martedì, giugno 24, 2025
Parco Borghetto: La musica della Festa del 22 Giugno 2025
Parole O_Stili: RISPETTO
Quella passata è stata la
settimana della maturità. Un rito che non segna solo la fine di un
percorso scolastico, ma rappresenta una tappa emotiva per chi la vive e per chi
la ricorda ogni anno come passaggio di crescita.
La maturità, in fondo, è fatta
di sentimenti. Quelli romantici, come dimostra chi ancora canta Notte
prima degli esami davanti al portone della scuola — è successo al liceo Michelangiolo di Firenze.
E quelli più ansiosi, come
raccontano i dati di una ricerca condotta da Skuola.net con l’Associazione nazionale Di.Te: rivela
che oltre 6 studenti su 10 affrontano l’esame con un mix di emozioni
negative difficili da gestire che trasformano lo smartphone nella
principale valvola di sfogo.
Alla prova di italiano, il
40,3% dei maturandi ha scelto la traccia sul tema del rispetto, ispirata a
un articolo di Riccardo Maccioni, giornalista di Avvenire,
intitolato: “Rispetto è la parola dell’anno Treccani. E serve
per respirare.”
Un passaggio dell’articolo
recita: “Un auspicio, che porta con sé il desiderio di costruire, di
usare il dizionario non per demolire chi abbiamo di fronte, ma per provare a
capirne le ricchezze, le potenzialità.”
“Rispetto” — inteso come “sentimento
e atteggiamento di stima, attenzione, riguardo verso una persona,
un’istituzione, una cultura, espresso con parole o azioni” — è
stata infatti scelta dall’Istituto Treccani come parola del 2024. Valeria
Della Valle e Giuseppe Patota, condirettori del vocabolario, spiegano: “La
mancanza di rispetto è alla base della violenza esercitata quotidianamente nei
confronti delle donne, delle minoranze, delle istituzioni, della natura e del
mondo animale.”
Eppure, oggi, quella parola
risuona fuori posto.
Nel linguaggio dei leader
politici, nei titoli dei media, nei post sui social.
Il rispetto si sgretola sotto il
peso di un lessico bellico che trasforma le persone in “bersagli”, le
città in “obiettivi”, le vite in “danni collaterali”.
Le dichiarazioni ufficiali
ricorrono a metafore chirurgiche, come “operazioni di precisione”, per
sterilizzare la violenza. Nel frattempo, la retorica dello “scontro di
civiltà” si fa strada nei notiziari, mentre il dolore reale diventa
invisibile.
È scegliere la complessità, quando sarebbe più facile semplificare.
È ascoltare, quando sarebbe più comodo accusare.
È ammettere di non sapere, quando l’istinto è quello di urlare.
Questo weekend ci siamo svegliati
in un mondo ancora più confuso, con nuovi fronti di guerra. Uno di questi, meno
visibile, è quello digitale.
In Israele, le autorità hanno
intensificato il controllo sulle comunicazioni interne. Mercoledì
scorso, il censore militare ha annunciato che ogni contenuto riferito ad
attacchi, spostamenti militari o luoghi colpiti — anche su app private — dovrà
essere approvato preventivamente. Chi non rispetta le regole, potrà incorrere
in sanzioni penali. Scenario ancora più complesso si verifica nella Striscia di
Gaza, dove la rete diventa uno strumento di controllo, in quanto l’azione
sistemica di interruzione delle comunicazioni a seguito di bombardamenti e
blocchi imposti da come risultato l’isolamento comunicativo che ostacola i
soccorsi, impedisce la comunicazione e silenzia le persone.
Il messaggio è chiaro: controllare
la narrazione è una priorità strategica.
Anche l’Iran ha rafforzato la
stretta: accesso a internet limitato, social e app bloccati. Fino a poco tempo
fa, milioni di cittadini aggiravano le restrizioni con l’uso di VPN. Oggi,
anche questi strumenti sono in gran parte inutilizzabili. Le autorità giustificano
la scelta come risposta agli attacchi informatici israeliani.
Il risultato? Un’informazione
militarizzata. Le piattaforme digitali, da spazi di racconto e
denuncia, diventano luoghi di sorveglianza e silenziamento.
