mercoledì, ottobre 23, 2024

CARITAS: XXXIII Rapporto Immigrazione 2024 – Popoli in cammino

 

Contesto internazionale

Secondo il World Migration Report dell’International Organization for Migration (IOM), da circa 84 milioni di migranti internazionali nel 1970, passiamo a 153 milioni nel 1990 e agli attuali 281 milioni; più del triplo in 55 anni.

Che corrispondono al 2,3% della popolazione mondiale nel 1970 al 2,9% nel 1990 fino all’attuale 3,6% della popolazione mondiale.

Il fenomeno è globale, con bilanci relativamente stabili (a livello macro, in America Latina, Africa, Medio Oriente ed Asia gli emigranti superano gli immigranti, mentre Europa, Oceania e America Settentrionale presentano un saldo, all’opposto, positivo) e direzioni di flusso abbastanza radicate (in termini molto generali, dall’antica periferia globale verso il centro, occidentale, del sistema, seppur la mobilità intra-regionale rappresenti un fenomeno rilevante, specialmente per i rifugiati).

Contesto italiano: cittadinanze

Nel 2023 si è assistito anche a una progressiva diminuzione degli arrivi e della presenza di cittadini ucraini nel nostro Paese, che è attestata con più evidenza dai dati relativi al 2024.

In realtà, le stime dell’UNHCR sui cittadini ucraini dicono che, seppure abbiano fatto rientro in Ucraina 1,3 milioni di sfollati e 324 mila rifugiati in altri Stati, alla fine del 2023 rimanevano ancora 9,7 milioni di ucraini forzatamente migrati.

Sono invece aumentati nel 2024 gli arrivi via aerea da parte di cittadini dall’America Latina, Peruviani in particolare. La difficile situazione economica, sociale, l’insicurezza diffusa nel Paese hanno determinato un aumento del flusso migratorio.

Al 1° gennaio 2024 la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni e 990 mila unità (dati provvisori), in calo di 7 mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente.

La componente straniera è decisiva per mantenere stabile la popolazione residente: la popolazione residente di cittadinanza straniera al 1° gennaio 2024 è di 5 milioni e 308 mila unità, in aumento di 166 mila individui (+3,2%) sull’anno precedente.

L’incidenza sulla popolazione totale tocca il 9%. Il 58,6% degli stranieri, pari a 3 milioni e 109 mila unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11,3%. Altrettanto attrattivo per gli stranieri è il Centro, dove risiedono 1 milione e 301 mila individui (24,5% del totale) con un’incidenza dell’11,1%. Più contenuta la presenza di residenti stranieri nel Mezzogiorno, 897 mila unità (16,9%), che raggiunge un’incidenza di appena il 4,5%.

Supera le 200 mila unità il numero di cittadini stranieri che nel 2023 hanno acquisito la cittadinanza italiana, dato in linea con l’anno precedente (214 mila), pur se in leggero calo.

La popolazione di cittadinanza straniera è nettamente più giovane rispetto a quella italiana: nella prima, la classe di età prevalente è quella fino a 17 anni (20,6%), seguita dalla fascia opposta; ovvero quella dei 60enni e over (10,8%); dai 35-39enni (10,7%) e dai 40-44enni (10,2%).

La totalità dei permessi di soggiorno validi fino ai primi 3 mesi del 2024 è di 4.244.521, in leggero aumento dal 2023 (+0,4%).

Quanto alle prime dieci nazionalità dei titolari, il primato spetta ancora al Marocco, seguito da Albania e Ucraina. Nella stessa graduatoria riappare al decimo posto la Tunisia, che lo scorso anno era stata sopravanzata dalla Moldavia.

Criminalità e discriminazioni: attori, ma anche vittime di reato

Il dato della presenza straniera negli istituti penitenziari è coerente con quello degli ultimi anni. Al 31 dicembre 2023 i detenuti stranieri erano 18.894 su un totale di 60.166, pari al 31,4% della popolazione carceraria complessiva. Di questi, 18.193 erano uomini e 701 donne.

Per quanto riguarda la geografia carceraria, le prime cinque nazioni più rappresentate sono il Marocco (il 20% della popolazione straniera ristretta), la Romania (l’11%), l’Albania (il 10%), la Tunisia (il 10%) e la Nigeria (il 6%).

Pur rappresentando meno di un terzo della popolazione carceraria femminile, parla straniero quasi la metà delle detenute madri con figli al seguito (sono 11 mamme migranti con 11 figli su un totale di 20 donne detenute e di altrettanti bambini al seguito).

