Dal Corriere della Sera “Report
di CasAmica” di Paola D’Amico
Un milione di «migranti della
salute»: si spostano 4,6 miliardi di euro ogni anno (e metà della spesa
sanitaria va ai privati). La spaccatura tra regioni ricche e povere Le
speranze? Telemedicina e tecnologia
Un milione di persone si sposta
ogni anno dalle regioni del Sud e dalle Isole verso quelle del Nord per
curarsi. Gente di ogni età e con loro, spesso, si muove un pezzo di famiglia:
madri, padri, figli. In fuga dal Sud non per aggiustare un alluce valgo ma
quando c’è in gioco la vita.
Lo Studio sui migranti
sanitari di CasAmica, che da 40 anni accompagna per un tratto il cammino
fragile di questi pazienti e che tra Roma, Milano e Lecco mette a disposizione
150 posti letto e ospita in media 4mila pazienti all’anno, registra come il 70%
si sposta in cerca di «una migliore offerta sanitaria (51%), medici più
preparati (39%) o addirittura nell’impossibilità di ricevere cure adeguate
nella propria regione (32%)».
I freddi numeri dicono che è un
flusso inarrestabile, in crescendo. Solo i lockdown lo hanno rallentato ma non
fermato.
Quel milione di «migranti della
salute» ha una chiave di lettura sociale. «Dietro ai numeri ci sono storie,
persone, i loro bisogni.
Stefano Gastaldi, direttore
generale di CasAmica, commenta che sono temi su cui non è facile trovare una
attenzione seria delle istituzioni ma se ci sediamo a un tavolo qualche
soluzione la troviamo». E c’è poi la chiave di lettura economica: quel milione
si trasforma in un segno più per la regione che attrae malati (mobilità attiva)
e in un segno meno (passiva) per chi li lascia andare.
Secondo i dati approvati dalla
Conferenza delle regioni il valore di questa «mobilità sanitaria
interregionale» per il solo 2024 raggiungerà la cifra (impressionante) di
4,6 miliardi di euro.
Con Lombardia (+579 milioni di
euro), Emilia-Romagna (+564), Veneto (+189), Toscana (+58) in testa alla
classifica delle regioni più attrattive. In passivo 14 Regioni: in testa con
numeri a 9 cifre sono Calabria (-294), Campania (-285), Sicilia (-221) e Puglia
(-198).
Un gap Nord-Sud che difficilmente
potrà ridursi. A Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto spetta il 93,3% del saldo
attivo - la differenza tra mobilità attiva e passiva - mentre il 76,9% del
saldo passivo pesa sul Centro-Sud.
I dati
I viaggi per curarsi riguardano
il 22% degli oncologici e il 42% dei pazienti pediatrici
Non solo. Tra le prestazioni
ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità, oltre 1 euro su 2 va nelle
casse del privato, come risulta dai report sulla mobilità sanitaria di
Fondazione Gimbe (www.gimbe.org), che dal 1996 promuove l’integrazione
delle migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni politiche,
manageriali, professionali che riguardano la salute delle persone.
«La mobilità sanitaria – spiega
il presidente Nino Cartabellotta – riflette le grandi diseguaglianze
nell’offerta di servizi sanitari tra il Nord e il Sud del Paese».
Un gap diventato ormai una
frattura strutturale «destinata ad essere aggravata dall’autonomia
differenziata», dice l’esperto. Il timore è che «le maggiori autonomie già
richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto potenzieranno le performance di
queste regioni e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud,
anche quelle a statuto speciale».
Il report
Un Paese, due cure. I
divari Nord-Sud nel diritto alla salute, promosso dall’Associazione per lo
sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno con Save the Children
(www.savethechildren.it), sottolinea come si sposta dal Sud al Nord il 22% dei
malati oncologici. E che la tendenza dei lunghi viaggi si riscontra anche nei
pazienti pediatrici: raggiunge punte del 42% in Molise, del 30% in Basilicata,
del 26 in Umbria e del 23 in Calabria.
Ancora CasAmica in un recente
studio realizzato con Fondazione Roche si è interrogata su quali possano essere
le prospettive portando l’attenzione sulla tecnologia.
In altre parole, un cambio di
paradigma concreto è già possibile nell’era dell’intelligenza artificiale. Basta
volerlo.
Lo conferma il professor Antonio
Vittorino Gaddi, presidente della Società Italiana di Telemedicina
(www.sitelemed.it), che sul tema lavora da molti anni.
Porta come esempio l’esperienza
sulla telecardiologia decollata in Puglia che consente di fare per esempio un
elettrocardiogramma in farmacia «poi trasmesso a una control room attiva 24 ore
dove medici lo leggono in tempo reale e refertano» (tra i «clienti» anche le
navi della Marina militare).
«Siamo partiti 20 anni fa ma fino
alla pandemia da Covid non interessava nessuno.
La telemedicina - spiega Gaddi -
.sposta le informazioni che devono dare una rappresentazione perfetta del
paziente. Far muovere i dati e non la gente è importante per il futuro.
Ma non è a costo zero.
C’è poi il teleconsulto che
può fare da primo filtro per chi migra al Nord per avere una seconda opinione.
E poi c’è l’aspetto
tecnologico, posso portare la “macchina” a casa del paziente e fare
l’esecuzione da remoto...
Ma occorrono protocolli standard
condivisi per trasferire le informazioni digitalizzate. Ed è richiesto
soprattutto un processo culturale. Consapevoli che la tecnologia è in
continua rapida evoluzione mentre i tempi di formazione delle persone sono
lenti».
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