Avete mai sentito parlare di
Bliuma Zeigárnik? Scommetto di no. La storia non è mai stata generosa con le
donne di talento, figuriamoci nell’ambiente della psicoanalisi.
Un giorno, osservando un
cameriere nel ristorante di un grosso albergo, Bliuma ebbe un’illuminazione,
che la portò ad approfondire il fenomeno.
Quel cameriere era in grado di
trattenere nella sua memoria una quantità infinita di ordinazioni (le famose
comande) da passare in cucina, ma le dimenticava subito dopo averle portate in
tavola. Cioè, dopo aver esaurito il compito.
Nel 1927 pubblicò uno studio su
questo fenomeno, riportando i risultati di alcuni test in cui affidò a diversi
soggetti una serie di 18-22 esercizi da completare (enigmi, giochi, problemi
aritmetici). I soggetti alla fine dell'esperimento si ricordavano due volte di
più gli esercizi non conclusi rispetto a quelli completati con successo.
Questo fenomeno da lì in poi
venne chiamato – appunto- Effetto Zeigárnik e sembra dirci che per
affrontare la fine di qualcosa, siamo in qualche modo attrezzati.
Che si tratti di una storia
d’amore, la morte di una persona cara, l’abbandono di un luogo nel mondo al
quale eravamo particolarmente legati.
Però a patto che avvenga la
conclusione. Cioè, che dentro di noi, con maggior o minor fatica, riusciamo a
porre la parola fine, prima o dopo i titoli di coda.
I suoi scritti sono di aiuto per fare la pace con tutti i rituali
dell’elaborazione del lutto e del dolore che spesso risultano incomprensibili, o
alle volte atrocemente banali.
Poter dire addio, per quanto
doloroso, vuol dire cominciare lentamente a guarire.
Quello che il nostro cervello, o
il nostro cuore, non riesce a dimenticare, sono le situazioni inconcluse,
quelle rimaste a metà, quel moto interrotto dei sentimenti che non accenna a
trovare un punto di arrivo, o di riavvio. Le parole che non abbiamo detto, le
decisioni non prese, gli abbracci non dati, gli addii ancora in sala di attesa.
L'effetto Zeigarnik descrive come
la mente umana ha più facilità a continuare un'azione già cominciata e portarla
a termine, piuttosto che dover affrontare un compito partendo da zero. Infatti,
quando si incomincia un'azione si crea una motivazione per portarla a termine
che rimane insoddisfatta se l'attività viene interrotta. Sotto l'effetto di
questa motivazione un compito interrotto rimane nella memoria meglio e più
profondamente di un'attività completata.
L'effetto Zeigarnik è il
fenomeno psicologico alla base del funzionamento in narrativa del cliffhanger.
Il cliffhanger
è un espediente narrativo usato in letteratura, nel cinema, nelle serie
televisive o nelle opere video-ludiche, in cui la narrazione si conclude con
una interruzione brusca in corrispondenza di un colpo di scena o di un altro
momento culminante caratterizzato da una forte suspense.
In genere un
cliffhanger conclude un episodio (per esempio di una serie televisiva, o di una
storia a fumetti o romanzo a puntate), con l'intento di indurre nel lettore o
nello spettatore una forte curiosità circa gli sviluppi successivi (e quindi il
desiderio di acquistare il volume seguente o di guardare la puntata
successiva).
Proprio sfruttando il
meccanismo dell'effetto Zeigarnik, nelle telenovele gli episodi si interrompono
con classici cliffhanger, lasciando incompiuta la trama dell'episodio al fine
di spronare lo spettatore a seguire l'episodio successivo.
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