Leggendo le notizie di questi
mesi e scrollando sui social ci hanno impressionato il numero e la
frequenza delle notizie di genitori che, durante le partite dei propri figli,
insultano avversari e arbitri, anzi… arbitre. Già, hai letto bene, genitori
che la domenica oltre alla tuta indossano la loro peggiore versione a discapito
di figli e figlie, di altri genitori e di loro stessi.
In quasi tutti i casi la violenza
degli insulti ha due specifiche connotazioni: il razzismo e il sessismo.
Di cosa stiamo parlando? Ti lasciamo un breve riassunto qui.
Odio. Rabbia. Violenza.
Episodi che non sono fatti
isolati, ma il sintomo di un problema più profondo.
Perché chi urla contro
un’arbitra sta dicendo a tutte le bambine che quel ruolo non è per loro. Chi
insulta una giocatrice per la sua pelle sta dicendo a tutti che il talento si
misura con il pregiudizio. Chi minaccia adolescenti che arbitrano un torneo sta
dicendo che l’autorità si contesta con la prepotenza, non con il confronto.
Anche le parole che scegliamo
sugli spalti creano cultura, forgiano comportamenti, modellano il modo in cui
le giovani generazioni si percepiscono e percepiscono il mondo.
Abbiamo approfondito il tema con
Alberto Pellai, medico psicoterapeuta dell’età evolutiva e figura di
riferimento per il parenting e la psicologia evolutiva in Italia.
Prof. Pellai, cosa spinge
alcuni adulti a trasformare una partita giovanile in un’arena di insulti e
violenza verbale? È solo frustrazione o c’è un problema educativo più profondo?
Quando gli adulti assistono alle competizioni sportive dei propri figli,
spesso entrano in una mentalità agonistica. Guardano i ragazzi con lo stesso
sguardo con cui osserverebbero un preparatore atletico, come se il loro unico
obiettivo fosse la vittoria. Questo li porta a "scendere in campo"
con loro, perdendo il controllo sulle proprie emozioni e reazioni.
Il problema è che, da
spettatori e tifosi, diventiamo molto più vulnerabili agli impulsi emotivi e ai
nostri pensieri. Se non siamo persone capaci di autoregolazione, ogni evento
sul campo può diventare un innesco che scatena le nostre peggiori reazioni.
Ecco perché alcuni genitori finiscono per perdere completamente il controllo:
travolti dall’agonismo, dimenticano il proprio ruolo e si lasciano andare a
comportamenti impulsivi e aggressivi.
In questi momenti, si
smarriscono i confini tra il sostegno sportivo e l’iper-competitività, fino a
dimenticare che in campo non ci sono adulti professionisti, ma solo ragazzi e
ragazze che stanno giocando. Non è la finale di Champions League, è semplicemente
una partita tra coetanei. Il genitore, invece, dovrebbe essere il primo
allenatore emotivo dei figli, accompagnandoli in un’esperienza di crescita.
Guardare una partita dovrebbe significare vedere i propri figli divertirsi,
mettersi alla prova e comprendere che ciò che conta non è vincere o perdere, ma
partecipare.
Quali sono le conseguenze
psicologiche e comportamentali sui giovani atleti quando gli insulti arrivano
proprio da chi dovrebbe sostenerli, ovvero le figure genitoriali? I
giovani soffrono molto nel vedere i propri genitori perdere il controllo.
Questo per due motivi principali: innanzitutto, un adulto che si lascia andare
a reazioni incontrollate può risultare spaventoso. I ragazzi si aspettano che i
genitori sappiano sempre fare la cosa giusta, e quando li vedono comportarsi
nel modo peggiore possibile, provano un senso di disorientamento.
Inoltre, c’è un altro aspetto
da considerare: molti giovani, osservando i propri genitori in preda
all’agitazione, sperimentano un profondo senso di imbarazzo e vergogna. Non è
raro che, nelle sedute con uno psicologo, alcuni ragazzi esprimano il desiderio
di non avere i propri genitori sugli spalti, proprio perché li trovano
eccessivi.
Bambini e adolescenti imparano
più dalle parole o dagli esempi? Quanto è pericoloso, per la loro crescita,
assistere a comportamenti di odio e discriminazione proprio da parte dei
genitori? Gli adulti sono modelli di riferimento: con il loro
comportamento insegnano, anche inconsapevolmente, come si sta al mondo. Per
questo motivo, i genitori dovrebbero porsi limiti e sviluppare capacità di
autoregolazione. Un adulto arrabbiato non dovrebbe lasciarsi andare a
esplosioni di rabbia, ma piuttosto mostrare a un figlio come gestire ed
elaborare questa emozione in modo maturo ed evoluto.
Quando un genitore si comporta
in modo aggressivo sugli spalti, sta insegnando – direttamente o indirettamente
– che la rabbia e la frustrazione devono essere sfogate in modo violento. I
figli, partita dopo partita, interiorizzano questo modello e lo riproducono
nella loro vita.
Le ricerche confermano che un
bambino esposto a figure di riferimento prepotenti e aggressive tenderà a
incorporare questi stessi atteggiamenti nel proprio modo di interagire con gli
altri. Se un figlio vede il proprio genitore urlare, insultare o aggredire
qualcuno, imparerà che quello è un comportamento accettabile. E così, giorno
dopo giorno, la violenza verbale e la sopraffazione diventeranno parte della
sua normalità.
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