giovedì, luglio 17, 2025

Parole O_Stili: Filter Bubble 1 - chi costruisce il nostro sguardo sul mondo?

Chi costruisce il nostro sguardo sul mondo? 

La risposta potrebbe sembrare semplice: i giornali, le persone che seguiamo, le fonti a cui ci affidiamo. La realtà diventa però più complessa non appena ci spostiamo nel digitale, dove ogni contenuto che vediamo è il risultato del calcolo di un algoritmo.

In questo articolo proveremo ad affrontare una piccola parte di questa grande complessità con una parola, e domani con una notizia e un’intervista.

Parola: La comfort zone delle filter bubble

Se ti è mai capitato di pensare, scrollando sui social, che i contenuti che vedi sembrano essere selezionati apposta per te è perché, beh, le cose stanno proprio così.

È l’effetto delle filter bubble, in italiano “bolle di filtraggio”, il fenomeno per cui veniamo esposti quasi esclusivamente a contenuti che rispecchiano ciò che già pensiamo, proviamo o crediamo.

Il termine è stato coniato nel 2011 da Eli Pariser, nel saggio “The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You” e descrive un meccanismo molto semplice: ogni azione che compiamo sui social viene registrata e analizzata dagli algoritmi per personalizzare il nostro feed e mostrarci ciò che (secondo le analisi dell’algoritmo) ci interessa di più.

Tutto ciò che contrasta o che viene ritenuto lontano o inutile viene automaticamente escluso.

Questo sistema, presente su tutte le principali piattaforme, ha delle conseguenze potentissime: 

  • alimenta la polarizzazione, rafforzando esclusivamente le nostre opinioni, 
  • genera intolleranza, impoverendo il pensiero critico con l’assenza di punti di vista diversi,
  • favorisce l’ostilità, soprattutto nei casi di utenti che abitano bolle particolarmente estreme.

Nel tempo, questo circolo di conferme finisce per rafforzare i nostri pregiudizi, ridurre la varietà informativa e minare la nostra capacità di mettere in discussione ciò in cui crediamo. 

Il feed si trasforma in uno specchio che non riflette la realtà, ma una versione su misura della nostra visione del mondo, priva di qualsiasi forma di diversità culturale, politica e sociale.

Qual è la soluzione, allora? 

L’antidoto agli effetti collaterali delle filter bubble non sta nella quantità, perché il punto non è tanto il numero di informazioni che leggiamo quanto lo sguardo con cui lo facciamo.

Serve più consapevolezza critica.

Serve iniziare a riconoscere che i feed sono costruiti per tenerci incollati allo schermo, per intrattenerci, per farci cliccare e consumare sempre più contenuti, e non per tenerci informati.

Serve iniziare a chiederci perché stiamo vedendo un determinato contenuto, da chi è stato costruito e quali punti di vista, rispetto a quello che ci racconta, non stiamo considerando.

Ovviamente questo non vuol dire diffidare di tutto quello che leggiamo o iniziare a cercare le fonti per verificare se il TikTok del gabbiano sul monopattino (che ha fatto impazzire tutto il team di Parole O_Stili qualche tempo fa) sia reale oppure generato dall’IA.

Al contrario, è un invito a imparare a navigare la complessità e ad accogliere quello che ci chiama a mettere in discussione le nostre certezze, accompagnandoci fuori dalla nostra comfort zone digitale per costruire un pensiero più ampio, rispettoso e capace di confronto.

 

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