Siamo lieti di annunciare l'IMMACOLATA RUN, organizzata dalla Scuola dell'Infanzia Immacolata.
domenica, agosto 31, 2025
IMMACOLATA RUN: 14 Settembre 2025 - Viale Bagatti a Palazzolo Milanese
sabato, agosto 30, 2025
venerdì, agosto 29, 2025
Si stava peggio quando si stava peggio
Tornare ai buoni vecchi tempi, quando
tutto aveva una sua logica e una sua morale. E soprattutto: tutto era più
semplice, meno confuso di adesso. È questo il pensiero magico della destra di
tutte le epoche. E ammettiamolo, in ognuno di noi c’è un pezzetto di cerebro
che “butta a destra”, che ci suggerisce di ripudiare i tempi confusi e corrotti
del presente, e appendere le nostre residue certezze al chiodo del passato. C’è
una “destra psicologica” che è ben più potente e radicata della destra
politica. Parlo di me, per esempio, che quando ripenso ai miei anni giovanili
nel Pci e all’Unità (organo del Partito Comunista Italiano)
tendo a dimenticare problemi e storture, e a idealizzare il bene, le esperienze
formative, i buoni insegnamenti, le tante belle persone conosciute.
Sappiamo tutti che l’età dell’oro
non è mai esistita, e niente è più inutile e più frustrante della nostalgia.
Però, a pensarci bene, il presente è così tormentato e incerto, così
pericoloso, per tanti aspetti così informe, che il trionfo delle destre occidentali
si spiega quasi da solo. È la paura del presente a gonfiare le vele dei vari
sovranismi e nazionalismi; e la fatica spropositata dei progressisti, che
proprio non ce la fanno a dare l’idea di sapere come ridare al mondo un ordine
migliore e più giusto, non aiuta a sperare che questa fase possa avere fine al
più presto; e si possa tornare a dire “futuro” con speranza e curiosità.
Tutta questa pappardella è per
dirvi, in sostanza, che sappiamo poco e male che cosa bisogna fare, ma sappiamo
piuttosto bene che cosa NON bisogna fare. Non dobbiamo illuderci che frugando
nel passato possiamo trovare gli attrezzi per aggiustare il presente. Martello
e cacciavite, se devi rimettere in marcia un computer in panne, non servono: e
il fatto che siano oggetti familiari e funzionali, di solida tradizione e di
uso quotidiano (ho un armamentario di attrezzi invidiabile, un vero e proprio
arsenale) non ci autorizza a spacciarli per rimedio universale.
Ci sono parecchi esempi di questo
febbrile spaccio di “rimedi della nonna” (Make Grandma Great Again!) che
la destra occidentale propina a tutto spiano, con l’aggravante di
infiocchettarli come scelte innovative. Per dirne una, ho appena riletto una
mia satira di quasi vent’anni fa sulla sedicente riforma della scuola (allora
era di turno la ministra Gelmini, ve la ricordate?) che potrebbe essere
riciclata oggi con minime varianti. Anche allora l’animus che ispirava i nostri
eroi, anzi i loro eroi, era: tutta ’sta pedagogia, psicologia, tutto ’sto
chiacchierare sull’inclusione, le fragilità, le difficoltà di apprendimento, ci
hanno stufato. La scuola deve tornare alla selezione, alla severità, al voto di
condotta, poche storie. Funzionava meglio quando il principio di autorità non
era così sfilacciato. E dentro ciascuno è viva la fiammella della tentazione: e
se fosse vero? E se davvero per rimettere a posto le cose bastasse fare “come
si è sempre fatto”?
Spegnetela, quella fiammella. È mendace. Si stava peggio quando si stava
peggio, i maestri bacchettavano le mani dei bambini, l’umiliazione dei meno
capaci era la regola, i poveri e i ricchi non facevano le stesse scuole (i
poveri spesso non ne facevano affatto).
La satira che segue è del 2008. Spero
che aiuti, alla sua maniera, a ridere del reazionario che è in ciascuno di noi.
“Ecco, punto per punto, i capitoli fondamentali della
riforma Gelmini.
Maestra unica - Per rendere più chiaro e credibile il
ritorno alla pedagogia tradizionale, la maestra unica dovrà avere la crocchia
ed essere preferibilmente bassa e grassa con il vestito a fiorellini, come le
care vecchie maestre di una volta. Anche ove la maestra unica dovesse essere di
sesso maschile, il vestito a fiorellini e la crocchia sono obbligatori.
Insegnerà tutte le materie con l'ausilio dello strumento educativo che tanto ha
dato alle generazioni passate, la bacchetta. Con la quale indicare alla lavagna
la corretta grafia di 'taccuino' e 'soqquadro' e colpire con energia l'alunno
somaro. Il cappello da somaro, per adeguarsi ai mutamenti sociali, sarà di Hugo
Boss, che ha vinto il concorso tra gli stilisti presentando un modello con le
orecchie forate per ospitare le cuffiette stereo e gli orecchini.
Libri di testo - Tra le letture per le scuole elementari,
tornano le amate figure sociali di una volta. Tra i titoli, 'Il solerte
mugnaio', 'La lavandaia canterina', 'Arriva l'arrotino!' e 'Il campanaro del
mio paesello', tutti ristampati. Di nuova fattura 'Il precario felice', 'Il
pilota licenziato', 'La velina rispettosa' e 'Impariamo a fare le aste su
Internet'.
Grembiule - Azzurro per i maschietti, nero per le
femminucce, dovrà essere indossato fino al giorno della tesi di laurea, con il
fiocco bene annodato e il cestino della merenda sempre a portata di mano. Anche
le università dovranno dotarsi di un'altalena in cortile per la ricreazione.
Programmi - La bella calligrafia sarà la materia più
importante, il pennino e il calamaio torneranno a fare bella mostra di sé sui
banchi, le macchie di inchiostro che terrorizzarono generazioni di italiani
torneranno a terrorizzare le nuove leve. Durante le simulazioni al ministero,
alcuni alunni hanno usato il pennino per tatuarsi, altri hanno bevuto
l'inchiostro, altri ancora sono morti dissanguati nel tentativo di pulire il
pennino dall'involto di morchia e carta fradicia che lo avvolgeva dopo pochi
secondi. Già negli anni Venti del secolo scorso un gruppo di traumatologi e di
psicologi aveva chiesto la messa al bando del pennino, equiparato a una piccola
alabarda e usato con destrezza solo dai figli delle guardie svizzere. Ma il
ministro Gelmini sostiene che l'esperienza del pennino fortifica, ed è risoluta
ad adottarlo insieme al sussidiario con le poesie di Angiolo Silvio Novaro.