Agli immigrati, al pari di chi è nato in Italia, sono contestati soprattutto reati contro il patrimonio (9.635 detenuti stranieri), reati contro la persona (8.130) e reati in materia di stupefacenti (5.988).

I cittadini stranieri risultano vittime di violenze e frodi più dei cittadini italiani, a cui si aggiungono anche molteplici forme di discriminazione, talvolta istituzionalizzate.

Scuola e formazione

Il numero degli alunni con cittadinanza non italiana, dai dati dell’ultima rilevazione, si avvicina ai 915 mila, rappresentando quasi l’11,2% del totale della popolazione scolastica. Negli ultimi anni inoltre è cresciuto il numero di bambini e ragazzi non accompagnati e rifugiati.

La complessità di queste presenze fa emergere nuovi bisogni e pone domande al sistema scolastico e formativo. In questi anni la scuola ha fatto passi avanti sui temi dell’accoglienza e dell’integrazione, tuttavia divari e criticità permangono ancora, anche per gli studenti provenienti da contesti migratori ma nati e cresciuti in Italia (sono il 64,5% sul totale degli alunni con cittadinanza non italiana, e in progressivo aumento).

Tra le principali difficoltà si segnalano:

·       la ridotta frequenza della scuola dell’infanzia da parte dei figli di immigrati provenienti in particolare da Asia e Africa;

·       il ritardo scolastico, a causa di ritardato inserimento iniziale e ripetenze;

·       la difficoltà nel completamento e proseguimento degli studi;

·       l’abbandono scolastico, in particolare dopo la scuola secondaria di primo grado.

In molti casi, disturbi dell’apprendimento vengono certificati e medicalizzati, e sono in aumento. Spesso sono gli alunni stranieri che vengono “certificati”: difficoltà normali di apprendimento linguistico o difficoltà di orientamento da parte di chi è un nuovo arrivato, da famiglie e tradizioni diverse, vengono etichettate con diagnosi “scientifiche”.

È importante promuovere e adottare misure comuni e condivise di accoglienza e integrazione nel maggior numero di scuole al fine di evitare discrezionalità e disparità da scuola a scuola, da città a città.

Da un’analisi dei libri di testo in uso nel sistema scolastico italiano emerge che il ruolo della scuola e dei processi di scolarizzazione nell’integrazione della popolazione straniera risulta marginale.

Allo stesso tempo, è completamente assente un discorso sui minori non accompagnati e sulle protezioni che la normativa internazionale e la legge italiana riserva loro, nonostante sia un fenomeno di ampia portata.

In generale, si parla poco delle difficoltà incontrate dalle persone migranti nei Paesi di destinazione, non trovano spazio l’azione della Chiesa cattolica, di altre istituzioni religiose, né di associazioni della società civile nel sostegno alla popolazione immigrata e ai processi di integrazione sul territorio, così come non compaiono in alcun modo migranti in situazioni legate alla religiosità.

Nel 2024, a distanza di tre anni dalla prima rilevazione, è stata lanciata una nuova indagine sui doposcuola diocesani nella sfida post-pandemica, che ha coinvolto le Caritas e Migrantes sul territorio, al fine di verificare l’impatto delle azioni attuate dagli operatori diocesani, se queste siano proseguite anche dopo la pandemia o se siano state avviate azioni supplementari di supporto alla didattica in favore degli alunni stranieri, e quali eventuali nuovi bisogni/fragilità siano emersi dalla fine della pandemia ad oggi.

Sono 121.165 gli studenti con cittadinanza straniera iscritti negli atenei italiani, il 6,3% del totale degli studenti universitari in Italia, categoria che negli ultimi 10 anni è cresciuta del +74%, dai 69.582 iscritti nell’anno 2013/2014.

Si tratta sia di foreign student, studenti con cittadinanza straniera diplomati in Italia (il 31,5% dell’insieme degli studenti universitari in Italia con cittadinanza straniera e il 2% del totale degli studenti), sia di international student, studenti che hanno affrontato un percorso migratorio per motivi di studio, lasciando la famiglia nel Paese d’origine (il 4,3% del totale degli iscritti negli atenei italiani e oltre la metà degli studenti con cittadinanza straniera in Italia).

