mercoledì, febbraio 05, 2025

LIBRO: “Potevi pensarci prima. E altri giudizi non richiesti sui nostri corpi” di Gilda Sportiello

Alla vigilia dell’8 Marzo, Gilda Sportiello ci invita a tenere alta la guardia contro l’attacco che in Italia e in molti altri Paesi le destre stanno sferrando al diritto all’aborto sicuro e legale.

Nel libro presenta dati incontrovertibili (quando esistono e vengono raccolti in modo  organico) e smonta la retorica del dolore e la narrazione della colpa, per ribadire che l’aborto va difeso come il frutto di una scelta libera e consapevole e garantito in spazi sicuri e mai giudicanti.

Giudizi indesiderati, molestie, tentativi manipolatori di dissuasione, stanze dell’ascolto, violenze fisiche e psicologiche, disinformazione: quando una persona decide di interrompere una gravidanza è questo che spesso si trova ad affrontare.

Pratiche e modalità che hanno il preciso scopo di alimentare lo stigma, suscitare sensi di colpa, rafforzare l’idea che ci sia un solo destino possibile: quello segnato dal dolore e dalla vergogna.

È così che l’aborto viene trattato dalla morale – o dalla cattiva politica che si fa morale –, spacciato per gentile concessione e non riconosciuto come diritto alla salute, ostacolato e intralciato: da servizi inesistenti, consultori svuotati, tassi di obiezione così alti da diventare impedire l’applicazione della legge, leggi applicate solo in parte o del tutto disattese, pratiche inaccettabili che si trasformano in violenza impunita.

L’onorevole Gilda Sportiello (M5S), nell’aprile del 2024 è intervenuta in aula a Montecitorio contro la norma del decreto PNRR che apre i consultori alle associazioni pro-vita.

Contestualmente ha deciso di raccontare la sua scelta di abortire, anni prima, e di come questa decisione si sia trasformata in una corsa contro il tempo, per colpa dei troppi medici obiettori e di chi ha tentato di dissuaderla.

Con le altissime percentuali di obiezione di coscienza che abbiamo in Italia, possiamo davvero dirci un Paese in cui l’aborto è libero e garantito?

Nel pamphlet Potevi pensarci prima, Sportiello condivide la sua storia e indaga la questione con dati, analisi e proposte per superare i limiti della legge 194.

Scrive: «Nell’immaginario collettivo la volontà di interrompere la gravidanza è fuori dalla sfera della tutela della salute perché il pensiero recondito di molti è che si tratti di una concessione (...) Vivere un diritto come un privilegio è quanto di più temibile ci possa essere per un Paese che voglia dirsi autenticamente democratico». Perché in Italia è ancora così?

«È la domanda centrale: come mai chi decide di abortire deve ancora pagare un pegno in termini di vergogna, e subire violenze psicologiche nei luoghi deputati all’aborto?

Anche la legge 194, sebbene abbia il merito di aver introdotto nel nostro ordinamento l’aborto sicuro e legale, di fatto contiene all’interno della sua stessa stesura dei punti molto controversi, che già all’epoca dell’approvazione (nel 1978, ndr) furono oggetto di contestazione e grande confronto. L’obiezione di coscienza è uno di questi.

Il fatto che venga permesso alle associazioni antiabortiste di accedere ai consultori e di esercitare pressioni, cioè proprio là dove le persone che vogliono abortire dovrebbero essere tutelate, e il fatto che ancora oggi ci dobbiamo scontrare con percentuali di obiezione molto alte, significa che abbiamo un problema enorme.

Non possiamo parlare di un accesso all'aborto realmente garantito».

Nel 2021 il 63,4 per cento dei ginecologi erano obiettori di coscienza. La legge 194 ammette l’obiezione. Ma i medici che si rifiutano di fare i medici, di usare la scienza, non dovrebbero fare un altro mestiere?

«Mi chiedo come mai una persona che ha deciso di lavorare per vocazione come ginecologo possa rifiutarsi di effettuare un intervento che ha a che fare con la nostra salute riproduttiva e sessuale, e che non è soltanto una questione di libertà di scelta ma talvolta anche di cura.

Credo che con percentuali così alte di obiezione il nostro Paese non possa non mettere in discussione la legge che tutela l’obiezione di coscienza, nel senso che le va posto un limite.

