Alla vigilia dell’8 Marzo, Gilda
Sportiello ci invita a tenere alta la guardia contro l’attacco che in Italia e
in molti altri Paesi le destre stanno sferrando al diritto all’aborto sicuro e
legale.
Nel libro presenta dati
incontrovertibili (quando esistono e vengono raccolti in modo organico) e smonta la retorica del dolore e
la narrazione della colpa, per ribadire che l’aborto va difeso come il
frutto di una scelta libera e consapevole e garantito in spazi sicuri e mai
giudicanti.
Giudizi indesiderati, molestie, tentativi manipolatori di dissuasione, stanze
dell’ascolto, violenze fisiche e psicologiche, disinformazione: quando una
persona decide di interrompere una gravidanza è questo che spesso si trova ad
affrontare.
Pratiche e modalità che hanno il
preciso scopo di alimentare lo stigma, suscitare sensi di colpa, rafforzare
l’idea che ci sia un solo destino possibile: quello segnato dal dolore e dalla
vergogna.
È così che l’aborto viene
trattato dalla morale – o dalla cattiva politica che si fa morale –, spacciato
per gentile concessione e non riconosciuto come diritto alla salute, ostacolato
e intralciato: da servizi inesistenti, consultori svuotati, tassi di obiezione
così alti da diventare impedire l’applicazione della legge, leggi applicate
solo in parte o del tutto disattese, pratiche inaccettabili che si trasformano
in violenza impunita.
L’onorevole Gilda Sportiello (M5S), nell’aprile del 2024 è intervenuta in aula a Montecitorio contro la norma del decreto PNRR che apre i consultori alle associazioni pro-vita.
Contestualmente ha deciso di
raccontare la sua scelta di abortire, anni prima, e di come questa decisione si
sia trasformata in una corsa contro il tempo, per colpa dei troppi medici
obiettori e di chi ha tentato di dissuaderla.
Con le altissime percentuali di
obiezione di coscienza che abbiamo in Italia, possiamo davvero dirci un Paese
in cui l’aborto è libero e garantito?
Nel pamphlet Potevi
pensarci prima, Sportiello condivide la sua storia e indaga la questione
con dati, analisi e proposte per superare i limiti della legge 194.
Scrive: «Nell’immaginario
collettivo la volontà di interrompere la gravidanza è fuori dalla sfera della
tutela della salute perché il pensiero recondito di molti è che si tratti di
una concessione (...) Vivere un diritto come un privilegio è quanto di più
temibile ci possa essere per un Paese che voglia dirsi autenticamente
democratico». Perché in Italia è ancora così?
«È la domanda centrale: come mai
chi decide di abortire deve ancora pagare un pegno in termini di vergogna, e
subire violenze psicologiche nei luoghi deputati all’aborto?
Anche la legge 194, sebbene abbia il merito di aver introdotto nel nostro ordinamento l’aborto sicuro e legale, di fatto contiene all’interno della sua stessa stesura dei punti molto controversi, che già all’epoca dell’approvazione (nel 1978, ndr) furono oggetto di contestazione e grande confronto. L’obiezione di coscienza è uno di questi.
Il fatto che venga permesso alle
associazioni antiabortiste di accedere ai consultori e di esercitare pressioni,
cioè proprio là dove le persone che vogliono abortire dovrebbero essere
tutelate, e il fatto che ancora oggi ci dobbiamo scontrare con percentuali di
obiezione molto alte, significa che abbiamo un problema enorme.
Non possiamo parlare di un accesso all'aborto realmente garantito».
Nel 2021 il 63,4 per cento dei
ginecologi erano obiettori di coscienza. La legge 194 ammette l’obiezione. Ma i
medici che si rifiutano di fare i medici, di usare la scienza, non dovrebbero
fare un altro mestiere?
«Mi chiedo come mai una
persona che ha deciso di lavorare per vocazione come ginecologo possa
rifiutarsi di effettuare un intervento che ha a che fare con la nostra salute
riproduttiva e sessuale, e che non è soltanto una questione di libertà di
scelta ma talvolta anche di cura.
Credo che con percentuali così
alte di obiezione il nostro Paese non possa non mettere in discussione la legge
che tutela l’obiezione di coscienza, nel senso che le va posto un limite.