I foreign student provengono in prevalenza da Romania (10.302), Albania (5.053), Cina (2.406), Ucraina (1.957) e Marocco (1.924), nazionalità fra le più presenti tra i residenti stranieri in Italia. Gli international student, invece, per lo più da Iran (9.837), Cina (5.687), Turchia (4.939), India (4.066) e Albania (2.971).

Lavoro, povertà ed economia

Il 2023 ha visto una crescita complessiva dell'occupazione in Italia rispetto all'anno precedente. L'analisi rivela una realtà complessa e sfaccettata, segnata da differenze significative tra cittadini italiani e stranieri, nonché da persistenti disparità di genere e nazionalità.

La crescita ha riguardato prevalentemente gli occupati italiani (+2,3%), a fronte di un leggero aumento della componente non comunitaria (+0,2%) e di un lieve calo degli stranieri con cittadinanza Ue (-0,5%).

Il volume dei rapporti di lavoro attivati dai cittadini stranieri ammonta a 2.518.047, di cui il 75,9% di nazionalità non-Ue (1.910.624).

I datori di lavoro che, nel corso del 2023, hanno assunto almeno un lavoratore straniero sono stati 414.409 (35,1% del totale delle aziende che, nel periodo, hanno registrato delle attivazioni). Il 70,8% dei rapporti attivati sono stati a tempo determinato, il 20,3% a tempo indeterminato, il 3,2% contratti di apprendistato, l’1,5% contratti di collaborazione e il 5,6% altre modalità.

A livello provinciale, la maggior parte delle attivazioni si è avuta a Milano (9,8%), seguita da Roma (8,0%), Bolzano (3,3%), Verona (2,8%) e Firenze (2,5%). Le attivazioni che hanno riguardato i cittadini stranieri sono state come “personale non qualificato” nei vari settori, soprattutto in:

·       agricoltura e manutenzione del verde (22,2% del totale),

·       servizi di pulizia,

·       costruzioni e professioni assimilate,

·       spostamento e consegna merci.

Continua a prevalere l’inquadramento come operaio (73,9% degli occupati totali) rispetto a quello come impiegato (11,1%), quadro (0,9%) o dirigente (0,2%).

Contemporaneamente, in Italia è ancora diffusa la tendenza secondo cui migranti altamente istruiti continuano a essere meno occupati delle controparti native, e a occupare spesso posizioni per le quali sono sovra-qualificati, e l’Italia è tra i Paesi dove la sovra-qualifica è più elevata.

A guardare la tendenza generale in atto, tra il 2019 e il 2023, la domanda di lavoratori immigrati è aumentata significativamente, superando la crescita generale delle assunzioni (+68,6%, rispetto al +19,4% per tutte le assunzioni programmate).

Di conseguenza, la quota di lavoratori stranieri sulle assunzioni totali è salita dal 13,6% del 2019 al 19,2% del 2023.

La crescita nelle assunzioni riguarda tutti i livelli professionali: sono quasi raddoppiate per gli operai specializzati (+75% per le professioni tecniche) e incrementate del 67% per le professioni qualificate nel commercio e nei servizi, che rappresentano il 27% della domanda di personale straniero.

I giovani migranti mostrano un tasso di occupazione superiore di quasi 10 punti percentuali rispetto ai loro pari italiani, sebbene il livello complessivo di occupazione nel Paese sia inferiore alla media europea.

La questione dei Neet (giovani che non sono impegnati né in attività lavorative né in percorsi educativi o formativi) è particolarmente rilevante. Nel 2023, in Italia ci sono circa 1,4 milioni di giovani Neet, con una prevalenza significativa di italiani (85,1%), seguiti da giovani comunitari (2,9%) e non comunitari (12%).

Il fenomeno dell'abbandono scolastico, noto come Elet, è un altro aspetto critico, soprattutto tra i giovani stranieri non comunitari: quasi un terzo di loro (29,5%) lascia prematuramente la scuola, un tasso che è circa tre volte superiore a quello dei giovani italiani (9%).

Questo fenomeno è particolarmente evidente tra i giovani provenienti da Sri Lanka, Bangladesh e Senegal, dove più della metà dei giovani non completa il percorso di studi superiori.

Le donne sono particolarmente colpite, con tassi di Neet molto elevati tra le non comunitarie (39,6%), seguite da quelle Ue (25,2%) e italiane (16%).

Le migranti, in particolare quelle con figli, hanno più alti livelli di disoccupazione e di lavoro part-time involontario.