Materiale scolastico - Dovrà essere sempre in ordine.
Quest'anno, a causa della stretta economica, oltre a riga, righello, squadra,
gomma, temperamatite, quaderni, libri, diario, gli alunni dovranno portarsi da
casa anche il banco e la sedia.
Disciplina - Torna la figura del capoclasse, che secondo
i canoni già collaudati sarà uno stronzetto o una stronzetta, dall'aria
saputella, incaricato di segnare alla lavagna i fannulloni. I bimbi poveri
potranno essere nuovamente assistiti dal Patronato Scolastico, con le stesse
modalità già note nei felici anni Cinquanta e Sessanta: i bambini ricchi
daranno alla maestra qualche monetina da destinare ai compagni più sfortunati.
La maestra cercherà di scappare con il gruzzolo per comperarsi finalmente
qualcosa da mangiare e, se possibile, un nuovo vestito a fiorellini”.
«Non dobbiamo illuderci che frugando nel passato possiamo trovare gli attrezzi per aggiustare il presente»
giovedì, agosto 28, 2025
RALLENTARE: Festival dei ritmi sostenibili - 8 Ottobre 2025 - Milano
mercoledì, agosto 27, 2025
Notte Europea delle Ricercatrici e dei Ricercatori 2025 - 26 e 27 settembre
martedì, agosto 26, 2025
Corpo e mente: Lasciamo i bambini liberi di arrampicarsi
Esplorare il gioco libero e il movimento all’aria aperta da piccoli riduce il rischio di infortuni e di patologie croniche in età adulta, oltre a migliorare la salute fisica e mentale.
Di recente un coniglietto ha cominciato ad aggirarsi nel giardino di casa nostra. Ogni tanto rosicchia qualche piantina o se ne sta fermo al sole. Poi scatta in avanti, fa le finte e si apposta tra i cespugli: esplora i limiti del movimento. Una volta l’ho visto fare una curva a una velocità tale da spargere terra e foglie dappertutto.
Se lo avesse fatto un cucciolo umano, di certo sarebbe stato subito richiamato in casa a ripulirsi.
Ma per settimane non ho visto adulti intorno a questo coniglietto, il piccolo aveva carta bianca. Sarebbe bello se molti dei bambini che conosco potessero avere la stessa fortuna.
Gli animali selvatici sono i più bravi a muoversi e i cuccioli trascorrono gran parte del loro tempo a giocare, azzuffarsi, saltare e arrampicarsi. A partire dalla nascita, i bambini condividono con loro le stesse potenzialità di movimento sfrenato. Se lasciati liberi probabilmente inciamperebbero da una parte all’altra, come fanno i cagnolini. Ma sempre più spesso non fanno niente di tutto ciò.
Questo dipende in parte dalla tendenza degli esseri umani ad auto-addomesticarsi e dalla struttura della società moderna.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’81 per cento degli adolescenti nel mondo non fa abbastanza attività fisica, con tassi di sedentarietà che tendono ad aumentare con lo sviluppo economico dei paesi. L’organizzazione non profit Trust for public land denuncia che in alcune città statunitensi fino a due terzi dei bambini non hanno accesso ai giardinetti pubblici che incoraggiano il gioco libero.
Un report del Project play dell’Aspen institute, un programma che punta a far crescere la partecipazione alle attività sportive in tutto il paese, afferma che rispetto agli sport organizzati, “il gioco libero di fatto è una cosa del passato”.
Non stare fermi
Ci sono bambini e bambine che non hanno accesso a boschi, campi e altri spazi aperti dove potersi divertire in libertà. Alcuni hanno genitori che gli vietano questo genere di passatempi. Negli Stati Uniti molti adulti tendono a reprimere i giochi movimentati per paura che i figli si facciano male (o che mobili e oggetti si danneggino), o perché le norme sociali impongono di tenere a bada i figli irrequieti in luoghi come sale d’aspetto, metropolitane, negozi, aerei e ristoranti, dove ci si aspetta che i bambini si “comportino bene”.
Quell’impulso però rischia di rafforzare l’idea che la sedentarietà sia preferibile in una fase della vita in cui in realtà avremmo bisogno di muoverci. Gli studi scientifici offrono avvertimenti in abbondanza sulle conseguenze disastrose della pigrizia, e ottime ragioni per cui bambini e bambine dovrebbero poter esplorare il movimento libero. Quelli che lo fanno hanno ossa, muscoli e articolazioni più sane e corrono meno rischi di soffrire di obesità o di altre patologie croniche in futuro.
Secondo le ricerche, i bambini attivi sviluppano capacità cognitive migliori, ottengono voti più alti e hanno una maggiore probabilità di restare concentrati su un compito rispetto a quelli che si muovono di meno. Passando in rassegna gli studi sull’argomento, i ricercatori hanno scoperto che i bambini attivi sono più propensi a dire di stare bene. E uno studio pubblicato su The Lancet sull’insorgere della depressione tra i giovani inglesi suggerisce che un aumento della sedentarietà durante l’adolescenza può avere un impatto sulla salute mentale da adulti.
Chi si muove poco durante l’infanzia può pagarlo caro dopo, perché è proprio in questo periodo che il cervello elimina il potenziale non utilizzato.
“Una concezione estrema” di questo assottigliamento neurologico sarebbe che “nasciamo equipaggiati per qualsiasi eventualità”, ha scritto il neuroscienziato di Harvard Jeff Lichtmann in un articolo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, ma crescendo le connessioni inutilizzate nel cervello si scollegano in modo permanente in un processo noto come potatura sinaptica, lasciandoci con un “sistema nervoso più ristretto”.
Siamo abituati all’idea che un cervello giovane e plastico impari facilmente a parlare mandarino o a suonare il pianoforte. Questo vale anche per le capriole all’indietro, l’equilibrio sulla corda o un tiro veloce con la palla.
Giocare come gli animali
I genitori fanno di tutto per tenere i figli al sicuro, è un aspetto fondamentale del loro ruolo. Tuttavia, impedire ai bambini di affrontare movimenti impegnativi, come correre a tutta velocità giù per un pendio pieno di sassi o arrampicarsi su un albero alto, può avere delle conseguenze.
