mercoledì, novembre 19, 2025

Violenza sulle donne: "Il paradosso nordico"

 
di Barbara Poggio

Di recente è tornato in voga il tema del “paradosso nordico”, utilizzato per argomentare l’inutilità dei corsi di educazione affettiva, sessuale o alla parità: dal momento che alcuni Paesi del nord Europa sembrano avere tassi più alti di femminicidi.
Sì dice:
“Vedete? Anche dove c’è più parità di genere e più educazione su queste tematiche, la violenza non diminuisce, per cui questi percorsi non servono”.
Lo hanno sostenuto il ministro Valditara e la ministra Roccella, lo ha riportato alla mia attenzione anche l’onorevole Sasso quando ho partecipato all’audizione presso la Commissione Cultura della Camera, ed emerge sistematicamente in molti commenti social quando si parla di femminicidi.
Spiace in particolare che a utilizzare questa argomentazione siano persone che ricoprono ruoli politici di rilievo, perché non solo è fuorviante, ma anche scientificamente infondata.
PIU' VIOLENZA O PIU' CAPACITA' DI RICONOSCERLA?
Le uniche evidenze scientifiche di cui disponiamo ci dicono infatti che:
  • nei Paesi più egualitari le donne hanno più strumenti per riconoscere la violenza come tale (non viene normalizzata o minimizzata);
  • esiste maggiore fiducia nelle istituzioni e nei servizi, e di conseguenza una maggiore propensione a denunciare o a rispondere alle indagini su questi temi;
  • i sistemi di registrazione e presa in carico sono spesso più attenti e strutturati.
In altre parole, i tassi più alti non indicano necessariamente più violenza reale, ma più riconoscimento e visibilità della violenza.

Quando poi si distinguono meglio i dati (violenza da partner attuale vs da ex partner, tipo di violenza, caratteristiche dei contesti), il quadro cambia: nei Paesi più egualitari la violenza nelle relazioni in corso tende a essere più bassa, e le donne riescono maggiormente a uscire da relazioni violente.
IL FEMMINICIDIO E' LA PUNTA DI UN ICEBERG
E’ utile inoltre ricordare che la violenza di genere non è fatta solo di omicidi:
è un continuum che comprende
  • controllo,
  • svalutazione,
  • violenza psicologica, economica, sessuale,
  • stalking, fino – in una minoranza di casi –
  • al femminicidio.
Il femminicidio è l’esito estremo di processi che maturano nel tempo.
Valutare l’efficacia dell’educazione sessuo-affettiva guardando solo al numero di femminicidi è, semplicemente, un errore di metodo.
È come dire che l’educazione stradale non serve perché non ha azzerato gli incidenti mortali.
LA VIOLENZA COME REAZIONE ALL'EMANCIPAZIONE
Una ricerca recente sui femminicidi in Italia (“Femicides, Anti-violence Centers and Policy Targeting”) mostra un dato che può sembrare controintuitivo: i femminicidi tendono a essere più frequenti nei contesti dove l’emancipazione femminile è maggiore, ma dove la cultura patriarcale è ancora radicata.
Questo non vuol dire che sia l’emancipazione a “creare” il problema.
Quello che vediamo è piuttosto un fenomeno di backlash: una parte degli uomini reagisce con violenza alla perdita di controllo sulla partner, alla sua autonomia, alla decisione di separarsi.
Non a caso, molti femminicidi avvengono nel momento della rottura della relazione, quando la donna prova a andarsene, a mettere un limite, a riprendersi la propria vita.
L'EDUCAZIONE ALL'AFFETTIVITA' E ALLA SESSUALITA' SERVE?
Se vogliamo capire l’impatto dell’educazione affettiva, sessuale e alla parità, non dobbiamo guardare solo al numero annuale di femminicidi, ma a ciò che sta a monte:
  • gli atteggiamenti verso il consenso e il rispetto;
  • gli stereotipi di genere e il linguaggio sessista;
  • la capacità di riconoscere i segnali precoci di controllo e violenza;
  • le dinamiche nelle relazioni affettive tra adolescenti e giovani;
  • la propensione a chiedere aiuto e a denunciare.
Su questi piani, la letteratura internazionale è piuttosto chiara:
i programmi ben progettati di educazione sessuo-affettiva migliorano:
  • le conoscenze,
  • gli atteggiamenti e alcuni comportamenti,
  • riducono la violenza nelle relazioni giovanili e
  • aiutano ragazze e ragazzi a non normalizzare la violenza.
In sintesi, il cosiddetto “paradosso nordico” non dimostra l’inutilità
dell’educazione affettiva e sessuale.
Anzi, se lo leggiamo con gli strumenti che la ricerca ci offre, ci ricorda una cosa importante:
per ridurre la violenza non basta aspettare che “si vedano i risultati” sui dati più estremi.

Bisogna guardare a tutto il continuum della violenza e
lavorare su cultura, relazioni, istituzioni e diritti,
a partire proprio dall’educazione.

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