La partecipazione dei cittadini stranieri alle attività autonome e imprenditoriali è sempre dinamica e vivace. I dati attestano che nel 2023 il numero di imprese individuali che hanno come titolare un cittadino non comunitario sono 392.489, con un aumento dall’anno precedente di circa 2 mila unità (+0,5%). L’incidenza media sul totale delle imprese si attesta sul 13% del totale, con punte più elevate in Liguria (20,6%), Toscana (19,6%), Lombardia (18,3%) e Lazio (16,9%).

I 703.569 infortuni sul lavoro denunciati nel 2022 (ultimo aggiornamento disponibile) rappresentano un dato in sensibile crescita rispetto agli anni precedenti, con un balzo del +24,6% dal 2021 (laddove fra il 2020 e il 2021 c’era stata una flessione, -1,4%). Gli infortuni denunciati dai cittadini stranieri rappresentano il 17,5% del totale.

Secondo i dati provenienti da 144 diocesi aderenti al sistema nazionale di raccolta dati Ospoweb, nel corso del 2023 le persone che si sono rivolte a 744 Centri di Ascolto o servizi Caritas per chiedere aiuto e sostegno sono state 269.689.

La maggioranza è costituita da soggetti di cittadinanza straniera (57,0%), mentre gli italiani sono pari al 41,4% degli individui ascoltati. Gli apolidi e le persone con doppia cittadinanza costituiscono l’1,6% del totale. Nel corso degli ultimi sette anni il peso dell’utenza straniera è andato crescendo.

Nel 2023 le persone di origine straniera aiutate sono state 146.415, in gran parte concentrate nelle regioni del Nord-Est e del Nord-Ovest. I primi dieci Paesi di provenienza risultano Marocco (17,1%), Ucraina (9,1%), Romania (7,3%), Perù (6,5%), Nigeria (6,4%), Albania (5,3%), Tunisia (5,0%), Senegal (3,6%), Egitto (3,0%) e Pakistan (3,0%). Gli stranieri aiutati hanno un’età media di 42 anni, sono per lo più coniugati, in maggioranza con un livello di istruzione basso e in condizione di fragilità occupazionale. Le persone senza dimora sono pari a 24.146 unità (23,8% del totale degli stranieri).

Accanto alle difficoltà di tipo economico-materiale si attestano altre forme di vulnerabilità, come problemi familiari, oppure legate allo stato di salute o ai processi migratori. A fronte delle tante fragilità e vulnerabilità, le azioni intraprese dagli oltre tremila servizi Caritas in rete hanno riguardato per lo più la distribuzione di beni e prestazioni materiali.

Tra le mille e più sfaccettature che caratterizzano il fenomeno migratorio vi è quella, talvolta sottovalutata, del rapporto tra sistema finanziario e migranti. Si tratta di una relazione non semplice per entrambi gli attori, che deve tener conto di numerosi fattori, molti dei quali solo apparentemente lontani dall’economia e dalla finanza, che contraddistinguono la società infra-culturale dei nostri giorni.

Una indagine inedita realizzata da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes ha voluto approfondire le strategie di resilienza attivate da persone migranti residenti sul territorio nazionale, con un’attenzione particolare alle condizioni lavorative, al livello di soddisfazione rispetto ad esse e alla diffusione di esperienze imprenditoriali. L’interesse è restituire uno spaccato dei vissuti quotidiani dei cittadini migranti, osservati come lavoratori ed eventualmente come imprenditori, cercando di fornire una lente di osservazione diversa rispetto a quella della marginalità, della vulnerabilità e della povertà.

Salute

Nel 2022, su 7.002.779 dimissioni per acuti registrate, relative sia ai ricoveri ordinari che a quelli in Day Hospital, 6.536.427 riguardavano cittadini italiani e 458.890 cittadini non italiani (il 6,6% del totale).

Tra i cittadini stranieri si mostra una predominanza di pazienti provenienti dall’Europa, il 50,7% del totale. I pazienti di origine africana costituiscono quasi un quarto del totale, con il 23,2%, mentre gli asiatici sono il 15,9%.

Le complicazioni legate alla gravidanza, al parto e al puerperio hanno rappresentato la diagnosi principale (24,03% dei casi).

Le interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) notificate sono state 63.653 (-4,2% rispetto a quelle notificate nel 2020). Le IVG relative alle donne di cittadinanza straniera sono state il 27% di tutte quelle praticate in Italia (28,5% nel 2020), pari a 17.130.

