Un caro amico di Ivrea mi ha messo a
conoscenza di questa lettera aperta che mons. Bettazzi, vescovo emerito di
Ivrea, ha inviato al nostro presidente del consiglio il 2 luglio scorso.
Ricordo che mons. Bettazzi ha quasi 95 anni ed è l'unico vescovo italiano presente al Concilio Vaticano II ancora oggi vivente.
Ricordo che mons. Bettazzi ha quasi 95 anni ed è l'unico vescovo italiano presente al Concilio Vaticano II ancora oggi vivente.
Lettera aperta all’Onorevole Giuseppe
Conte, Presidente del Consiglio dei Ministri italiano
Scrivo questa lettera sul tema scottante
degli immigrati (e la scrivo da un edificio diocesano che ne ospita). Lo faccio
non come antica autorità religiosa al Presidente di un Governo “laico” (anche
se un autorevole membro del Suo Governo ha sbandierato, sia pure in campagna
elettorale, simboli apertamente religiosi, anzi cristiani, quindi
compromettenti) soprattutto dopo i costanti, appassionati appelli di Papa
Francesco e le autorevoli istanze dei responsabili della CEI.
Lo faccio come cittadino dell’Italia
che, nella Costituzione, garantisce il diritto d’asilo a quanti, nel loro
paese, sono impediti di esercitare le libertà democratiche; lo faccio come
cittadino dell’Europa che, nella Carta dei diritti fondamentali, afferma: “La
dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”.
Ci siamo resi conto che Lei, al recente
vertice Ue, ha fatto sentire fortemente la voce dell’Italia; ma siamo stati
delusi dalla sordità della maggioranza dei rappresentanti dell’Europa (me lo
lasci notare, anche delle nazioni tradizionalmente più “cristiane”) e
dell’incapacità dell’insieme di mantenere le tradizioni “umane” del nostro
Continente e dell’ispirazione iniziale della sua unità. Mi lasci dire che siamo
– parlo di tanti di cui ho colto il pensiero – altrettanto delusi che, nella
difficoltà di ottenere consensi più ampi, l’Italia rimanga su posizioni di
chiusura, forse (ma solo “forse” se guardiamo al nostro passato coloniale o ci
proiettiamo sul nostro futuro demografico) comprensibili sul piano della contrattazione,
non su quello del riferimento a vite umane. Siamo tanti a non volerci sentire
responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo
corresponsabili di Governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a
vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle
povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta
di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili.
Non ignoriamo che i problemi sono
immensi, dai rapporti con Paesi che noi – Europa tutta – abbiamo contribuito a
divenire ciò che essi spesso sono (costruttori di lager e tutori di
brigantaggi), a quelli con i Paesi di partenza degli immigrati (con cui già i
Governi precedenti avevano progettato iniziative, sempre fermate al livello di
progetti).Vorremmo davvero che l’Italia, consapevole della sua tradizione di
umanità (prima romana, poi cristiana) non accettasse di divenire
corresponsabile di una tragedia, che la storia ha affidato al nostro tempo e da
cui non possiamo evadere.
Al di là di un’incomprensibile
indifferenza o di un discutibile privilegio ( “prima gli italiani” – quali
italiani? – o “prima l’umanità”?!), credo che, nell’interesse della pace,
aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e debba essere –
per sé e per tutta l’Europa – pioniera di accoglienza, controllata sì, ma
generosa.
Con ogni augurio e molta solidarietà.
Albiano d’Ivrea, 2 luglio 2018
+ Luigi Bettazzi
vescovo emerito di Ivrea
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