Come mi ha detto Marcus Elliott, medico ed esperto di prevenzione degli infortuni: “La paura che tuo figlio possa farsi male lo priva di qualcosa che non potrà mai recuperare”. Elliott gestisce il “Peak performance project”, o P3, un laboratorio sul movimento a Santa Barbara, in California, dove si è scoperto che molti atleti (una gran de percentuale di giocatori di pallacanestro, football e baseball) rischiano infortuni per carenze nella qualità del movimento.
I ricercatori si sono concentrati sui cosiddetti soggetti ad alta versatilità motoria, persone il cui corpo ha una soluzione pronta per quasi tutti i problemi di movimento: possono atterrare indifferente mente su un piede o sull’altro, saltare in qualsiasi direzione e cambiare facilmente verso di corsa. Non sempre sono quelli che saltano più in alto o che scattano più veloci, ma è probabile che giochino a lungo senza infortunarsi.
Ecco perché secondo Elliott i bambini dovrebbero giocare come gli animali: tutti gli adulti ad alta versatilità motoria sono cresciuti giocando liberamente, come quella palla di pelo nel mio giardino. Per lui la robustezza necessaria a tenere lontani gli infortuni ha poco a che fare con l’esercizio cardiovascolare, la corsa veloce o la capacità di saltare in alto. Riguarda invece la “qualità del movimento”, che sta all’atleticità come la fluidità sta alla lingua.
Questo è in linea con un’osservazione del giornalista David Epstein, che nel suo libro Range: why generalists triumph in a specialized world (Versatilità: perché i generalisti trionfano in un mondo specializzato) scrive che gli atleti provenienti da piccoli paesi raggiungono livelli incredibili. Secondo lui, avendo poca scelta, i centri più piccoli hanno bisogno che gli atleti migliori giochino nelle squadre di football, baseball e pallacanestro. Praticare tanti sport diversi potrebbe favorire nelle persone lo sviluppo di un repertorio motorio più ricco.
Per fortuna offrire ai bambini più libertà non costa molto, richiede solo un po’ di creatività. Quasi ogni bambino che viene a casa mia avverte l’irrefrenabile desiderio di scatenarsi su una palla da yoga che abbiamo in soggiorno. La colpisce con il corpo, ci sale sopra facendo Superman, ci lancia contro i fratelli. Molti genitori che assistono a questo comportamento s’innervosiscono, urlano ordini o dichiarano che la palla non si può usare, punto e basta.
Lo capisco: a nessuno piace finire al pronto soccorso. Ma so anche che i bambini che cominciano cadendo poi sviluppano nuove competenze. Quando mio figlio era piccolo ha sviluppato una prodigiosa capacità di appollaiarsi sulla palla a quattro zampe, perfino mentre qualcuno (lo ammetto, ero io) lo scuoteva con forza da una parte all’altra. Adesso che è uno studente di ingegneria alto un metro e ottanta continuiamo ancora a fare questo gioco.
Elliott mi ha detto che quando il lavoro lo costringe a passare i fine settimana da vanti al computer, propone ai figli delle piccole sfide fisiche: riesci a saltellare sulla gamba sinistra fino a qui e poi superare quell’ostacolo? Riesci a saltare giù da quel davanzale e poi saltarci su di nuovo? Una delle figlie si ricorda che per avere il dolce doveva superare con un salto una vasca enorme in giardino con il piede sinistro. Elliott e i suoi figli si azzuffano come fanno i cuccioli. Così, mi spiega, i bambini imparano a fare movimenti complessi restando al sicuro, per esempio evitando lo spigolo del tavolino in soggiorno.
Tutto questo gioco libero può essere utile quando i bambini cominciano ad affrontare giochi più seri. Molti infortuni sportivi sono provocati da atterraggi scorretti. Nella sua ricerca Elliott ha scoperto che i soggetti ad alta versatilità motoria se la cavano bene perché in appoggio i piedi vanno incontro attivamente al terreno, mentre le caviglie, le ginocchia e i fianchi si flettono in maniera coordinata, probabilmente perché queste persone da piccole hanno praticato spesso il gioco libero.
Gli allenatori del P3 sottopongono gli atleti ad allenamenti estenuanti per padroneggiare la tecnica di atterraggio con lezioni correttive che sembrano avere un impatto enorme. Secondo una ricerca del 2022, l’allenamento per la prevenzione degli infortuni al legamento crociato anteriore, che di solito include atterraggio e movimenti molto rapidi e potenti, ha ridotto la rottura del legamento in media del 64 per cento tra le giovani atlete.
Questo dato è in linea con gli studi sulle ballerine di danza classica, che si allenano fin da piccole ad appoggiare i piedi in modo appropriato: possono subire slogature e altri infortuni da sovraccarico, ma rispetto ad altri sportivi mostrano una percentuale molto inferiore di rotture del legamento crociato anteriore. Eric Leidersdorf, scienziato del movimento e presidente del progetto P3, ha un’esperienza più che decennale nella lettura dei dati sui movimenti degli atleti famosi.
Ha anche una figlia di diciotto mesi. Gli ho chiesto se intende applicare le lezioni apprese sul lavoro al suo modo di fare il genitore. “Ma certo”, mi ha risposto. Poi ha usato la parola giocare dieci volte in due minuti. “Spero proprio che esplori il mondo”, mi ha detto Leidersdorf. “Voglio che ami muoversi e che ne tragga gioia”. Conosco un coniglietto che probabilmente lo capirebbe.
lunedì, agosto 25, 2025
I gradini della vita
da L'Internazionale del 22 Agosto 2025 di Graham Lawton, New Scientist, Regno Unito
Diverse ricerche suggeriscono che l’invecchiamento non procede a velocità costante ma attraversa tre fasi di rapida accelerazione. Questa scoperta potrebbe aiutarci a capire come rallentarlo.
Intorno ai quarant’anni, un’amica di Maja Olecka si è improvvisa mente accorta di non reggere più l’alcol. Quantità che in passato avrebbe tollerato senza problemi ora la mandavano al tappeto. E dopo una sbornia stava sempre peggio. L’amica di Olecka non è certo la sola in queste condizioni: quando avevo più o meno la stessa età ho sentito storie simili da amici, molti dei quali avevano smesso di bere.
Ma Olecka, una ricercatrice dell’Istituto Leibniz sull’invecchiamento – Fritz Lipmann Institute di Jena, in Germania, pensa di sapere perché succede. A questa età, afferma, molte persone sperimentano un rapido invecchiamento, che altera la loro capacità di metabolizzare l’alcol. E purtroppo non è tutto.