Nel Sistema informativo per il monitoraggio e la tutela della salute mentale (SISM) è riportata la distribuzione per diagnosi degli utenti di nazionalità non italiana che hanno avuto almeno un contatto con i Dipartimenti di salute mentale (DSM), pari nel 2022 a 39.584.

La fruibilità dei servizi e delle cure mediche non è facilmente accessibile a tutti coloro che risiedono più o meno stabilmente nel territorio nazionale. Ciò purtroppo vale in particolar modo per chi proviene da paesi non comunitari e si trova in una condizione socioeconomica di marginalità.

Analizzando le criticità di accesso al servizio sanitario pubblico si evidenzia che il primo vero ostacolo per gli stranieri in Italia, che rende difficile o impossibile l’utilizzo dei servizi in generale e di quelli sanitari nello specifico, è rappresentato proprio dalla normativa vigente in materia, ulteriormente complicata dalle recenti modifiche introdotte all’iscrizione al Servizio sanitario nazionale per gli stranieri extracomunitari.

Comunicazione

È perciò doppiamente importante considerare gli atti discriminatori subìti dalla popolazione di cittadinanza straniera residente in Italia: per la gravità degli atti in sé e perché le persone immigrate si collocano fra quelle fasce di popolazione che permettono di evidenziare situazioni in peggioramento nel Paese, anche in merito agli atti discriminatori o di intolleranza.

L’esasperata deresponsabilizzazione degli ambienti “virtuali” accentua molteplici forme di violenza, soprattutto in mancanza di un’adeguata trasparenza nella moderazione dei contenuti da parte delle multinazionali dei social network.

Studi recenti suggeriscono che l’aumento degli arrivi di migranti e rifugiati è fra i principali fattori scatenanti dell’incitamento all’odio. Per giunta, l’esposizione dei giovani di origine straniera ai contenuti online risulta più accentuata rispetto a quella dei coetanei di origine italiana: fra le cause, l’uso massivo del cellulare, spazi abitativi più ristretti e il molto tempo trascorso su internet, anche in mancanza di alternative, con l’aggravio del rischio di isolamento, di alienazione e l’accresciuta vulnerabilità a diverse forme di violenza.

Il risultato è che tra i giovani stranieri il 49,5% dichiara di aver subìto almeno un episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi nell’ultimo mese, contro il 42,4% dei coetanei italiani.

La misoginia è la forma più diffusa di odio online: si stima che una ragazza su due sia stata vittima di violenza di genere online, in particolare a sfondo sessuale. A peggiorare il quadro è la frequente combinazione intersezionale di più di un fattore di discriminazione e di incitamento all’odio, come l’essere donna e migrante.

Se da un lato è importante denunciare lo scandalo globale rappresentato dalla violenza sulle donne, dall’altro porre in evidenza esclusivamente le “vulnerabilità” delle migrazioni femminili rischia di contribuire a riaffermare il pregiudizio riduttivo e marginalizzante delle condizioni di “svantaggio” della donna migrante.

La relazione fra genere, media e migrazioni è un oggetto di studio poco esplorato in Italia per ragioni almeno parzialmente ascrivibili alla diffusione degli studi su media e genere nel contesto nazionale.

I risultati dei monitoraggi 2014-2015 mettono in evidenza l’invisibilità delle donne migranti: 0,7% nei programmi di informazione del 2014; 2,7% in quelli del 2015.

I dati dei monitoraggi 2018-2019 attestano una più generale predominanza delle donne di origine etnica occidentale: 94% nell’offerta televisiva della RAI del 2018; 95,5% in quella del 2019. Una rielaborazione dei dati relativi agli anni dal 2019 al 2023, condotta ad hoc per il presente contributo, rileva che negli ultimi cinque anni le notizie che guardano al fenomeno migratorio secondo una prospettiva di genere sono solo 113, pari all’1% delle 12.468 complessivamente dedicate a questioni migratorie.

Le donne migranti e/o rifugiate fonti di notizia sono una minoranza stabile attorno al 7%. Di qui l’auspicio che il focus sulla visibilità delle donne rappresentanti minoranze, come quelle delle comunità immigrate o rifugiate, possa evolversi in adeguati strumenti metodologici e teorici per raccogliere dati su questo fenomeno nel mondo, Italia inclusa.