Nel frattempo, nel resto del mondo, invece, il pericolo non è
solo la censura, ma soprattutto la disinformazione.
Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, inquinare la conversazione
pubblica è sempre più facile. Un esempio recentissimo sono due contenuti
diventati virali sulle piattaforme social: uno che annuncia, con tanto di
immagini, l’attacco dell’Iran alla Tour Eiffel in Francia e
un altro, più sofisticato, che mostra un’enorme esplosione che, secondo alcune narrazioni,
sarebbe stata ripresa proprio in Iran. In realtà, si tratta di un
vecchio video che riguarda un altro Paese, la Siria.
Insomma, è evidente che la
gestione del conflitto passa anche dal racconto che se ne fa. E chi controlla
le parole, controlla anche — almeno in parte — la percezione degli eventi.
Su comunicazione e social
media vogliamo segnalarti l’ultimo interessante numero di “Fuori dal PED”, la
newsletter di Valentina Tonutti che analizza come la
comunicazione tra Stati, soprattutto in contesti di guerra, abbia adottato il
linguaggio dei social e del content marketing, trasformando anche gli eventi
drammatici in contenuti virali. A partire da un tweet provocatorio tra Iran e Israele
del 2018, l’autore riflette sull’uso sempre più spregiudicato di meme, gif e
emoji nella comunicazione istituzionale, con esempi di Israele e Ucraina.
lunedì, giugno 23, 2025
Parco Borghetto: Discorso inaugurazione targa Luogo del Cuore FAI
"Lezioni di lettura" in podcast
"Lezioni di lettura" è una serie di approfondimenti sulla scrittura di grandi scrittrici e scrittori. Per me, è la trasposizione nel mondo degli audiolibri e dei podcast di una cosa che ho sempre fatto: l’analisi dei testi.
di Francesco Pacifico: “Lezioni di lettura”, un podcast mensile, che dura un anno.

domenica, giugno 22, 2025
Mostra: INEQUALITIES alla Triennale di Milano
24ª Esposizione Internazionale | Triennale Milano fino al 9 Novembre 2025
Ambiente, mobilità e cittadinanze
- il differente impatto di fenomeni climatici estremi e di esposizione prolungata a condizioni dannose per la salute;
- le diverse opportunità di accesso alle risorse e le limitazioni alla mobilità;
- la mancanza di un pieno diritto di cittadinanza dovuto a processi di esclusione da case e servizi.
sabato, giugno 21, 2025
Festa al Parco Borghetto - Domenica 22 Giugno (ore 14-19)
Lotta di classe per la cittadinanza
Il dramma Nathan il saggio, uno dei testi più famosi dello scrittore e filosofo tedesco Gott hold Ephraim Lessing, è ambientato a Gerusalemme durante la terza crociata. Il protagonista, Nathan, è un mercante ebreo che vive sotto il governo del sultano prendendosi cura di un’orfana cristiana. La sua famiglia – sua moglie e i suoi sette figli – è stata uccisa dai cristiani.
In sua assenza la sua casa è stata bruciata. Eppure Nathan non prova risentimento né per i cristiani né per i musulmani. A un certo punto il sultano lo convoca e gli chiede quale delle tre religioni monoteiste – cristiana, ebraica e islamica – ritenga superiore. Nathan spiega che la risposta non dev’essere legata al passa to, ma al futuro.
Secondo Lessing, quindi, la verità di tutte le culture, se si può parlare di verità, si può ricostruire solo allargando la prospettiva, guardando avanti e cercando di capire quale cultura instilli la tolleranza nelle generazioni future. Chi sostiene un sistema d’immigrazione più selettivo.
Chi sostiene un sistema d’immigrazione più selettivo o la necessità di migranti qualificati in sostanza sta approvando una forma di sfruttamento.
Nathan stesso rifiuta di essere etichettato, ma c’è un tipo d’identità che non riesce a respingere: quella del migrante e più specificamente l’identità del migrante senza scelta, perché la migrazione è raramente un atto volontario. Un migrante è allo stesso tempo un cittadino del mondo e un cittadino senza patria, aperto al mondo ma anche alienato da esso. Dev’es sere disposto ad assorbire abitudini che non gli sono naturali.
