Tratto dal “Il Corriere della Sera” del 25 Ottobre di Gianna
Fregonara e Orsola Riva
Le iscrizioni alle materie STEM
(Science, Technology, Engineering and Mathematics) restano sotto il 40%.
E le ragazze, dopo 5 anni di lavoro, si trovano oltre 200 euro al mese meno
dei maschi in busta paga. Anche nelle professioni “ereditarie” le “figlie
di” sono in svantaggio.
Non c’è rapporto, studio,
analisi statistica, confronto internazionale dal quale le laureate italiane non
escano con le ossa rotte. Non certo per i risultati accademici che,
anzi, sono mediamente più brillanti di quelli dei loro colleghi maschi.
Ma per le
prospettive occupazionali e di carriera, dove apparentemente il merito
scolastico passa in secondo piano rispetto al permanere di quegli ostacoli
materiali e culturali che la Repubblica italiana sarebbe chiamata a rimuovere
secondo l’articolo 3 della Costituzione.
Come spiegare altrimenti il
triste record denunciato dall’ultimo rapporto Ocse?
Possibile che le laureate
continuino a guadagnare poco più della metà dei maschi?
Premesso che ormai lo
svantaggio retributivo è diventato purtroppo un dato talmente scontato che non
fa quasi più notizia (sic!), il fatto che il nostro Paese sia in
assoluto quello che ricompensa di meno le donne che lavorano, anche quelle con
un titolo di studio elevato, merita per lo meno un supplemento d’indagine.
Non foss’altro che per evitare
spiegazioni di comodo. Come quella secondo cui non c’è da sorprendersi che le
laureate guadagnino poco, visto che si autoescludono da quei corsi di studio –
Ingegneria e Informatica su tutti – che potrebbero garantire guadagni molto più
consistenti di quelli di un’insegnante, professione che in Italia è svolta,
altro dato arcinoto, per l’80% dalle donne.
60% E' LA
PERCENTUALE DI DONNE SUL TOTALE DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI CHE ARRIVANO AD
OTTENERE IL TITOLO DI LAUREA NELLE FACOLTA' ITALIANE SULLA TOTALITA' DEI CORSI
Nonostante anni e anni di
campagne contro i pregiudizi di genere che cominciano già alle elementari, ma
che ancora condizionano le donne nell’approccio alle cosiddette lauree STEM,
hanno portato risultati minimi, visto che in 10 anni, a fronte di un +4,9% di
laureate in Ingegneria civile e un +4,8 in Ingegneria industriale, si registra
un -4,8 in Statistica e un -8,6 in Matematica.
Secondo l’ultimo rapporto
dell’Anvur, l’agenzia governativa che si occupa della valutazione delle
università, la percentuale di donne iscritte a corsi di laurea scientifici è
rimasta ferma sotto il 40%.
Ma non è soltanto una questione di numeri e percentuali: è vero che le laureate Stem guadagnano molto di più di tutte le altre loro colleghe, ma sono comunque pagate molto meno dei loro colleghi maschi.
In media – dati dell’ultimo
Focus di AlmaLaurea sul gender gap – le donne guadagnano 1.720 euro al mese
contro i 1.984 degli uomini.
C’è Stem e Stem, si dirà, ma
non è così.
Prendiamo Informatica, il
corso che in assoluto garantisce le prospettive di guadagno migliori: a cinque
anni dalla fine degli studi, una donna guadagna circa 300 euro in meno al mese
di un uomo (1.793 euro contro 2.085). E non conta niente che le donne si
laureino prima dei loro colleghi maschi e mediamente escano anche con un voto
di laurea più alto: in questo caso di poco (102,8 contro 102,3), ma in altri
casi la differenza è anche più pronunciata.
In Ingegneria industriale,
per esempio, le donne escono con un voto medio di 102,6 contro 101,5 degli
uomini. Eppure, una volta finiti gli studi, anche per le ingegnere
l’atterraggio nel mondo del lavoro è molto meno morbido di quello dei loro ex
compagni di studi, se a fine mese si vedono recapitare in busta paga circa
250 euro in meno.
Quanto alla supposta
autoesclusione dalle discipline scientifiche, figlia di antichi e persistenti
retaggi culturali, a volte anche di più o meno involontari
condizionamenti familiari, ebbene anche in questo caso i dati statistici, visti
nel dettaglio, rivelano situazioni molto più articolate del previsto e in
alcuni casi anche sorprendenti.
Da un lato infatti è innegabile
che alcuni corsi di laurea restino di pertinenza prevalentemente maschile: non
solo Ingegneria industriale – dove, nonostante i progressi, le laureate sono
ancora poco più di un quarto del totale – ma anche in Informatica, dove la
percentuale femminile è invece addirittura scesa di un punto, passando dal 15
al 14 per cento.
Solo in Matematica, e non da
oggi, uomini e donne sono pressoché alla pari: sarà che, prima dell’era
dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, questo percorso era
soprattutto destinato a chi voleva insegnare.
5% È LA
PERCENTUALE IN ITALIA DI BOCCIATURE DELLE RAGAZZE NEI CORSI DI STUDIO
SUPERIORI, A FRONTE DI QUASI IL 10% TRA I RAGAZZI. ANCHE SUL VOTO FINALE DI
DIPLOMA OTTENGONO RISULTATI MIGLIORI
Quanto al pregiudizio che le
donne siano più “condizionate e condizionabili” degli uomini nelle loro scelte, anche
in questo caso ci pensano i numeri a fare giustizia.
Le laureate provengono
mediamente da famiglie meno avvantaggiate.
Capita molto più spesso che siano
le prime a laurearsi in famiglia, e anche nel caso delle professioni
“ereditarie”, come notai, avvocati e medici, le “figlie di” sono molte meno dei
“figli di”: 33,9% contro il 45,4 degli uomini (dati AlmaLaurea).
Quella delle laureate è una lunga
rincorsa, incominciata fin dai primi passi a scuola.
Già in terza media il 40%
delle ragazze esce con un voto uguale o superiore a 9 (nel caso dei ragazzi la
percentuale scende sotto il 30%).
Un vantaggio che persiste alle
superiori, indipendentemente dal tipo di scuola scelta: le femmine sono più
regolari dei maschi (poco più del 5% di bocciate contro quasi il 10% fra i
ragazzi) e si diplomano con un voto più alto.
Ma sono
anche molto più indipendenti e intraprendenti: prendono più certificazioni
linguistiche, viaggiano di più all’estero, fanno più volontariato, masticano
più cultura nel tempo libero (dati AlmaDiploma).
Non sorprende che
all’università vadano più spedite e meglio dei loro colleghi maschi.
E soprattutto vadano fino in
fondo: il 60% dei laureati è donna.
Lo svantaggio con i maschi
riprende fiato solo dopo, sul luogo di lavoro.
È da lì, dal luogo di lavoro, che bisogna partire, non dalla testa delle
donne…
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