A proposito delle violenze che hanno accompagnato le proteste per la morte di Ramy Elgaml a Milano.
Contrariamente a quanto
dichiarato da alcuni intellettuali e alcuni studenti, se si tira una pietra a un agente di polizia, si è pienamente e
personalmente responsabili.
La pietra è stata tirata a un
essere umano, a una persona con una vita e una storia, ed è stata tirata da un
essere umano, con una storia e con una coscienza libera, cioè responsabile.
Non è stata la società a tirare
la pietra, e nemmeno la disuguaglianza, l’ingiustizia sociale, l’urbanistica,
le condizioni economiche, il disagio psicologico con cui spesso questo genere
di atti viene giustificato.
Si tratta di un pensiero semplice
ed evidente: siamo liberi e quindi responsabili di quello che facciamo.
Eppure, sembra qualcosa di nuovo
e controcorrente.
Come mai? Siamo influenzati da eccessi culturali otto-novecenteschi che hanno indebolito i concetti di persona e libertà?
Il marxismo ci ha spiegato che ciascuno di noi è il frutto delle strutture economiche e sociali.
Lo
psicologismo ci ha detto che ciascuno è determinato da come è stato
educato.
Infine, il genealogismo
nietzscheano ci ha convinto che i valori personali sono sempre maschere
imposte dalla società.
Dunque, se noi non siamo che l’esito di ciò che ci precede, qualunque cosa accada non è mai responsabilità nostra ma di antecedenti che non possiamo controllare?
Forse occorrerebbe bilanciare questi insegnamenti, che hanno avuto anche i loro meriti, con altri autori.
Per esempio, in campo
socio-politico, la lettura di Alexis de Tocqueville, Hannah Arendt e Vasilij
Grossman, autori che hanno cercato di combattere l’astrattezza di ogni
ideologia basandosi sulla forza della libertà umana personale e concreta.
La libertà vive solo nella consapevolezza della propria unicità e assolutezza, e nella relazione con altre persone, di cui si sente responsabile. In questa responsabilità, cioè nel rispondere a qualcuno di qualcuno, la libertà trova la propria soddisfazione.
Oltre alla necessità di
correggere la nozione di libertà, però, si può parlare anche di buon senso,
molto più diffuso di quanto non si pensi.
Buon senso che spesso si esprime poco, perché ha paura delle folle e dei suoi intellettuali.
La cultura effettiva, quella del buon senso o del realismo, è questione di coraggio più che di grande originalità.
Ci vuole coraggio per dire ciò che è evidente.
Ma basterebbe anche il coraggio di ammettere di aver sbagliato a non dire, a non intervenire, a far finta di non vedere e non sapere.
Eppure, si sa, non è così facile perché, come dice don Abbondio al cardinale Borromeo,
“il coraggio, uno non
se lo può dare”.
E nel capitolo XXV dei Promessi Sposi è interessante la risposta del cardinale Borromeo che lascio a voi la decisione di andare a leggere:
Ma intanto sarebbe già positivo ricordarsi che quello del coraggio è forse uno dei temi più importanti e più trascurati del pensiero morale.
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