Ma deve anche essere preparato a vivere in uno stato di ansia rispetto alla difficoltà di “appartenere” davvero a un luogo. Per il migrante l’appartenenza è solo un’aspirazione. Secondo Lessing questo aspetto incarna lo spirito cosmopolita dell’illuminismo. Eppure Nathan è un buon migrante: rispetta le leggi dei paesi che visita, è ricco e alla fine torna a ca sa, anche se troppo tardi. Dopo la fine della guerra fredda le migrazioni so no state una benedizione e una sciagura per molti paesi: una benedizione perché senza le rimesse dei migranti le loro famiglie non avrebbero retto l’impatto devastante della “terapia d’urto” delle riforme neo liberiste che promettevano di trasformare stati falliti in paradisi capitalisti; una sciagura perché, in fin dei conti, Lessing ha ragione quando ricorda che nessuno sceglie di essere un migrante.
Diversamente da quanto vorrebbe far credere la propaganda anti immigrazione, a nessuno piace mettere la propria vita in pericolo o lasciare il proprio paese solo per infastidire gli abitanti di un altro stato. Anche mettendo da parte i rischi degli spostamenti illegali e anche del percorso legale, la migrazione divide le famiglie e priva il paese d’origine di risorse fondamentali. Ogni anno i paesi meno sviluppati investono risorse nella formazione di medici e infermieri, che però spesso decidono di andarsene. Chi sostiene un sistema d’immigrazione più selettivo o la necessità di migranti qualificati in sostanza sta approvando una for ma di sfruttamento. I migranti lavoreranno e paghe ranno le tasse finanziando le politiche sociali e il welfare del paese ospite: medici e infermieri immigrati cureranno i malati e insegnanti immigrati formeranno i bambini.
Gli ospedali nei paesi d’origine, quindi, dovranno affrontare pesanti carenze per per mettere agli ospedali dei paesi sviluppati di funziona re adeguatamente, e le loro scuole soffriranno per far prosperare il sistema formativo degli stati ricchi. Dicono spesso che i confini sono un problema del nostro tempo. Forse è così, ma non perché alcuni gruppi abbiano più difficoltà a integrarsi rispetto ad altri. E sicuramente non perché, come ha dichiarato recentemente Giorgia Meloni davanti a Donald Trump, lo scopo dell’Europa è quello di “far tornare grande l’occidente” e la migrazione è un ostacolo a questo obiettivo.
Per Nathan non c’è niente di più offensivo dell’i dea che esista un’unica civiltà meritevole. Non è tale nemmeno quella europea, e questo dev’essere il punto di partenza di qualsiasi discorso sulla migrazione. Non possiamo continuare a distinguere tra migranti buoni e cattivi, migranti che meritano la nostra ospitalità e migranti che vanno espulsi. Tra l’altro, se analizziamo il contributo dei migranti, troveremo poche prove del fatto che rappresentino un peso in termini assoluti. Contrastano il declino demografico, finanziano il sistema previdenziale e contribuiscono alle società che li ospitano. Questo vale anche per gli irregolari, in caso si proceda a una regolarizzazione.
Naturalmente, se i visti fosse ro facili da ottenere, gli irregolari non esisterebbero. Eppure la migrazione è ancora trattata come un problema nel discorso politico. Ma il problema, appunto, è politico, non culturale. La questione dell’immigra zione non ha alcun legame con i migranti in sé, ma deriva dalla crisi della democrazia liberale, una crisi che i migranti non hanno provocato e che non alimentano. Anzi, è il contrario.
Il problema è l’egemonia della destra sul discorso migratorio e l’incapacità di andare oltre la propaganda. Ormai da tempo le società liberali si rivelano inefficienti. Il problema è che abbiamo scelto un modello in cui la ricerca del profitto subordina i rapporti tra esseri umani agli imperativi del mercato.
Una comunità politica che attribuisce la colpa dei propri fallimenti a persone che non ne fanno parte – che non possono o che non sono considerate merite voli di farne parte – non ha bisogno di assumersi le proprie responsabilità: può puntare il dito contro i più vulnerabili e fingere di avere le soluzioni da offrire una volta che “l’altro” non è più una minaccia. Ma la migrazione non è la causa del problema, piuttosto il sintomo di una crisi. I confini sono sempre stati (e sa ranno sempre) aperti per alcuni e chiusi per altri. È chiaro osservando due fenomeni recenti.