Questo invecchiamento improvviso, che si riflette in drastici cambiamenti molecolari, è accompagnato da un’accelerazione dell’atrofia muscolare e del deterioramento della pelle. Le cellule immunitarie muoiono velocemente e c’è un forte aumento del rischio di malattie cardiovascolari e di morte.
La ricerca suggerisce anche che l’accelerazione dell’invecchiamento si ripete intorno ai sessanta e agli ottant’anni. L’invecchiamento, a quanto pare, potrebbe non essere il declino costante che tutti immaginiamo. “Molte definizioni contemporanee lo descrivono come un processo graduale e lineare”, afferma Olecka.
Invece potrebbe essere più simile al rafting: lunghi periodi di calma intervallati da improvvisi tratti di estrema turbolenza, che bucano il nostro gommone fino a farlo affondare. La ricerca intorno a questa sorprendente scoperta è ancora nelle fasi iniziali, ma potrebbe avere implicazioni importanti non solo per la nostra comprensione dell’invecchiamento, ma anche per i tentativi di rallentarlo.
Studiando i moscerini blu
I primi indizi che l’invecchiamento procede a fasi sono emersi studiando i puffi, che non sono i personaggi dei fumetti ma piccoli moscerini della frutta di colore blu. Nel 2011 Michael Rera, allora all’Istituto francese per la salute e la ricerca medica di Parigi, ha scoperto che verso la fine della loro vita naturale i moscerini della specie Drosofila melanogaster entrano in una fase specifica. Somministrandogli una tintura blu per misurare quanto cibo assumevano, diventavano di quel colore, da cui il nome “puffi”. Ma succedeva solo se i moscerini avevano raggiunto una certa età: i più anziani hanno un intestino permeabile, quindi quando in gerivano la tintura, questa fuoriusciva nella loro cavità corporea, facendola di ventare blu. La colorazione era un indicatore affidabile che il moscerino sarebbe morto presto. Gli insetti entravano nel regno dei puffi molto rapidamente: un giorno sta vano bene, il giorno dopo erano bluastri, e poco dopo morivano.
Lo stato dei puffi era anche caratterizzato da alcuni classici segni di decrepitezza, tra cui la diminuzione dell’attività motoria spontanea (si muovevano meno) e delle riserve di energia.
Questo ha portato Rera a ipotizzare che il processo di invecchiamento della drosofila sia diviso in due fasi: avanza lentamente per la maggior parte della sua vita adulta per poi passare improvvisamente a uno stato di profondo deterioramento. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che i moscerini riescono a sopportare a lungo l’accumulo di danni molecolari, ma poi raggiungono una soglia oltre la quale non sono più in grado di farlo.
In seguito la stessa caratteristica è stata osservata anche in altri organismi, tra cui i vermi nematodi e i pesci zebra, il che fa pensare che la permeabilità intestinale sia una caratteristica comune dell’invecchiamento.
Gli esseri umani, fortunatamente, non diventano blu quando si avvicinano alla morte. Ma negli ultimi anni è stato dimostrato che anche gli umani invecchiano per rapidi scatti, probabilmente per gli stessi motivi.
Nel 2022, per esempio, un team del Wellcome Sanger institute di Hinxton, nel Regno Unito, ha scoperto una rapida e significativa trasformazione della capacità di produrre nuove cellule del sangue intorno ai 70 anni. Fino a quel momento, la maggior parte delle persone dispone di una popolazione di 20mila-200mila cellule staminali emopoietiche, che producono nuovi globuli rossi, globuli bianchi e piastrine.
Ma dopo i 70 anni i numeri calano drasticamente, tanto che la maggior parte delle nuove cellule del sangue è prodotta da poche centinaia o addirittura decine di cellule staminali. Questo fa salire enormemente il rischio di anemia e di altre patologie caratterizzate da un calo delle cellule del sangue, oltre a disfunzioni del sistema immunitario, scarsa rigenerazione dei tessuti e tumori del sangue, tutti fattori che fanno salire il rischio di morte e che, come era già noto, aumentano improvvisamente negli over 70.
La causa di questo brusco collasso sembra essere che la maggior parte delle cellule staminali emopoietiche alla fine soccombe al danno molecolare accumulato nel corso della vita.
Secondo Steve Hoffmann, un collega di Olecka al Leibniz Institut, è un classico punto di svolta (tipping point), in cui un sistema passa di colpo da uno stato di equilibrio all’altro, spesso in modo irreversibile, dopo un lungo e lento accumulo di danni.
Questa idea è comune in fisica, ecologia e climatologia, ma Olecka e Hoffmann vorrebbero applicarla alla ricerca sull’invecchiamento, anche se con cautela.
“È un concetto ostico perché non esiste una definizione scientifica precisa di punto di svolta, e in ambiti diversi assume significati diversi”, afferma Olecka. “Ma penso che sia molto efficace”.
I picchi L’ipotesi di Olecka e Hoffmann si basa su prove crescenti che, in molte aree e sistemi del corpo, dopo il superamento di certi limiti biologici i processi di invecchiamento vengono amplificati.
I ricercatori hanno scoperto altri punti di svolta simili, molti dei quali intorno alla stessa età. Alla fine degli anni 2010, per esempio, un team guidato da Tony Wyss-Coray della Stanford university in California si è interessato alla parabiosi eterocronica, una procedura raccapricciante in cui i sistemi circolatori di due animali vengono collegati chirurgicamente.
In uno studio del 2011, Wyss-Coray e i suoi collaboratori hanno collegato i sistemi circolatori di un topo anziano e di uno giovane, osservando che la procedura ringiovaniva il topo anziano e invecchiava quello giovane. Le loro scoperte facevano pensare che il sangue – o, più specificamente, la sua componente fluida, il plasma – contiene regolatori chiave dell’invecchiamento.
Per capire di cosa si trattasse, hanno provato a vedere come cambiano le proteine plasmatiche nel corso dell’invecchiamento umano. In una ricerca pubblicata nel 2019, hanno prelevato campioni di sangue da 4.263 persone tra i 18 e i 95 anni e misurato i livelli di 2.925 proteine del plasma. Si aspettavano di osservare cambiamenti graduali e lineari con l’avanzare dell’età, ma non è stato così.
- gli under 34,
- quelli dai 34 ai 60 anni,
- quelli dai 61 ai 78 anni e
- gli over 78.