Se più della metà del personale medico è obiettore, e ci sono interi presidi in cui il cento per cento dei medici sono obiettori, la domanda va posta per forza».
Lei riporta che l’obiezione
spesso è una scelta che si fa non solo per una questione morale, ma anche per
non rovinarsi la carriera.
«Numeri così alti vanno indagati, non è possibile che si spieghino soltanto con la religione. Ci sono medici che denunciano questo: l’obiezione potrebbe non avere solo motivazioni ideologiche, ma essere associata anche alle opportunità di carriera: se a effettuare aborti sono in pochi, finiranno relegati a fare quello e potranno crescere meno».
Come si è sentita nei giorni
in cui cercava un medico che la facesse abortire? Oltre alla rabbia, provava la
paura di non fare in tempo?
«Sì, tanta. I tempi di
attesa sono altissimi e spesso, se non ci fosse un mutuo aiuto dal basso, dalle
associazioni, si correrebbe il rischio, che talvolta si corre, di non riuscire
ad abortire nei tempi necessari. Io stessa sono arrivata al limite massimo: ci
sono volute settimane per accedere all’intervento».
Quali aggiornamenti andrebbero
approntati alla 194?
«Per aggiornare una legge che è
parte della nostra storia serve un lavoro collettivo. Intanto proporrei di
abolire la riflessione dei sette giorni; trovo assurdo che se una persona
decide di interrompere una gravidanza debba sentirsi dire che deve rifletterci
per una settimana, come se non avesse già provveduto a farlo da sola.
Questa è una delle violenze che
si subiscono all’interno delle strutture: l’infantilizzazione delle donne.
L’aborto dopo i novanta giorni è
un altro punto su cui bisognerebbe riflettere, perché dire che bisogna
intervenire solo se c’è un grave pericolo per la salute della gestante
significa che prima dev’essere messa a rischio della vita, e solo allora si può
agire: una cosa di una gravità assoluta».
Le reazioni che più l’hanno
ferita dopo il suo intervento in Parlamento?
«Le reazioni in aula mi hanno
indignata, perché anche in un ruolo come quello che rivesto sono stata
redarguita da parte di uomini che pretendevano di spiegarmi che cosa avrei
potuto dire lì e cosa no, da libera parlamentare eletta. A ferirmi profondamente
però sono stati i commenti di alcune donne che tiravano in ballo la mia
maternità attuale. Io oggi ho scelto di essere mamma, e c’è chi ha visto questi
due momenti della mia vita come contrapposti, come se la mia scelta di abortire
in passato mi etichettasse per la vita, e dicesse di me più di quanto in realtà
un aborto non dica».
Il senso di colpa che ci viene
instillato dalla cristianità ( anche se, come giustamente dice lei, siamo
cittadini di un Paese laico) vuole che chiunque abortisca faccia i conti con
quella decisione per sempre. Arriverà un momento in cui ci sentiremo libere di
dire che a quei figli che ancora non erano figli ma solo embrioni non per forza
bisogna poi pensare per tutta la vita?
«Il senso di colpa ha sì a che
fare con la religione, ma è una questione più ampia, è un effetto largo del
patriarcato. Nel senso che purtroppo è qualcosa di diffuso, che anche a
sinistra non permette di farci i conti pienamente; prevale sempre la narrazione
del dolore. Io non ci ho mai più pensato, o meglio: tutte le volte che mi è
capitato di pensarci l’ho fatto con un senso di grande sollievo. Smontare
quella narrazione è fondamentale per riappropriarci di una scelta che è
soltanto nostra. Finché ci relegheranno al silenzio, alla vergogna, e ci
imbriglieranno in un tabù, non ne usciremo».
Guardando agli USA ora che
Trump è di nuovo Presidente, quali sono i suoi timori?
«Ho delle paure enormi per il
momento storico, in generale. È chiaro che spaventa vedere la composizione del
governo Trump: è un potere che non conosciamo ancora bene fino in fondo, di cui
non si avvertono la grandezza, l’imponenza e la pericolosità, e parlo per
esempio di chi gestisce i dati, di chi può influenzare le opinioni. Non
possiamo non essere spaventate. Però sono questi i momenti in cui bisogna unire
le forze, tessere una rete a livello globale. L’associazionismo lo fa già
benissimo, ma le istituzioni devono fare la loro parte, smettere di essere
timide, perché la timidezza favorisce le destre».
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