Da Internazionale - Kolja Haaf, Süddeutsche
Zeitung Magazin, Germania
Modellare l’argilla è un’attività
creativa e rilassante che può aiutare a ridurre stress e depressione. Un
giornalista racconta i suoi esperimenti con questo materiale primordiale.
“Le persone non sono fatte per
stare sedute davanti a un computer, ma per fare cose con le mani”. Ero
sempre il primo ad alzare gli occhi al cielo sentendo frasi come questa. Un po’
tipo: “Ho una personalità indaco”.
Eppure, ultimamente mi è capitato
di dire qualcosa del genere. Perché ogni tanto anche io percepisco un senso di
vuoto dopo aver trascorso gran parte della giornata nel mondo digitale. Ho
provato a meditare, ad allenarmi tutti i giorni, ho cominciato una psicoterapia.
Ma quello che mi ha davvero
riconciliato con la vita è stato un pezzo di terra grigia sul tavolo. Dalla
pandemia realizzo manufatti in ceramica. Sono belli? Difficile a dirsi. Hanno
un uso pratico? No, anzi invadono il mio appartamento. Spendo vergognose
quantità di denaro per smalti speciali, cicli di cottura nei forni, utensili
per modellare? Senza dubbio.
Ma quello che conta è che, quando
mi sento triste o preoccupato mi basta pensare all’argilla che mi aspetta a
casa o che cuoce nel for no, e mi sembra di poter affrontare tutto.
Lavorare con l’argilla offre
qualcosa che nessun altro hobby consente: un illimitato senso di potere.
Nulla è paragonabile all’ebbrezza
della propria capacità creativa quando le dita, che in genere sono relegate a
cliccare e scrollare, finalmente sono libere di plasmare un “Adamo”, o almeno
un vaso di fiori storto.
Dopotutto non è così che Dio ha
creato il primo uomo? E poi l’argilla è un materiale davvero arcaico. Chi non
riesce a sentire, rompendone un pezzo, il profumo dei fanghi primordiali da cui
è fiorita la civiltà?
Il primo manufatto in
terracotta è stato realizzato circa 28mila anni fa e sono pronto a
scommettere che anche quel primo appassionato di ceramica spiegasse con
trasporto a tutti i presenti nella grotta l’incredibile esperienza e
l’illimitato sen so di potere sperimentato con l’argilla.
Il mondo fino ad allora così
rigido acquisì improvvisamente una caratteristica che, argilla a parte, non è
così facile da trovare: la plasticità. Ovvero, come si legge nel dizionario,
“la proprietà di un materiale so lido di subire deformazioni sotto l’azione
di una forza e di mantenerle”.
Con il minimo sforzo, senza
bisogno di utensili, e senza dover pensare fuori dagli schemi, si può
trasformare qualcosa secondo la propria volontà e, come scrive il Journal of
the American Art Therapy Association a proposito dell’effetto terapeutico
dell’argilla, “ci s’immerge totalmente nel qui e ora”.
La ceramica è la liberazione
definitiva dall’astrazione. Nessuna interfaccia, nessun commento, nessuna
tabella excel, solo fanghiglia.
“Da qualche anno, il mondo
dell’arte tratta la ceramica con più coraggio e ha smesso di considerarla
un’attività secondaria”, dice Madeline Stillwell, la direttrice di Ceramic Kingdom,
un eccellente studio di ceramica di Berlino.
Dopo la pandemia, la richiesta di
forni a noleggio e di corsi di ceramica è lievitata. Ho partecipato a lezioni
per cui bisognava mettersi in lista d’attesa. I prezzi si sono ovviamente
adeguati. Sono abba stanza sicuro che Madeline Stillwell possa comprarsi una
casa solo grazie agli incassi dei miei cicli di cottura (il che si deve soprattutto
all’irragionevole pesantezza delle mie creazioni).
Di norma i cicli sono due: il
primo è detto biscottatura o primo fuoco e indurisce l’argilla in modo che
possa poi essere smaltata e cotta di nuovo a una temperatura più alta. In
questa seconda fase possono andare storte molte cose. E calcolando dodici euro
al chilo, moltiplicato per due cicli di cottura, più le spese per lo studio, i
materiali, e il tempo impiegato, non è raro che un angolo della bocca si
contragga in una smorfia di disappunto quando qualcosa si rompe.
A mano libera
La ceramica è stata per molto
tempo un’attività un po’ derisa perché secondo il cliché ci si dedicavano donne
di età avanzata, con un passato sessantottino o una formazione steineriana.
Secondo Stillwell “tutto il
processo produttivo della cerami ca e la funzione degli oggetti sono associati
all’universo femminile”. Si riferisce in particolare alla ceramica fatta con il
tornio.
Eppure, a mio avviso, è in atto
una sorta di transizione di genere, anche grazie ai sensuali influencer
ceramisti che, seduti al tornio a petto nudo, plasmano vasellame di proporzioni
assurde. Tra l’altro il tornio richiama un certo erotismo.
Secondo me, però, nel tornio c’è
già troppa tecnologia. Per una completa Epifania, consiglio di modellare
l’argilla a ma no libera: è più immediato, più anarchico. E si può anche
valutare meglio un aspetto di cui all’inizio non ero consapevole, ma che adesso
mi appare del tutto comprensibile.
Secondo il Journal of the
American Art Therapy Association, le radici della modellazione dell’argilla
risalgono ai primi anni dello sviluppo, quando i bambini scoprono la plasticità
delle loro feci.
E “l’effetto catartico di
lavorare con un materiale primitivo e primordiale come l’argilla potrebbe
soddisfare bisogni precedentemente insoddisfatti e dare spazio alle tendenze
anali”, scrive il giornale.
Studi recenti suggeriscono
inoltre che lavorare l’argilla è una buona idea anche contro la depressione, il
morbo di Parkinson e lo stress. Quindi, per riassumere i motivi per cui
tutti dovrebbero provare l’argilla al meno una volta nella vita, posso dire:
- giocare a fare Dio,
- scacciare i pensieri oscuri,
- connettersi con gli antenati,
- sfuggire all’alienazione digitale,
- far parte di un movimento femminista d’avanguardia,
- rispolverare i neuroni,
- canalizzare la frustrazione sessuale e, per ultimo ma non meno importante,
- sublimare i traumi della prima infanzia.
L’argilla è tutto questo. E a volte c’è perfino della creatività.
Ma resta una domanda al termine
di questo processo di guarigione e scoperta di sé.
Cosa fare di tutte le cose che
produci?
Se sei disposto a correre dei
rischi puoi mostrare i tuoi lavori sui social: magari qualcuno avrà pietà di
te. E quei cinque “mi piace” varranno più dei cinquanta per la foto senz’anima
dello spritz in spiaggia. Perché una produzione in argilla è un pezzo unico con
la sua aura, nel senso benjaminiano dell’espressione.
Theodor Adorno si è
giustamente chiesto se l’aura non sia sempre la traccia dell’elemento umano
lasciata nella cosa. Assolutamente sì. E dove potrebbe essere più immediata
questa traccia se non nell’impronta appena visibile di un dito su un frammento
consumato dal tempo di un antico vaso per piante grasse a forma di dinosauro?
In alternativa, puoi sempre
regalare le cianfrusaglie che hai realizza to ai tuoi parenti per Natale.
Nessun commento:
Posta un commento