All’interno di ciascun gruppo i profili proteici erano molto simili, ma alle età di 34, 60 e 78 anni, cambiavano improvvisa mente: i livelli di alcune proteine aumentavano drasticamente mentre altri crollavano. Inoltre alcune proteine che si moltiplicavano nelle fasce di età più avanzate erano già state associate alle malattie cardiovascolari e all'Alzheimer.
I ricercatori hanno anche riscontrato l’aumento di una proteina collegata alla sindrome di Down. Nessuno dei partecipanti aveva la sindrome, ma una delle sue conseguenze è l’invecchiamento accelerato.
Gli scienziati hanno concluso che gli esseri umani sembrano attraversare tre rapidi periodi di invecchiamento intorno ai 34, 60 e 78 anni.
In un’analisi ancora più approfondita, un team guidato da Michael Snyder della Stanford university ha esaminato RNA, metaboliti, lipidi e molecole infiammatorie, nonché proteine plasmatiche, in 108 persone di età compresa tra 25 e 75 anni, e ha scoperto che molecole già note per essere marcatori dell’invecchiamento subivano una netta impennata durante due brevi finestre temporali, prima tra i 40 e i 50 anni e poi intorno ai 60.
Entrambi i picchi includevano molecole associate a un maggiore rischio di malattie cardiovascolari, disfunzioni nel metabolismo dei grassi, ridotta stabilità muscolare e degrado della pelle, che diventava più soggetta a danni e infezioni.
Il primo picco era associato a una minore capacità di metabolizzare caffeina e alcol, il che spiega il problema dei postumi da sbornia.
Il secondo suggeriva un repentino calo della funzionalità dei reni e del sistema immunitario.
Solo il 6,6 per cento delle migliaia di molecole monitorate cambiava gradualmente con l’età, mentre l’81 per cento lo faceva in modo non lineare. Il fatto che i picchi corrispondono approssimativamente ai primi due osservati dal team di Wyss-Coray a 34 e 60 anni fa pensare che stiano captando gli stessi segnali, dice Snyder. Il suo team non è stato in grado di verificare se ci fosse un altro picco a 78 anni, perché i soggetti più anziani avevano solo 75 anni. Alcuni segnali suggeriscono che anche i singoli organi e sistemi invecchiano a fasi.
Nel 2020, per esempio, alcuni ricercatori tedeschi hanno realizzato profili molecolari di campioni di pelle preleva ti da donne tra i 21 e i 76 anni, e hanno scoperto, com’era prevedibile, che la pelle delle più anziane presenta più marcatori molecolari dell’invecchiamento. Ma il percorso è complesso, con punti di svolta intorno ai 30, 50 e 65 anni, che suddividono l’invecchiamento cutaneo in quattro fasi distinte.
Sono stati scoperti punti di svolta an che nel proteoma plasmatico del cervello (l’insieme di proteine presenti nel plasma sanguigno) a 57, 70 e 78 anni, in concomitanza con un aumento dei marcatori dell’invecchiamento. E alcune cellule chiave del sistema immunitario, tra cui i linfociti B, i linfociti T e le cellule killer, attraversano due fasi di declino intorno ai 40 e ai 65 anni, contribuendo probabilmente all’indebolimento della funzione immunitaria. I punti di svolta potrebbero anche essere alla base di alcune anomalie nell’incidenza di malattie e della mortalità legate all’età.
Secondo Snyder, sappiamo già che l’incidenza di alcune di queste patologie mostra salti improvvisi. Il rischio di malattie cardiovascolari, per esempio, a 40 anni aumenta dal 16 al 40 per cento, per poi rimanere pressoché stabile fino a 59 anni. A 60 anni balza a circa il 75 per cento, e dopo gli 80 a circa l’85.
Allo stesso modo, l’incidenza di malattie neurodegenerative come il parkinson e l’alzheimer accelera prima gradualmente intorno ai 40 anni e poi in modo più aggressivo intorno ai 65. I dati sulla mortalità mostrano altre piccole non linearità. L’ipotesi classica è che i tassi di mortalità aumentino in modo regolare ed esponenziale durante l’età adulta, tanto che il rischio di morire per qualsiasi causa raddoppia all’incirca ogni otto anni.
Ma quando Aleksei Golubev del Centro nazionale di ricerca medica oncologica NN Petrov di San Pietroburgo, in Russia, ha analizzato dati provenienti da Francia, Svezia e Giappone, ha individuato tre periodi in cui il tasso di mortalità accelera in modo leggero ma percettibile: intorno ai 17, 38 e 60 anni. Secondo Hoffman, il primo di questi è probabilmente dovuto a fattori esterni come gli incidenti, ma gli altri due coincidono con punti di svolta molecolari. Potrebbero quindi essere in parte legati all’invecchiamento accelerato.
Se si sommano tutti i punti di svolta dell’invecchiamento – tenendo conto di alcune eccezioni, come l’invecchiamento della pelle – sembra che dopo la maturità la nostra vita sia divisa in fasi di circa vent’anni. “Penso che servano più informazioni, ma da quello che vedo negli esseri umani le transizioni più importanti si verificano intorno ai 40, ai 60 e agli 80 anni”, afferma Olecka. Si potrebbe dire che lo sappiamo intuitivamente: in genere definiamo queste fasi “età adulta”, “prima mezza età”, “tarda mezza età” e “vecchiaia”.
Ma la ricerca suggerisce che queste etichette corrispondono a fasi reali, con caratteristiche biologiche precise.
Guadagnare tempo
Cosa innesca questi cambiamenti improvvisi? Secondo Olecka e Hoffmann, è probabile che sia l’accumulo dei danni molecolari a sopraffare la capacità dell’organismo di gestirlo, come succede ai moscerini della frutta. I nostri sistemi di riparazione naturali possono tamponare questi cambiamenti molecolari fino a un certo punto, ma poi si sovraccaricano o si esauriscono, facendo precipitare il sistema in un nuovo stato.
Per ora è solo un’ipotesi, ma tra i possibili meccanismi di risanamento ci sono la riparazione del DNA, gli antiossidanti e i “chaperon” molecolari che garantiscono il corretto ripiegamento delle proteine. Potrebbero anche esserci effetti domino, in cui il superamento di un punto di svolta ne spinge un altro oltre la soglia. Snyder sospetta che la transizione intorno ai 40 anni sia in parte dovuta a cambiamenti dello stile di vita. “Immagino che le persone non facciano più tanto esercizio fisico, diventino più sedentarie e probabilmente mangino meno bene”, afferma. In questo caso si potrebbe ritardare l’arrivo dei punti di svolta con la dieta, l’esercizio fisico e forse, un giorno, con una nuova classe di farmaci chiamati “agenti anti-transizione”. Non tutti i processi di invecchiamento seguano dinamiche non lineari – l’accumulo di mutazioni, per esempio, è lineare – ma per Hoffmann “queste transizioni non lineari sono estremamente interessanti”.
