«Cosa c'è di più facile del
volto? Tutti ne abbiamo uno, e abbiamo a che fare con quello degli altri.
Eppure, di tutte le cose che ci capita di guardare, il volto rimane la più
enigmatica».
Dopo "Cromorama" e
"Figure", Riccardo Falcinelli rivoluziona ancora il nostro sguardo su
qualcosa che diamo per scontato: le facce.
Nell'arte, nei film, nelle
pubblicità, su TikTok e anche nello specchio ogni mattina.
Pubblicando i selfie su Instagram
ci poniamo gli stessi problemi che si è posto ogni artista e comunicatore nella
Storia: cercare di rendere una faccia più eroica, autorevole, addirittura
divina.
O magari conferirle valori
morali, come i pittori del Rinascimento, che ritraevano i sovrani accanto a una
colonna o una tenda per esprimere maestà e prestigio.
La faccia è la parte del corpo
più soggetta ad attribuzioni di senso: anche se tendiamo a considerarli
qualcosa di «naturale», i volti sono sempre una costruzione culturale.
Da Alessandro Magno a Rita
Hayworth, da Elsa di "Frozen" al bambino della Kinder, dall'icona di
Cristo fino alle foto sulle lapidi dei nostri nonni, con immensa profondità di
analisi e verve narrativa, Falcinelli inventa una «facciologia», chiamando in
causa l'arte, la semiotica, le neuroscienze, la storia politica, la moda e i
cosmetici.
Perché il volto che ci costruiamo
può determinare la vita che faremo.
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