Quando l’umanità ha cominciato
a coltivare i campi e addomesticare gli animali è cominciata una storia
diversa, che è ancora la nostra. Da allora l’ambiente in cui viviamo, il
cibo che mangiamo, il nostro aspetto e la nostra struttura sociale non sono
stati più gli stessi.
Passando dallo studio del DNA a
quello delle lingue, dagli scavi archeologici alle manipolazioni genetiche, e
anche attraverso il racconto di alcune storie esemplari, Guido Barbujani ci
porta indietro nel tempo fino a 10.000 anni fa, alla rivoluzione neolitica.
Diecimila anni fa, nella
preistoria, si sono messe in moto trasformazioni che ancora ci riguardano, che
ancora influenzano il nostro modo di lavorare, di vestirci, di mangiare, di
confrontarci con gli altri membri della nostra comunità.
Il libro inizia con la
presentazione della transizione dalle società egualitarie di
cacciatori-raccoglitori (nomadi) a quelle basate sulla coltivazione di cereali
(sedentarie, ecco l’origine delle città) e caratterizzate dalla stratificazione
sociale (guerrieri, sacerdoti, eccetera) e dalla competizione economica.
Secondo gli archeologi conosciamo
persino la popolazione e il luogo originario di questa rivoluzione: i
Natufiani, dal nome della località in cui sono stati trovati i resti (Wadi
an-Natuf, a metà strada tra Tel Aviv e Ramallah), i quali iniziarono ad accumulare
alimenti nei villaggi dove si stabilivano.
In concomitanza con questa
transizione temporale (dall’ultimo Paleolitico al Neolitico, all’incirca tra i
10 mila e gli 8 mila anni fa) verso pratiche costanti di agricoltura e di
sedentarietà si ipotizza si siano sviluppate precise stratificazioni sociali —
«i ricchi e i non-ricchi» — con lo sviluppo di società trans-egualitarie e
l’insorgere delle disuguaglianze.
È una rivoluzione che ha cambiato
anche l’ambiente intorno a noi e le nostre relazioni con piante e animali,
tanto che il DNA – sia il nostro, sia quello di molti animali e piante – ne è
uscito diverso.
Si chiama rivoluzione
neolitica: il momento in cui, più che in qualunque altro, biologia e
cultura si sono intrecciate, influenzandosi a vicenda e producendo la nostra
storia.
È stato allora che un’umanità in
precedenza sempre affamata ha cominciato a produrre il cibo di cui aveva
bisogno, e quindi a crescere e a diffondersi sul pianeta.
Nel giro di qualche millennio la
rivoluzione è arrivata ovunque, sulle gambe dei rivoluzionari che dalla
Mezzaluna fertile, dalla Cina, dall’America centrale e dalle Ande hanno
esportato in tutto il mondo i propri geni, le piante coltivate e gli animali allevati.
Abbiamo iniziato ad abbattere foreste, per farne campi e pascoli, modificando il paesaggio; e
Abbiamo smesso di
essere nomadi, costruendo villaggi e poi città dove ha preso forma la nostra
società, anche in certi suoi aspetti che sembrerebbe difficile collegare alla
preistoria.
Ma è così: se oggi in Europa
molti digeriscono il latte, se abbiamo la pelle chiara e parliamo lingue che si
somigliano, è grazie alle migrazioni neolitiche.
E non è tutto: abbiamo cominciato
a modificare geneticamente piante e animali proprio allora e non abbiamo mai
smesso.
Ripensarci – oggi che la
consapevolezza è cresciuta – ci permette di ragionare più lucidamente su costi
e benefici della moderna ingegneria genetica. Allo stesso modo, ricordare
come per millenni l’umanità si sia ripetutamente spostata e rimescolata può
aiutarci a osservare con meno ansia le trasformazioni che la nostra società sta
attraversando, e a spegnere qualche allarme ingiustificato.
Per capire la complessità del
mondo attuale — e la confusa immagine che ne deriva, con alcuni disposti a
dichiarare che siamo in presenza del migliore dei mondi possibili e altri a
darsi vinti dinnanzi a una catastrofica crisi ambientale — si deve poter rispondere
senza pregiudizi ideologici o politici alle mille domande che questa condizione
pone.
Nessun commento:
Posta un commento