I valori che l’Europa sbandiera valgono poco se si applicano solo a una minoranza. Al contrario, per avere senso devono essere radicati in un impegno più ampio per la giustizia sociale.
Il primo riguarda i più poveri. Anche tralasciando i piani di deportare in paesi terzi i migranti che non hanno diritto all’asilo, violando il diritto internazionale, oggi il percorso che porta all’acquisizione della cittadinanza non è più lineare, nemmeno per quelli regolari.
Dal reddito minimo necessario ai requisiti per ottenere la residenza e ai test d’integrazione linguistica, alcune misure apparentemente innocue possono trasformarsi in barriere che condannano i nuovi arrivati a uno status permanente di cittadini di seconda classe.
A questo livello la migrazione è una guerra contro i più vulnerabili. Il secondo fenomeno coinvolge invece i ricchi, per i quali i confini sono più aperti che mai. Nelle stesse settimane in cui la Casa Bianca pubblicava i filmati degli immigrati irregolari caricati in catene sugli aerei destinati alla deportazione, Donald Trump annunciava il suo piano di vendere la residenza e la cittadinanza statunitensi a persone disposte a pagare cinque milioni di dollari per una green card “oro”.
Non è un caso isolato. In tutto il mondo gli investi tori, gli imprenditori del settore immobiliare e gli in dividui pronti a pagare una grossa cifra in cambio di un nuovo passaporto seguono un percorso facilitato verso la naturalizzazione. Ma quando la cittadinanza diventa una merce da acquistare, vendere e scambia re, la democrazia degenera in una forma di oligarchia che permette alle élite di controllare il potere. Se la cittadinanza viene venduta, da strumento di emancipazione diventa strumento di oppressione. Come possiamo creare un’alternativa praticabile? Prima di tutto dobbiamo rifiutarci di giocare a questo gioco malsano.
La democrazia non può diventare un club per pochi e il conflitto politico va considerato una cosa naturale. Dobbiamo inserire il tema della migra zione nel contesto più ampio delle ingiustizie create dal declino dello stato sociale e dell’impunità di cui godono i datori di lavoro ossessionati dal profitto che mettono i poveri uno contro l’altro.
Abbiamo bisogno di un dibattito sulle cause delle guerre in tutto il mondo e su come contribuiscono a creare flussi migratori asimmetrici. In poche parole dobbiamo aprire una discussione sul fatto che la crisi della socialdemocrazia non dipende dall’esplosione di conflitti culturali, ma da anni di politiche sociali ed economiche desti nate a rafforzare il capitalismo.
Il problema non è l’esistenza dei confini. Il problema è che le esclusioni – sia all’interno di uno stato sia tra stati diversi – si alimentano a vicenda e servono a consolidare un ordine economico sempre più incontrastato. L’atto di vendere la cittadinanza ai ricchi e limitare l’accesso di chi ha meno risorse dice molto sul rapporto tra il capitalismo e il presunto stato democratico.
Se non cambieremo il modo di valutare questa relazione entreremo in un circolo vizioso che colpirà prima i migranti irregolari, poi i residenti sen za cittadinanza e poi i cittadini che hanno la sfortuna di chiamarsi Mohammed e Adballah, esattamente come succedeva in passato a chi aveva la sfortuna di chiamarsi Goldschmidt o Levi.
La posizione cosmo polita incarnata da Nathan il saggio non dovrebbe però essere confusa con lo slancio altruista o con l’etica umanitaria che spesso sono invocati per difendere i diritti dei migranti. L’illuminismo fu un progetto politico e non solo morale, con il suo rifiuto di istituzioni che non rappresentano ogni essere umano e la critica delle idee che favoriscono un determinato gruppo etnico, religioso o razziale sugli altri, o una comunità politica sulle altre.
L’abbandono dello spirito illumini sta in un momento in cui è più necessario che mai è un fenomeno tragico, ma non casuale. L’obbedienza richiede ignoranza e l’ignoranza favorisce l’obbedienza. Ci stiamo sempre più abituando a non pensare, limitandoci a seguire le tendenze del momento. I valori che l’Europa sbandiera valgono poco se si applicano solo a una minoranza.