Cultura: musica migrante e di nuova generazione in Italia

La musica rappresenta uno dei principali canali di comunicazione e integrazione fra culture. Come ogni forma d’arte, è figlia del proprio tempo e ha la capacità di narrarlo. Le canzoni italiane di fine Ottocento e inizio Novecento non possono non raccontare dell’esperienza emigratoria degli italiani verso le Americhe. Così come quelle della seconda metà del Novecento mostrano un nuovo scenario, ovvero un’Italia che prima vive il grande fenomeno dell’emigrazione interna dal Meridione al Settentrione e poi diventa Paese d’approdo di migranti, per restare o raggiungere altri Paesi europei, in particolare dall’Albania e dal continente africano.

Fra i migranti che arrivano in Italia ci sono, naturalmente, anche musicisti, alcuni dei quali entrano nella scena musicale della World Music italiana. Ma il fenomeno oggi certamente più interessante e che sta vivendo una sempre più ampia rappresentazione nella scena musicale italiana sono i cantanti e musicisti di nuova generazione (non solo, dunque, di seconda generazione, ma ormai anche di terza o quarta), i quali vivono su crinali pluriculturali, fra la cultura di origine dei genitori e quella del Paese in cui sono nati e/o cresciuti, e che per questo rappresentano ponti culturali naturali.

Il rap in Italia ha vissuto nell’ultimo quindicennio un’evoluzione importante: è passato dall’essere un genere musicale di nicchia, ascoltato e sperimentato da pochi, ad un genere di massa, mainstream, con tantissimi protagonisti. Tra questi, troviamo oggi un buon numero di artisti di seconda generazione, figli di immigrati o di coppie miste, ragazzi nati in Italia, o arrivati in tenera età, che hanno trovato nella musica rap la via per esprimere al meglio le proprie speranze e i propri sogni, ma anche la propria rabbia e frustrazione. L’universo rap, e più in generale l’intera cultura hip hop, ha un legame stretto e non nuovo con l’immigrazione. Ne deriva una variegata e pirotecnica mescolanza di parole, musiche e stili, punto di forza non solo del rap ma più in generale della nuova musica italiana.

Appartenenza religiosa e fede

All’inizio del 2024 i cristiani tornano ad incidere sul totale della popolazione straniera iscritta nelle anagrafi dei comuni italiani per il 53,0% sul totale, mantenendo il proprio ruolo di maggioranza assoluta; quello di maggioranza relativa passa per molto poco ai musulmani, col 29,8% d’incidenza (1 milione 582 mila).

La componente ortodossa, infatti, considerata separatamente dal collettivo cattolico, raggiunge all’inizio del presente anno una quota d’incidenza solamente del 29,1% (1 milione e 545 mila). I cattolici (902 mila), d’altra parte, si fermano al 17,0% d’incidenza sul totale del fenomeno migratorio, gli evangelici (145 mila) risultano il 2,7%, mentre i copti (84 mila) si collocano all’1,6%.

Tra le altre confessioni religiose, i buddisti (177 mila) incidono per il 3,3%, gli induisti (112 mila) per il 2,1%, i sikh (90 mila) per l’1,7%, mentre la quota di atei e agnostici (512 mila) si colloca al 9,7%.

Un’analisi più approfondita per fasce d’età al 1° gennaio 2024 permette di constatare importanti situazioni differenziali tra i diversi collettivi religiosi, evidenziando come se nel loro complesso, musulmani e ortodossi quasi si pareggiano in valore assoluto, gli islamici sono di più degli ortodossi all’interno di tutte le fasce d’età più giovani, fino ai 35-39enni compresi, mentre dai 40- 44enni in poi sono più numerosi gli ortodossi.

La religione Sikh, con le sue profonde radici storiche e la sua diffusione globale, rappresenta una delle grandi tradizioni religiose del mondo. Il movimento Sikh si è sviluppato nel contesto di una società caratterizzata da profondi contrasti religiosi e sociali tra Induismo e Islam. La diaspora sikh è il risultato di una serie di criticità economiche, politiche e ambientali che ha spinto molti alla ricerca di migliori opportunità economiche: significative emigrazioni si sono dirette in Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Australia e altri Paesi, inclusa l’Italia.

Ad oggi, la comunità sikh si considera diversificata e vibrante, una parte integrante, dinamica e rispettata della società italiana, apprezzata per il suo contributo economico, i valori etici e il suo impegno nel dialogo interreligioso. La sua presenza arricchisce la diversità culturale del Paese e promuove una cultura di inclusione.

XXXIII Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes 2024 - Caritas Italiana


Nessun commento:

Posta un commento