Esplorarle potrebbe permettere di individuare nuovi bersagli per le terapie antinvecchiamento. “Invece che un farmaco efficace per tutti, forse dovremmo cercare strategie per fermare o ritardare le transizioni”, afferma Olecka. Farmaci simili sono ancora lontani, ma sono già stati compiuti passi avanti, come gli interventi genetici che il team di Rera ha progettato per ritardare il momento in cui i moscerini della frutta diventano puffi. Nel frattempo, Olecka e Hoffmann vogliono creare un sistema a strati, in base al quale le persone vengono assegnate a una delle quattro, o forse anche cinque o sei, fasi dell’invecchiamento e trattate di conseguenza.
“Le transizioni possono essere utili per la prevenzione”, afferma Olecka. “Alcuni interventi possono aiutare i più giovani, ma rivelarsi dannosi in una fase più avanzata”.
Una volta raggiunta una determinata fase c’è un modo per tornare indietro? “È una domanda molto, molto importante”, dice Olecka. “Non lo sappiamo ancora”. Ma potremmo scoprirlo presto. Sny der, per esempio, sta analizzando i dati di un gruppo più ampio di soggetti che ha seguito per 12 anni. Uno degli obiettivi dello studio è scoprire quali interventi potrebbero ritardare il superamento dei punti di svolta. “Monitorando lo stile di vita delle persone, potremo capire meglio se alcune sono in grado di ritardare questi cambiamenti fino ai 50 anni o più”, afferma. “E se è così, cosa fanno per riuscirci?”.
Con l’accumulo di prove e con le nuove ricerche in corso, anche la ricerca sull’invecchiamento potrebbe essere vicina a un punto di svolta.
domenica, agosto 24, 2025
In vacanza con l'algoritmo
da L'Internazionale del 22 Agosto 2025
Instagram e TikTok stanno cambiando il nostro modo di viaggiare. Con effetti sugli ecosistemi umani e ambientali “TikTok e Instagram sono le nuove guide turistiche”, scrive Le Monde a proposito di quanto questi social network – uno dei motori dello straordinario successo del settore dei viaggi cominciato nel 2022 – influenzino sempre più il nostro modo di viaggiare.
“In quattro anni i contenuti legati ai viaggi su queste piattaforme sono esplosi: su TikTok si registra un aumento del 410 per cento rispetto al 2021, mentre su Instagram nel 2024 c’erano quasi due milioni di post legati ai viaggi.
‘Quattro cose da fare all’arrivo in Giappone’, ‘La più bella escursione sull’isola di Skye, in Scozia’, ‘Cinque consigli per viaggiare con un budget limitato’, ‘Tre città europee sottovalutate’, ‘Come pagare i voli al miglior prezzo’, ‘I miei indirizzi di ristoranti buoni a Bordeaux’: migliaia di video e foto create sia da viaggiatori sia da influencer o aziende.
Ma tutto ciò, oltre a fabbri care nuovi immaginari e rendere il viaggio più accessibile, è tutt’altro che neutrale”, continua Le Monde.
“Si tratta, in fatti, di contenuti in gran parte creati da aziende, e a volte è molto difficile capire se il viaggiatore autore di un post è stato pagato per pubblicarlo. Secondo un’ana lisi dell’antropologa Garance Bazin, su un anno di contenuti dei 36 influencer di viaggio francesi più seguiti, in media il 46 per cento delle pubblicazioni era sponsorizzato.
Non è un caso: questi contenuti creano una dipendenza molto forte e sono molto più efficaci rispetto ad altri canali nel trasformare i comportamenti. Le foto estetizzanti che dieci anni fa hanno fatto il successo di Instagram ora sono affiancate dai video più grezzi e più personali di TikTok, dove i creatori di contenuti si mostrano di più, dando ai follower un’impressione di sincerità, di autenticità”.
Alcuni influencer di viaggio sfruttano la loro popolarità per passare alla fase successiva e vendere servizi: consulenze di viaggio, creazione di itinerari, prenotazioni di tour. Una delle conseguenze di tutto ciò è l’effetto “valanga”: alcuni luoghi sovraesposti diventano sovraffollati. “L’accumulo di video e foto dello stesso luogo rafforza il desiderio di andarci per appartenere allo stesso gruppo sociale.
Questi contenuti giocano molto sulla fomo (fear of missing out, paura di perdersi qualcosa) e le bucket list, le liste da spuntare con le cose da vedere”, dice a Le Monde Gérald Stein, dell’agenzia di comunicazione Leon travel & tourism. “Il turismo è una pratica imitativa: vogliamo vedere luoghi e fare esperienze già mediatizzati”, spiega al quotidiano francese Saskia Cousin, sociologa dell’università di Nanterre specializzata in turismo.
“Ma i social media incrementano questa inclinazione e favoriscono una concentrazione turistica che danneggia gli ecosistemi umani e ambientali: dalle ricadute degli affitti a breve termine sul mercato immobiliare alla sostituzione dei negozi, per non parlare della pressione sulle infrastrutture”.
Un altro aspetto legato al nuovo turismo plasmato dall’algoritmo è che la maggior parte dei contenuti pubblicati dagli influencer di viaggio, dice Cousin, “incoraggia una forma di turismo ad alto impatto ambientale, con una forte impronta carbonica: la spiaggia paradisiaca, le destinazioni lontane, i fine settimana rimbalzando tra le capitali europee grazie ai voli low-cost. Molti, infatti, sono sponsorizzati dalle compagnie aeree.
Questo tipo di vacanze non è nuovo ma sta diventando più popolare di prima, mentre dovremmo pensare a un modo diverso di viaggiare”.
sabato, agosto 23, 2025
La teoria delle finestre rotte
venerdì, agosto 22, 2025
LIBRO: "Il suicidio di Israele" di Anna Foa
Anna Foa è una storica italiana, autrice di numerosi studi di storia culturale della prima età moderna e di opere sulla storia degli ebrei in Italia e più in generale in Europa.
È da sempre impegnata sul fronte della memoria, della didattica della storia e della sensibilizzazione delle giovani generazioni alla conoscenza storica dei fatti riguardanti la Shoah e la deportazione nei campi di concentramento e di sterminio.