Al contrario, per avere senso devono essere radicati in un impegno più ampio per la giustizia sociale e per un futuro che rifiuti ogni nostalgia del passato, ogni illusione di superiorità di una civiltà sulle altre e qualsiasi compromesso sugli ideali di uguaglianza. La migrazione è al centro di questa battaglia.
Non è nella promessa di far tornare grande l’occidente che vengono messi alla prova i valori europei, ma nell’impegno a difendere la libertà, l’uguaglianza e un mondo in cui nessuno sia costretto a lasciare la propria casa.
venerdì, giugno 20, 2025
Gli affari d’oro delle espulsioni USA
Le aziende fanno profitti enormi dalla gestione degli immigrati, come dimostra la storia di Andry Blanco Bonilla.
Il sistema migratorio statunitense è in buona parte gestito da aziende private, che fanno profitti con l’in carcerazione e l’espulsione degli stranieri. Nell’ultimo decennio il settore privato ha guadagnato più di 13 miliardi di dollari, e si prepara a incassare ancora di più con l’amministrazione di Donald Trump.
Nel 2025 la spesa del governo per le espulsioni è già aumentata del 50 per cento rispetto al 2024. Il Wall Street Journal ha raccontato questo sistema attraverso la storia di Andry Blanco Bonilla, un venezuelano di quarant’anni. Il procedimento per l’espulsione di Blanco è cominciato nel febbraio 2024. Un agente dell’Immigration and customs enforcement (Ice) ha notato i suoi tatuaggi durante un controllo a Dallas e lo ha accusato di far parte di una banda criminale.
Blanco, che non ha precedenti penali, è stato arrestato e trasferito nel Prairie land detention center di Alvarado, in Texas, gestito dalla LaSalle Corrections. La prigione riceve ogni anno dal governo circa 17 milioni di dollari. Una settimana dopo l’uomo è stato trasferito al Bluebonnet detention center di Anson, sempre in Texas.
Questo carcere è di proprietà dalla Management and Training Corp, che gestisce cinque strutture di detenzione in tutto il paese e dal 2014 ha incassato più di 240 milioni di dollari per ospitare immigrati arrestati. Il governo spende tra i 48 e i 106 dollari al giorno per ogni detenuto al Bluebonnet, che ha una capacità di 1.062 persone.
Nella struttura agli immigrati come Blanco vengono serviti tre pasti al giorno. Complessivamente, per nutrire i de tenuti negli ultimi anni Washington ha speso più di quattro milioni di dollari, che finiscono nella tasche di aziende co me B&H International e My Own Meals.
Il costo effettivo dei pasti è probabilmente più alto e incluso in altri contratti. Il governo stipula contratti con le aziende anche per la fornitura di altri beni e servizi, come i prodotti da bagno, le telefonate e i farmaci. Secondo quanto riferito dalla madre, le guardie hanno dato a Blanco pillole per la pressione sanguigna e per l’insonnia.
Da gennaio, l’Ice ha pagato più di 24 milioni di dollari alle aziende farmaceutiche. Labirinto di prigioni Dopo due mesi di detenzione, Blanco ha avuto un’udienza online con un giudice di El Paso e ha ricevuto un ordine di espulsione. È stato rilasciato a luglio a causa dei limiti federali sulla durata del la detenzione e perché il Venezuela non accettava i rimpatri.
Dopo essere tornato alla sua vita a Dallas per il resto del 2024, a febbraio di quest’anno gli è stato chiesto di presentarsi agli uffici dell’Ice. È stato nuova mente arrestato e ha detto alla madre che sarebbe stato trasferito in Oklahoma, ma da quel momento la famiglia ha perso le sue tracce.
Negli Stati Uniti ci sono circa cento strutture detentive per i migranti gestite da sette grandi aziende, o dall’amministrazione federale o da un governo loca le. Ci sono anche molti centri di contea e strutture federali dove gli sceriffi o al tri funzionari collaborano con l’Ice.
Un paio di settimane dopo il secondo arresto Blanco è stato trasferito nella prigione di El Valle a Raymondville, in Texas. I detenuti vengono spostati spesso, e questa abitudine sta diventando più comune sotto l’amministrazione Trump.
