Tatiana è una delle community workers di EMERGENCY
impegnate ad accorciare la catena di soccorso. Con gli ospedali
lontani dai piccoli centri, intervenire in tempo aumenta la
possibilità di salvare una vita.
Siamo a OLEKSANDRIVKA (DONETSK) - UCRAINA
La prima volta che Tatiana è salita
su una bicicletta aveva 52 anni.
Non aveva mai pedalato prima di allora.
Tre anni dopo, sorride quando le dicono
che sulle due ruote sembra "volare".
Lo fa da un villaggio a un altro, porta a
porta, per tutta la zona di Oleksandrivka,
nell'oblast ucraino di Donetsk. É una delle
community workers di EMERGENCY che
hanno deciso di rendersi utili andando
di persona ad ascoltare i bisogni di chi
non è partito per il fronte ed è rimasto
nella sua casa.
«Quando ho compilato
il documento per l'assunzione, ci
veniva chiesto se fossimo mai andati in
bicicletta», dice a Huffpost. Ha dovuto
rispondere la verità, ma l'ammissione di
quella lacuna è come se l'avesse offesa.
«Ho imparato grazie a mia nipote. La più
grande difficoltà è stata quella di restare
in equilibrio sul sellino. Poi di girare il
manubrio». Insomma, le basi.
Arrendersi
e non era però un'opzione. Come a volere
una rivincita, come se volesse trovare
almeno un beneficio dal conflitto. L'ha
trovato dando supporto alle persone
rimaste senza nessuno e hanno bisogno
di aiuto. Non solo materiale per loro, ci
spiega Tatania, anche solo sapere che c'è
qualcuno che va a trovarli per ascoltare
i loro bisogni è un conforto importante.
Pensionati, fragili, poveri più fragili e più
poveri per il conflitto. Vittime trasparenti.
Quelle che non figurano nei bollettini,
ma ugualmente coinvolte.
Già prima
dell'invasione della Crimea, nel 2014, le
carenze sanitarie nell'Ucraina orientale
erano endemiche. La lontananza dai centri
abitati, e quindi dalle strutture meglio
equipaggiate, non è solo una questione di
chilometri ma anche di strade dissestate
che aumentano i tempi di percorrenza,
se non addirittura rendono impossibile
raggiungere certi villaggi.
La somma tra
mancanza di medici specialisti, trasporti
pubblici e difficoltà economiche ha
spinto le persone a rimandare le visite.
Spesso fino all'estremo, quando ormai
era troppo tardi per intervenire.
Durante
il decennio successivo, specialmente
nell'ultimo triennio, il fenomeno si è
acutizzato. Cliniche e ospedali sono
state trasformate in obiettivi di guerra,
venendo danneggiate o distrutte. Alcune
di quelle rimaste in piedi sono invece
state riconvertite in strutture mediche
per l'esercito per curare i soldati feriti.
Incontriamo Tatiana durante un
evento
organizzato
dall'European
Resuscitation Council (Erc), che ha
riunito a Oleksandrivka una trentina
di donne e appena quattro uomini
della zona.
Nessuna di loro lavorava
nel mondo sanitario ma con lo scoppio
della guerra hanno deciso di imparare il
mestiere.
L'obiettivo della giornata era
di ottenere un attestato di abilitazione
per la rianimazione, nel caso di arresto
cardiaco, per cui sono state necessarie
circa sei ore di lezione teorica e pratica.
Lo scopo più grande, invece, quello di
accorciare la catena di soccorso. Nel
momento in cui gli ospedali sono lontani
dai piccoli centri, saper intervenire in
tempo aumenta la possibilità di salvare
una vita e diminuisce la pressione sulle
strutture sanitarie.
Non è un dettaglio.
Tra le più grandi
preoccupazioni degli ucraini che
abitano queste zone, oltre al costo delle
medicine e delle cure, c'è l'accesso a
servizi o trattamenti sanitari specifici.
È
l'Organizzazione mondiale per la sanità
(OMS) a dare i numeri.
Tra coloro che
hanno richiesto una qualche forma di
assistenza medica, il 65% ha riscontrato
un problema nei servizi. Una cifra in
ribasso rispetto al 2023, grazie al lavoro
delle varie organizzazioni umanitarie
dislocate sul territorio.
Gran parte delle
persone che vengono visitate sono
anziane, affette da disabilità o vulnerabili.
Soggetti che non rispondono ai requisiti
per essere arruolati nell'esercito, per
questioni di età o per le loro condizioni
fisiche.
Nonostante a pochi chilometri
da loro infuri la battaglia, nonostante
gli allarmi aerei e i caccia che volano
sopra le loro teste ogni giorno, l'idea di
abbandonare la loro casa non viene presa
neanche in considerazione.
«Il nostro
aiuto va a chi è rimasto solo e ha bisogno
di aiuto fisico, ma anche psicologico»,
continua Tatiana.
Le persone sono
stressate dalla guerra, dai droni, dalle esplosioni. Ovviamente i bambini sono
i primi a subire le conseguenze del
conflitto, impossibile da spiegare.
Insieme
agli anziani, i bambini rappresentano la maggior
parte degli abitanti che si incontrano
in queste zone, spopolate della fascia
intermedia per la legge marziale. Oltre
a loro, in giro si vedono solo militari.
Ma a necessitare di supporto è anche
chi comprende bene la realtà, persone
adulte che hanno bisogno di conforto.
A tutti loro, dice Tatiana, «cerchiamo di
offrire il meglio per rimanere».
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