Anna Foa è nata a Torino il 23 dicembre 1944, primogenita di Vittorio Foa (1910-2008), politico, sindacalista, storico, uno dei padri fondatori della Repubblica, e di Lisa Giua (1923-2005), ex partigiana, collaboratrice di Palmiro Togliatti, storica e saggista.
Alla nascita, ad Anna venne attribuito un falso nome: Annalisa Rizzini. Solo dopo la Liberazione, e grazie all'insistenza dell'amica di famiglia Ada Gobetti, divenuta vicesindaco di Torino, i genitori avrebbero regolarizzato la loro unione, permettendo di legalizzare la figlia all'anagrafe con il suo vero nome. Per farlo, Anna dovette essere prima dichiarata "figlia di N.N.", e poi essere riconosciuta da entrambi.
La formazione di Anna Foa si compie all'interno di un contesto familiare e sociale di tradizione antifascista, connotato da un forte impegno intellettuale, etico e politico.
Come lei stessa scriverà, in famiglia «l'eroismo costituiva una modalità ovvia dell'essere [...] comprendeva anche regole quotidiane di comportamento: non lamentarsi di ogni piccolo dolore, camminare senza fare storie, non piangere, tenere la testa alta, vivere una dimensione politica e non solo privata».
I Foa, di origine francese e di religione ebraica, si erano stanziati in Piemonte nei primi decenni del Quattrocento. Il bisnonno paterno di Anna,
- Nel libro " La famiglia", Anna Foa ricostruisce la storia e la biografia della famiglia paterna dei Foa e di quella materna dei Giua, a loro volta intrecciate con legami matrimoniali, di sangue e di amicizia con altre famiglie rappresentative della tradizione ebraica e antifascista torinese (i Della Torre, i Luzzati, i Levi), offrendo uno spaccato dei principali eventi degli ultimi cento anni di storia politica, intellettuale e sociale del nostro paese (fascismo, Resistenza, Shoah, dopoguerra, il 1968).
giovedì, agosto 21, 2025
L’ironia che può cambiare il mondo: intervista a Daniel Pennac
PUBBLICO, blog di Feltrinelli, ha chiesto a Daniel Pennac, maestro di narrazione e autore della saga dei Malaussène,
di ragionare insieme sulle grandi questioni della satira, a dieci anni dall’attentato
contro la redazione di Charlie Hebdo. Dal confronto è nata una riflessione dell’autore,
che porta molti dubbi a una società sempre più abituata a risposte lineari, e un
sorprendente dialogo con ChatGPT.
Credo
di avere qualche difficoltà a rispondere alle domande di PUBBLICO. Per due ragioni.
La
prima è la seguente: non sono né il sociologo, né l’antropologo, né il politologo,
né il polemologo, né il semiologo, né lo psicologo, né lo storico, né il giornalista
a cui queste domande sono destinate.
In
quanto romanziere, non ho nessuna delle competenze necessarie per rispondere a un
tale questionario. A meno di non voler “recitare una parte”. Quale parte? La
parte di quello che non sono. È una postura a cui ho rinunciato da giovane,
dopo aver scritto un saggio sul servizio militare che volevo intitolare, ironicamente,
Sarai un figlio, uomo mio, e che il mio editore dell’epoca ha intitolato: Il servizio
militare al servizio di chi? Risultato, ho smesso di scrivere saggi per dedicarmi
al romanzo.
La
seconda ragione è che quasi tutte le domande contengono già in sé la risposta.
Sono nello stesso tempo retoriche e tautologiche. Suggeriscono risposte prevedibili.
Risposte, cioè, che potrebbe dare ChatGPT.
Vogliamo provare? Mi sono divertito a porre la prima
domanda a ChatGPT.
Domanda: Dieci
anni dopo l’attentato contro Charlie Hebdo, qual è lo stato di salute della satira
oggi in Francia? Se dovessimo fare un bilancio, potremmo dire che lo spirito libero
del giornale ha trionfato o che è stato il fanatismo delle certezze ideologiche
ad avere l’ultima parola?
Ecco
la risposta:
Risposta di ChatGPT: Dieci
anni dopo l’attentato contro Charlie Hebdo, la satira in Francia rimane viva, ma
evolve in un contesto più complesso. Lo spirito libero del giornale sopravvive,
certo, ma deve misurarsi con una pressione crecente. Da un lato il giornale continua
a sfidare i dogmi e le certezze, restando fedele alla sua tradizione di irriverenza. Dall’altro deve affrontare un clima
in cui si fanno sempre più acute le polarizzazioni ideologiche e si moltiplicano
le accuse di eccessiva provocazione o di mancanza di rispetto nei confronti di talune
sensibilità. Se la satira ha trionfato, e perciò sopravvive, d’altra parte il “fanatismo
delle certezze ideologiche” guadagna talora terreno limitando il dibattito pubblico
e incoraggiando l’autocensura.
Risposta di Pennac: La
convince, questa risposta? A me no. Lo stato della satira dieci anni dopo il massacro
di Charlie Hebdo? Come vuole che stia, la satira? Charb è stato ucciso, Tignous
è stato ucciso, Cabu è stato ucciso (se lo immagina, un proiettile che entra nel
corpo così gracile di Cabu?), Wolinski è stato ucciso, Bernard Marie è stato ucciso…
Poi sono stati uccisi gli spettatori del Bataclan e in questi ultimi dieci anni
sono stati uccisi degli insegnanti… No, non sta affatto bene, la satira. Mi
chiede se il mondo va avanti? Sì, il mondo va avanti, e con esso la satira,
certo.
E
vediamo ora come risponde ChatGPT alla seconda domanda, quella relativa alla trasmissione
della “tradizione illuminista e libertaria”.
Domanda: Ricordiamo
Christophe Alévêque, durante la cerimonia organizzata a Montreuil in omaggio a Tignous,
intonare Bella Ciao davanti a un pubblico smarrito per non cedere alla paura, o
ancora Fernando Savater che invitava a brandire la Lettera sulla tolleranza di Voltaire.
L’obiettivo era lo stesso: affermare una resilienza, dire: « Non subisco ». Dieci
anni dopo, è ancora così? Questo orgoglio per la tradizione illuminista e libertaria
è ancora così vivo e trasmesso?