Se più della metà del personale medico è obiettore, e ci sono interi presidi in cui il cento per cento dei medici sono obiettori, la domanda va posta per forza».

Lei riporta che l’obiezione spesso è una scelta che si fa non solo per una questione morale, ma anche per non rovinarsi la carriera.

«Numeri così alti vanno indagati, non è possibile che si spieghino soltanto con la religione. Ci sono medici che denunciano questo: l’obiezione potrebbe non avere solo motivazioni ideologiche, ma essere associata anche alle opportunità di carriera: se a effettuare aborti sono in pochi, finiranno relegati a fare quello e potranno crescere meno».

Come si è sentita nei giorni in cui cercava un medico che la facesse abortire? Oltre alla rabbia, provava la paura di non fare in tempo?

«Sì, tanta. I tempi di attesa sono altissimi e spesso, se non ci fosse un mutuo aiuto dal basso, dalle associazioni, si correrebbe il rischio, che talvolta si corre, di non riuscire ad abortire nei tempi necessari. Io stessa sono arrivata al limite massimo: ci sono volute settimane per accedere all’intervento».

Quali aggiornamenti andrebbero approntati alla 194?

«Per aggiornare una legge che è parte della nostra storia serve un lavoro collettivo. Intanto proporrei di abolire la riflessione dei sette giorni; trovo assurdo che se una persona decide di interrompere una gravidanza debba sentirsi dire che deve rifletterci per una settimana, come se non avesse già provveduto a farlo da sola.

Questa è una delle violenze che si subiscono all’interno delle strutture: l’infantilizzazione delle donne.

L’aborto dopo i novanta giorni è un altro punto su cui bisognerebbe riflettere, perché dire che bisogna intervenire solo se c’è un grave pericolo per la salute della gestante significa che prima dev’essere messa a rischio della vita, e solo allora si può agire: una cosa di una gravità assoluta».

Le reazioni che più l’hanno ferita dopo il suo intervento in Parlamento?

«Le reazioni in aula mi hanno indignata, perché anche in un ruolo come quello che rivesto sono stata redarguita da parte di uomini che pretendevano di spiegarmi che cosa avrei potuto dire lì e cosa no, da libera parlamentare eletta. A ferirmi profondamente però sono stati i commenti di alcune donne che tiravano in ballo la mia maternità attuale. Io oggi ho scelto di essere mamma, e c’è chi ha visto questi due momenti della mia vita come contrapposti, come se la mia scelta di abortire in passato mi etichettasse per la vita, e dicesse di me più di quanto in realtà un aborto non dica».

Il senso di colpa che ci viene instillato dalla cristianità ( anche se, come giustamente dice lei, siamo cittadini di un Paese laico) vuole che chiunque abortisca faccia i conti con quella decisione per sempre. Arriverà un momento in cui ci sentiremo libere di dire che a quei figli che ancora non erano figli ma solo embrioni non per forza bisogna poi pensare per tutta la vita?

«Il senso di colpa ha sì a che fare con la religione, ma è una questione più ampia, è un effetto largo del patriarcato. Nel senso che purtroppo è qualcosa di diffuso, che anche a sinistra non permette di farci i conti pienamente; prevale sempre la narrazione del dolore. Io non ci ho mai più pensato, o meglio: tutte le volte che mi è capitato di pensarci l’ho fatto con un senso di grande sollievo. Smontare quella narrazione è fondamentale per riappropriarci di una scelta che è soltanto nostra. Finché ci relegheranno al silenzio, alla vergogna, e ci imbriglieranno in un tabù, non ne usciremo».

Guardando agli USA ora che Trump è di nuovo Presidente, quali sono i suoi timori?

«Ho delle paure enormi per il momento storico, in generale. È chiaro che spaventa vedere la composizione del governo Trump: è un potere che non conosciamo ancora bene fino in fondo, di cui non si avvertono la grandezza, l’imponenza e la pericolosità, e parlo per esempio di chi gestisce i dati, di chi può influenzare le opinioni. Non possiamo non essere spaventate. Però sono questi i momenti in cui bisogna unire le forze, tessere una rete a livello globale. L’associazionismo lo fa già benissimo, ma le istituzioni devono fare la loro parte, smettere di essere timide, perché la timidezza favorisce le destre».

 

Nessun commento:

Posta un commento