Da 52 mila a 251 mila iscritti in dieci anni. Le università telematiche sono letteralmente esplose, mentre gli 86 atenei tradizionali tra il 2013 e il 2023 sono cresciuti di sole 17 mila unità.
Come si spiega questo exploit che
ormai rappresenta il 13,1% della popolazione universitaria
italiana?
Le università telematiche in Italia,
Ue e Usa
Le università online nascono
nel 2003, quando il governo Berlusconi II, con un decreto consente
di svolgere in presenza solo gli esami di profitto e la discussione della tesi.
In meno di tre anni fioriscono ben 11 atenei, e vengono tutti
abilitati a rilasciare titoli equivalenti a quelli delle università
tradizionali.
Nel 2006 il governo Prodi
II mette un freno, e con un altro decreto legge (art.2
c.148 DL n. 262) blocca la nascita di nuovi istituti online.
Dal 2019, su parere favorevole
del Consiglio di Stato, queste università possono acquisire la
forma di società di capitale, diventando così delle vere e proprie imprese. Il
modello è importato dagli Stati Uniti dove, secondo il National Centre
for Education Statistics, 3.894
college offrono programmi completamente a distanza.
La differenza rispetto all’Italia
sta nel fatto che negli USA la laurea non ha nessun valore legale: a contare
non è il titolo in sé, ma «quale» università ti ha conferito quel titolo.
Nella Ue l’Italia è il Paese
che ha il numero più alto di atenei online e tutti privati. Si
avvicina solo la Spagna con 6 università e oltre 300 mila studenti, perché
serve una enorme utenza sudamericana.
In Germania la didattica online è
invece dominata dalla Fernuniversität
di Hagen, istituto pubblico con oltre 70 mila studenti.
Secondo il portale Statista il giro d’affari nella Ue
quest’anno raggiungerà 3,8
miliardi di euro, di cui 850
milioni solo nel nostro Paese.
Vediamo allora come funzionano
questi 11 atenei, come preparano, chi li valuta (visto che il
titolo vale tanto quanto quello di una università in presenza) e chi sono i
proprietari.
Rette, laureati e
iscrizioni
Escluse le facoltà che
prevedono attività obbligatoria in presenza come medicina, veterinaria
e scienze della formazione primaria, con le telematiche ci si può laureare in
tutte le discipline. Pensate per aiutare chi lavora a conseguire un
titolo, in realtà oggi quasi uno studente su quattro è under 23.
Ma perché attraggono tanti
giovani? I motivi principali sono due:
1) Le
rette vanno dai 1.200 ai 5.900 euro all'anno: non ci sono test di ingresso
e gli appelli sono numerosi e flessibili. Quindi più accessibile e più
economica per chi vive lontano dalle città con sedi universitarie.
2) Alle
telematiche è più facile laurearsi velocemente. Il 44,8% ottiene
la laurea breve in tre anni, contro il 37,8% dei laureati
negli atenei tradizionali (Rapporto
ANVUR 2023 pag.56).
Nel 2022 le università telematiche hanno organizzato 149 corsi di laurea:
la maggior parte in discipline economico-giuridiche e sociali, e
artistico-letterarie. Riscuote particolare successo «scienze motorie», con
oltre 28 mila studenti, cioè il 44% degli iscritti a questa
facoltà in Italia. Al San Raffaele di Roma va forte la laurea magistrale in
«nutrizione umana»: attira il 42% delle iscrizioni.
La qualità degli atenei
Nell’ultimo rapporto dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) sulla qualità delle università su una scala che va da A (Molto positivo) a E (Insoddisfacente), solo la Uninettuno ottiene un risultato positivo, otto si fermano alla sufficienza mentre due, Leonardo da Vinci e Italian University Line, strappano un accreditamento temporaneo «vincolato alla risoluzione delle criticità riscontrate» (la Italian University Line è dal 2018 che viene rimandata).
Intanto questi atenei, pur
essendo aziende private si spartiscono ogni anno in media 2 milioni di
euro di contributi pubblici (Rapporto
ANVUR 2023 pag.91).
Dal 2021, lo Stato paga il 50%
dei costi ai dipendenti pubblici che si iscrivono all’università.
Per volontà del ministro della
pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, questo
incentivo è stato esteso a partire dal 2023 anche alle 3 telematiche
di «Multiversity», a «Unitelma Sapienza» e alla «Gugliemo Marconi».
Molti studenti, pochi
professori
Tre anni fa il Ministero
dell’Università ha emanato il decreto 1154/2021 che
impone entro novembre del 2024 nuovi standard qualitativi, e obbliga gli
istituti digitali ad adeguare il numero dei propri docenti a quello delle
università tradizionali.
Secondo lo studio «Il
piano inclinato» della CGIL, a settembre 2023 nelle telematiche il rapporto
tra professori e studenti era di uno a 342, contro 1 a 25 negli atenei statali.
A gennaio il deputato
leghista Edoardo Ziello ha presentato un emendamento nel
Milleproroghe (qui,
il 6.55) con il quale chiedeva di far slittare di un anno l’adeguamento.