Risposta di ChatGPT: Lo
slancio del 2010, all’insegna di una solidarietà senza precedenti e di un attaccamento
tenace alla libertà di espressione, sembra aver perso vigore. Se la tradizione illuminista
e libertaria non si è spenta, essa non suscita più, però, un consenso unanime e
solleva maggiori contestazioni, specialmente da parte di coloro che denunciano una
libertà di espressione asimmetrica o percepita come oppressiva. La trasmissione
di questo “orgoglio illuminista” dipende oggi dall’intervento attivo nella sfera
dell’educazione.
Risposta di Pennac: Ecco un’altra risposta soddisfacente. Niente
da ridire. È davvero fantastico, no, ChatGPT? Una miniera d’oro per studenti a corto
di risposte. E allora perché non posso rispondere alle sue domande con risposte
apparentemente così sensate, così ragionevoli, così esaustive, tutte costruite come
brevi saggi impeccabili? Perché? Perché, in un saggio, anche se qualcosa è vero,
è falso, mentre in un romanzo anche se è falso, è vero.
E voi mi chiedete di produrre, con delle risposte-saggio, il succo di una realtà
passata al torchio della mia ragione. Come succo d’uva, proprio così. Impossibile.
Il romanziere sa, proprio in virtù della somma delle cose che non sa, che
la realtà resiste al torchio dell’analisi. Non perché la realtà sia troppo
solida, ma semmai perché è troppo liquida, troppo presente e troppo sfuggente,
troppo evidente e troppo ambivalente, troppo viva e troppo mortifera, e così è da
sempre. Rispondendovi a proposito della tradizione illuminista e libertaria,
ChatGPT afferma che non suscita più un consenso unanime. Ma
quando mai lo spirito libertario ha suscitato un consenso unanime? Cos’è, la Francia,
una nazione di anarchici? Da quando? E cosa sono queste “sfere dell’educazione”
che dovrebbero occuparsi del nostro “orgoglio illuminato”? La scuola? Gliene parlerò
più avanti, della scuola. Ma, come vede, a domande prevedibili, risposte prevedibili.
Cose giustissime che, ad ascoltarle da vicino, suonano sbagliate.
E
adesso la smettiamo di giocare con ChatGPT e veniamo alle ultime domande che riguardano,
tutte, l’”ironia”…
L’ironia si può insegnare a scuola?
Può essere un antidoto alla rabbia, l’ironia?
La satira resta un’arma in mano agli umili, agli esclusi?
Risposta di Pennac: Tanto
per cominciare, gli umili e gli esclusi non hanno mai potuto
disporre della satira. Gli umili e gli esclusi annegano nel Mediterraneo.
Né Rabelais, né Molière, né Voltaire, né Diderot, né Hugo, né Alfred Jarry, né Coluche,
né gli uomini e le donne di Charlie, che incarnavano la satira, erano umili o esclusi.
Erano delle coscienze vigili e gioiose che – a volte – si mettevano al servizio
degli umili.
Per
quel che riguarda l’ironia a scuola, consideriamola uno degli aspetti dello
spirito critico. È possibile insegnarla? Dipende dal temperamento dell’insegnante,
dalla sua personale inclinazione a praticarla. Nei programmi delle università dove
si formano gli insegnanti non è prevista l’ironia. L’insegnamento dell’ironia non
è nel “temperamento” della nostra Pubblica istruzione (la famosa “sfera educativa”)
e non lo è mai stato.
“Un’anima senza ironia diventa un inferno”. Sono stato io a dirlo? Era meglio
se stavo zitto, è una frase fatta. L’anima senza ironia, tutt’al più, può
diventare l’inferno degli altri. È possibile accedere alla felicità senza
ironia? Tutto dipende da cosa si intende per felicità. Nella mia lunga vita ho incontrato
persone feroci assolutamente felici grazie al male che facevano agli altri. (A volte,
peraltro, in nome di principi ineccepibili).
Per
fortuna, ho incontrato anche persone sagge, immuni grazie all’ironia dalla tentazione
della felicità. Fra queste la più celebre è Anton Cecov. L’ironia lo predisponeva
a una bontà priva di illusioni. Lui spingeva la generosità fino a non aspettarsi
nulla in cambio dalle persone – tante – a cui faceva del bene. Il suo segreto? Trasformare
le sue collere in lucidità, senza mai porre sé stesso come la norma. E di
cosa si nutriva la sua ironia? Della certezza, onnipresente nella sua opera,
che nulla cambierà mai il cuore umano. Il che non deve impedirci di fare
il possibile per cambiare il mondo. Cecov destinò una gran parte dei suoi diritti
d’autore alla creazione di scuole e biblioteche, pur sapendo che erano solo una
goccia d’acqua nell’ignoranza dell’immensa Russia. È morto 40 anni prima della mia
nascita ma, sin dal nostro primo incontro, è stato il mio migliore amico.
mercoledì, agosto 20, 2025
LIBRO: "Tasmania" di Paolo Giordano
martedì, agosto 19, 2025
MOSTRA: "La rinascita della materia" di Lorena Premoli - Brera District - Milano - Gratuito
Allo spazio MADE4ART verrà presentata (presso la sede in Via Ciovasso 17 nel cuore di Brera), la mostra personale "La Rinascita della Materia" dell’artista Lorena Premoli a cura di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo.
In esposizione presso MADE4ART una selezione di opere pittoriche realizzate negli ultimi anni dall’artista milanese che ben rappresenta le molteplici direzioni in cui si è sviluppata la sua ricerca artistica, pur mantenendo riconoscibilità e coerenza, con un costante anelito all’armonia e all’equilibrio.
Colori freddi o caldi, elementi geometrici, il segno e il gesto che sapientemente si concretizzano in un linguaggio astratto non privo d’intrusioni figurative rivelano una personalità eclettica e curiosa capace di generare opere di grande eleganza nelle quali traspaiono emozioni e sentimenti, che facilmente possiamo condividere ed esperire, ognuno secondo il proprio vissuto personale e attraverso la propria individualità.
Così è anche per i frammenti e gli oggetti che la pittrice inserisce nella composizione, spesso elementi di riciclo: tessuti, corde, legni, carte… che vanno a formare una chiave, una scala, un ponte o che fanno da supporto per un pensiero, nel superamento della bidimensionalità del dipinto e in un’apertura verso l’esterno. Materia che assume nuova forma, che dialoga, che rinasce.
L’inaugurazione della mostra si terrà giovedì 11 settembre 2025 dalle ore 18 alle 20.
A partire dal 12 settembre La Rinascita della Materia sarà visitabile su appuntamento negli orari di apertura della sede, dal martedì al venerdì dalle 10 alle 18.