Oggi il linguaggio politico e burocratico
è sempre più caratterizzato da forme complesse, astratte e stereotipate; un linguaggio
irrigidito da scelte ideologiche o conformistiche, che spesso limita la
comunicazione invece di facilitarla.
Italo Calvino scrisse un celebre
pezzo a proposito di quella che lui chiama "antilingua", una
riflessione che risulta più che mai attuale:
«Il brigadiere
è davanti alla macchina da scrivere. L'interrogato, seduto davanti a lui,
risponde alle domande un po' balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha
da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo:
"Stamattina
presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi
di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne
sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata".
Impassibile,
il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: "Il
sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello
scantinato per eseguire l'avviamento dell'impianto termico, dichiara d'essere
casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli,
situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del
combustibile, e di aver effettuato l'asportazione di uno dei detti articoli
nell'intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a
conoscenza dell'avvenuta effrazione dell'esercizio soprastante".»
Ogni giorno, soprattutto da
cent'anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di
migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente con la velocità di
macchine elettroniche la lingua italiana in un'antilingua inesistente. Avvocati
e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d'amministrazione, redazioni di
giornali e di telegiornali scrivono parlano pensano nell'antilingua.
Caratteristica principale
dell'antilingua è quello che definirei il "terrore semantico", cioè
la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per sé stesso un significato
[…].
Nell'antilingua i significati
sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli
che di per sé stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago
e sfuggente […]
Chi parla l'antilingua ha sempre
paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di
dover sottintendere: "io parlo di queste cose per caso, ma la mia funzione
è ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia funzione è più in
alto di tutto, anche di me stesso".
La motivazione psicologica dell'antilingua è
la mancanza d'un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l'odio per sé
stessi. La lingua invece vive solo d'un rapporto con la vita che diventa
comunicazione, d'una pienezza esistenziale che diventa espressione.
Perciò dove trionfa l'antilingua
- l'italiano di chi non sa dire "ho fatto" ma deve dire "ho
effettuato" - la lingua viene uccisa.
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