaspriscono, perché, in epoca colonialista, dove grande enfasi era posta sulla potenza militare, le donne che lo richiedono stanno impoverendo il Paese. 

Addirittura negli anni Quaranta ci sono ancora invettive contro il coito interrotto, che defroda lo Stato di futuri cittadini. 

La direzione generale della Sanità sostiene che: “Al pari della denatalità, l’aborto è un male che si diffonde e si intensifica nelle Nazioni più evolute, dove la donna, nell’egoistico desiderio di crearsi una vita emancipata, si allontana dalla sua missione naturale di sposa e madre”.

Naturalmente, con la Germania nazista, le cose si fanno più inquietanti. Mentre si incoraggia la “razza ariana” a procreare, si accorda il permesso di abortire alle razze inferiori, fino ad arrivare a vere proprie condanne a morte per le donne gravide non ariane: è per questa ragione che nel ghetto di Kovno in Lituania il rabbino Oshry permette alle donne ebree di abortire perché fossero risparmiate dal Regime.

Due curiose eccezioni: in Russia dal 1920 al 1936 l’aborto è legale, e dal ‘36 lo diventa anche in Spagna per volontà della ministra della sanità Federica Montseny. Verrà però reintrodotto come reato da Franco, appena quattro anni dopo.

Manifesto fascista della "Giornata della madre e del fanciullo".

Dagli anni Cinquanta in poi cambia tutto. Le donne occidentali, dopo le guerre, sono più consapevoli dei propri diritti, bisogni e importanza.

I valori contadini vengono meno, la Chiesa perde il ruolo di guida morale, perde fedeli, le donne vogliono autodeterminarsi e finalmente, con l’avvento della pillola, possono farlo.

Otterranno poi la legalizzazione dell’aborto in Italia nell’81, e saranno libere di scegliere se e quando procreare, rendendosi conto della struttura patriarcale che per millenni aveva regolato le loro vite anche – e soprattutto – a causa dell’ineludibilità del loro destino di madre.

Si comincia a parlare di aborti, si comincia a raccontarli, e quella esperienza una volta segreta, pericolosa e vergognosa diventerà uno dei temi che unirà di più le donne nelle battaglie per i diritti civili.

Le donne di tutto il mondo si auto accuseranno di aver abortito, spediranno lettere ai ministeri di giustizia, le donne famose ammetteranno di averlo fatto su riviste e quotidiani, e persino i magazine femminili cominceranno a parlarne, sbattendo in faccia alle istituzioni e ai governi un problema comune a tutte. Si renderanno pubblici i processi alle ragazze ree di aver abortito, si organizzeranno manifestazioni femministe partecipatissime.

In Italia il dibattito sul tema è vivacissimo sui quotidiani e in televisione, e rimane famosa la risposta di Italo Calvino a Pier Paolo Pasolini che era contrario all’aborto

“Nell’aborto chi viene massacrato, fisicamente e moralmente, è la donna; anche per un uomo cosciente ogni aborto è una prova morale che lascia il segno, ma certo qui la sorte della donna è in tali sproporzionate condizioni di disfavore in confronto a quella dell’uomo, che ogni uomo prima di parlare di queste cose deve mordersi la lingua tre volte. Nel momento in cui si cerca di rendere meno barbara una situazione che per la donna è veramente spaventosa, un intellettuale impiega la sua autorità perché la donna sia mantenuta in questo inferno. Sei un bell’incosciente, a dir poco, lascia che te lo dica. Non riderei tanto delle misure igienico-profilattiche; certo, a te un raschiamento all’utero non te lo faranno mai. Ma vorrei vederti se t’obbligassero a essere operato nella sporcizia e senza poter ricorrere agli ospedali, pena la galera. Il tuo vitalismo dell’integrità del vivere è per lo meno fatuo. Che queste cose le dica Pasolini, non mi meraviglia. Di te credevo che sapessi che cosa costa e che responsabilità è il far vivere delle altre vite”.

C’è anche quella di Giorgio Manganelli, che non è da meno.

E oggi? Oggi in Italia c’è ancora la 194, che è una legge che non piace quasi a nessuno. 

Ma  bisognerebbe ricordarsi di difendere il diritto all’aborto, non una legge imperfetta.

Ospedale Henry Ford di Frida Khalo.




Nessun commento:

Posta un commento