Il 15 marzo 2025 Blanco e altri 260 uomini sono stati trasferiti in aereo dal Texas al centro di detenzione per terroristi (Cecot) in Salvador. Sono stati accusati di far parte di una gang senza un regolare processo. Gli Stati Uniti pagheranno 6 milioni di dollari per il primo anno della loro detenzione.
giovedì, giugno 19, 2025
Sabato 21 giugno partecipa alla Giornata delle Arti 2025!
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Una giornata interamente dedicata
all’Arte in tutte le sue forme
Nuova Acropoli è un'Organizzazione
Internazionale senza fini di lucro, che propone un ideale
di valori permanenti per contribuire allo sviluppo individuale
e collettivo, attraverso i suoi campi di azione: Filosofia, Cultura e Volontariato.
Dalla sua fondazione, nel 1957 a
Buenos Aires in Argentina ad opera del Prof. Giorgio Angelo Livraga Rizzi,
Nuova Acropoli si ispira a tre Principi Fondamentali.
Nuova Acropoli è puro
volontariato; è nata come azione volontaria dal suo fondatore, da chi ha
aderito nei primi momenti a chi sta ancora lavorando in questo momento.
Ha sede a Bruxelles e riunisce
associazioni di diversi Paesi che aderiscono ai suoi principi di azione. La sua
struttura associativa garantisce il rispetto della diversità, dell'autonomia e
dell'iniziativa di ciascuno dei suoi membri. Svolge la sua azione in modo indipendente
da interessi politici, religiosi o finanziari. Ciascuna associazione membro
è responsabile nei confronti delle autorità del proprio Paese e si attiene alle
normative relative alle associazioni. Dal 2020 la presidenza
dell'Organizzazione Internazionale è affidata a Carlos Adelantado Puchal.
LA VISIONE DI FILOSOFIA
La Filosofia Attiva è
la proposta di Nuova Acropoli per rendere utili e pratici nella
vita quotidiana gli insegnamenti dei grandi pensatori di tutti
i tempi: ci permette di conoscerci con più profondità, di migliorare le nostre
relazioni, di comprendere meglio la società e capire il nostro ruolo,
contribuendo alla costruzione di un mondo migliore.
Fin da quando siamo piccoli, siamo attratti da ciò che non conosciamo, e
chiediamo “il perché” delle cose. Crescendo però, presi da altre esigenze,
tacitiamo questa sana curiosità che è “amore per la saggezza”, la philo-sophia appunto.
LA VISIONE DI CULTURA
La Cultura rappresenta la nostra eredità, da custodire, promuovere e trasmettere. Nuova Acropoli è per una Cultura Attiva, capace di ampliare la comprensione della vita e del mondo e di avvicinare le persone, promuovendo rispetto, libertà di pensiero, solidarietà e comprensione l’uno dell’altro. Nuova Acropoli è per una cultura in grado di generare nuovi rapporti sociali, morali, filosofici e spirituali di fronte alla grave crisi di identità che vive l’individuo del nostro secolo.
La cultura,
infatti, ha un grande potere di trasformazione poiché dà maggiori conoscenze ed
offre alternative per decidere adeguatamente di fronte alle tante scelte da
operare nella nostra vita.
mercoledì, giugno 18, 2025
il PARCO BORGHETTO aspetta tutti i cittadini per FESTEGGIARE la sua nomina a Luogo del Cuore FAI
ACQUA SUMMIT 2025 a Milano
Acqua Summit | 19 Giugno 2025 | Il Sole 24 Ore
Il 2025 è un anno cruciale per provare a passare da uno stato di crisi idrica permanente nel nostro Paese a uno di prevenzione dei danni prodotti dai cambiamenti climatici.
Durante Acqua Summit proveremo a tracciare una fotografia di quanto si sta facendo sul territorio grazie al Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico.
Rappresentanti istituzionali, tecnici ed esperti del settore si confronteranno con i principali attori italiani del servizio idrico sugli investimenti infrastrutturali e finanziari necessari per la tutela di questa risorsa.
Si parlerà inoltre di idroelettrico, della digitalizzazione del servizio idrico integrato e delle strategie di trattamento e di riuso delle acque reflue industriali per far fronte alla scarsità idrica.