«Volevamo essere avventati e
liberi di sbagliare, sì, soprattutto di sbagliare».
L’educazione sentimentale,
politica, sessuale di un’adolescente nella seconda metà degli anni Sessanta,
tra feste e proteste, risate e pianti, sogni arditi e drammatici risvegli.
Un romanzo che trascina dentro la
magia e il mistero della giovinezza.
Roma, 1967. Sara Mei è stanca di
essere una bambina. La terra di mezzo del ginnasio, su cui è appena approdata,
già non le basta più. Il suo sguardo punta dritto ai piani superiori della
scuola, dove ci sono le classi del liceo. Ad affascinarla è soprattutto un
gruppo di ragazze spavalde, portatrici di una femminilità che ancora non
conosceva: una femminilità “non” rassicurante.
Una di loro ha un fratello,
Saverio. È bello, colto, impegnato: impossibile non innamorarsene, anche se lui
sembra sempre perso in pensieri immensi, o sospeso fra le note del suo
pianoforte.
Coraggiosa, piena di ironia, Sara
si butta senza rete nel vortice di cambiamento che travolge la società. Passa
senza sosta dal “Piper” ai cineforum, dalle prime impacciate esperienze con i
maschi ai contrasti familiari, soffre e gioisce insieme alle amiche.
Vive una stagione irripetibile,
diverte, si diverte, sboccia.
E arriva il 1969. Un anno
incredibile, il 1969.
Per il mondo è l’anno dello
sbarco sulla luna, per Sara quello in cui si scopre grande, per una
generazione, la sua, quello in cui le illusioni si sbriciolano nel fragore di
una bomba.
«Ci vuole una discreta tempra e
tanto coraggio per fare una rivoluzione e io, per quanto mi fingessi spavalda,
non mi sentivo all’altezza. Ero un po’ vigliacca e molto ignorante, ma almeno
non ero più sola. Lola mi stava abbracciando e il suo profumo che sapeva di
spezie orientali (mi pare si chiamasse patchouli) lentamente mi rianimava.
L’amicizia è più potente
dell’amore. L’amicizia guarisce e salva e ti assegna un posto nel mondo. E
anche se io ero stonata come una campana non se ne sarebbe accorto nessuno
perché le mie amiche avrebbero cantato in coro con me. Non c’erano più solo loro
adesso, eravamo diventate noi».
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