C’è stata la levata di scudi e
l’emendamento è stato ritirato, ma pochi mesi dopo, in difesa degli interessi
delle telematiche, è stato costituito un intergruppo
parlamentare formato da una ventina di deputati del centrodestra,
presieduto dallo stesso Ziello.
Al Ministero dell’Università
da circa 3 mesi è in discussione un decreto che blocca di fatto
l’adeguamento previsto dall’ex ministra Messa e in cui con ogni probabilità
si concederà alle telematiche non solo di avere molti più studenti delle
tradizionali a parità di numero di docenti, ma anche di poter avere ancora
alcuni anni per assumere i docenti necessari ad abbassare gli attuali
parametri.
Insomma, c’è un occhio di
riguardo crescente per questi atenei.
Chi c’è nei Consigli di
amministrazione.
Multiversity Spa, di proprietà
del fondo britannico CVC Capital Partners con sede legale in Lussemburgo,
ingloba Pegaso, la San Raffaele (fondata dal re delle cliniche
Antonio Angelucci e poi venduta) e Mercatorum. Il presidente è l’ex
presidente della Camera Luciano Violante. Nel comitato consultivo troviamo l’ex
viceministra degli Esteri Marta Dassù, l’ex sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio Gianni de Gennaro, l’ex presidente del Consiglio di Stato Alessandro
Pajno, e l’ex procuratore generale della Corte di Cassazione Giovanni Salvi.
Pegaso è tra gli atenei
che per tutto l’anno accademico 2023-24 hanno effettuato esami online, non
previsti dalla legge e in violazione delle linee guida del Mur.
La e-Campus ha la sede centrale a Novedrate (CO) ed è stata lanciata dall’imprenditore Francesco Polidori, già fondatore del gruppo Cepu.
Polidori ha recentemente
patteggiato 3 anni per bancarotta fraudolenta.
Nel 2023 l’imprenditore ha
finanziato la Lega di Salvini: 10 mila euro a titolo personale, 30 mila
euro attraverso l’Università e-Campus dove fino al 2022 il ministro
dell’Istruzione Giuseppe Valditara era inquadrato come «presidente
dell’Osservatorio inter-ateneo per la ricerca».
La Niccolò Cusano ha sede a Roma ed è stata
fondata da Stefano Bandecchi, oggi sindaco di Terni. Bandecchi tramite l’università telematica e un’altra sua srl, «Società delle scienze umane», in passato
ha finanziato con 385 mila euro Forza Italia, Impegno Civico e Alternativa
popolare (partito di cui è Coordinatore nazionale e con cui si
è candidato alle ultime elezioni europee).
La Unicusano è finita sotto
inchiesta per evasione fiscale e ha subito due sequestri preventivi tra il 2023
e il 2024 per un ammontare di 22,8 milioni di euro.
Il fondatore e i suoi soci
sono accusati di aver usato i proventi delle rette universitarie per svolgere
attività commerciali e per coprire spese personali, tra cui l’acquisto di una
Ferrari e una Rolls Royce Phantom.
L’Unicusano conta tra i suoi
laureati illustri il ministro Francesco Lollobrigida e l’ex europarlamentare
della Lega Angelo Ciocca (famoso per aver sventolato il cappio davanti alla
presidente della Bce Lagarde).
Concorrenza sleale
È evidente che le università
online riescono a intercettare studenti che non hanno altre scelte, e
pertanto sarebbe necessaria la presenza di un ateneo pubblico per soddisfare
questo bisogno, ma al momento la gigantesca offerta è solo quella appena
descritta.
Lasciamo le considerazioni
a Francesco Billari che, in qualità di rettore dell’Università
Bocconi, di formazione se ne intende:
«Finché
aiutano chi lavora a migliorare la propria preparazione possono offrire un
supporto, ma non devono essere la scorciatoia per affrontare la grave crisi che
investe la qualità della formazione. Se isoli i ragazzi nelle loro camerette
senza la possibilità di frequentare professori e coetanei, non produci quel
percorso di crescita che è alla base della comunità universitaria. Per
migliorare davvero la qualità degli atenei si cominci ad abolire il valore
legale del titolo di studio così tutte le università, tradizionali e
telematiche, saranno spinte a migliorare e competere tra loro».
Già, il titolo legale: in
un concorso pubblico il titolo conseguito per esempio in scienze politiche all’Università
di Bologna vale tanto quanto quello conseguito alla Guglielmo
Marconi; quello in Economia e Management conseguito
alla Italian University Line vale tanto quanto quello ottenuto
frequentando in presenza alla Bocconi o alla Luiss.
Riassumendo:
1) risparmiando su stipendi e
numero di docenti, gli atenei online fanno concorrenza sleale agli
atenei tradizionali, contribuendo all’abbassamento generale della qualità
dell’insegnamento;
2) il rapporto opaco con la
politica mina credibilità e trasparenza.
Dal Corriere della Sera del 24
Ottobre 2024: Università
telematiche:chi sono i politici dietro le lauree facili | Milena Gabanelli |
Corriere.it
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