giovedì, ottobre 31, 2024

Nelle lauree scientifiche c’è (ancora) un caso donne. Prendono i voti più alti ma guadagnano meno. BASTA!

Tratto dal “Il Corriere della Sera” del 25 Ottobre di Gianna Fregonara e Orsola Riva

Le iscrizioni alle materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) restano sotto il 40%. E le ragazze, dopo 5 anni di lavoro, si trovano oltre 200 euro al mese meno dei maschi in busta paga. Anche nelle professioni “ereditarie” le “figlie di” sono in svantaggio.

Non c’è rapporto, studio, analisi statistica, confronto internazionale dal quale le laureate italiane non escano con le ossa rotte. Non certo per i risultati accademici che, anzi, sono mediamente più brillanti di quelli dei loro colleghi maschi.

Ma per le prospettive occupazionali e di carriera, dove apparentemente il merito scolastico passa in secondo piano rispetto al permanere di quegli ostacoli materiali e culturali che la Repubblica italiana sarebbe chiamata a rimuovere secondo l’articolo 3 della Costituzione.

Come spiegare altrimenti il triste record denunciato dall’ultimo rapporto Ocse?

Possibile che le laureate continuino a guadagnare poco più della metà dei maschi?

Premesso che ormai lo svantaggio retributivo è diventato purtroppo un dato talmente scontato che non fa quasi più notizia (sic!), il fatto che il nostro Paese sia in assoluto quello che ricompensa di meno le donne che lavorano, anche quelle con un titolo di studio elevato, merita per lo meno un supplemento d’indagine.

Non foss’altro che per evitare spiegazioni di comodo. Come quella secondo cui non c’è da sorprendersi che le laureate guadagnino poco, visto che si autoescludono da quei corsi di studio – Ingegneria e Informatica su tutti – che potrebbero garantire guadagni molto più consistenti di quelli di un’insegnante, professione che in Italia è svolta, altro dato arcinoto, per l’80% dalle donne.

60% E' LA PERCENTUALE DI DONNE SUL TOTALE DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI CHE ARRIVANO AD OTTENERE IL TITOLO DI LAUREA NELLE FACOLTA' ITALIANE SULLA TOTALITA' DEI CORSI

Nonostante anni e anni di campagne contro i pregiudizi di genere che cominciano già alle elementari, ma che ancora condizionano le donne nell’approccio alle cosiddette lauree STEM, hanno portato risultati minimi, visto che in 10 anni, a fronte di un +4,9% di laureate in Ingegneria civile e un +4,8 in Ingegneria industriale, si registra un -4,8 in Statistica e un -8,6 in Matematica.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Anvur, l’agenzia governativa che si occupa della valutazione delle università, la percentuale di donne iscritte a corsi di laurea scientifici è rimasta ferma sotto il 40%.

Ma non è soltanto una questione di numeri e percentuali: è vero che le laureate Stem guadagnano molto di più di tutte le altre loro colleghe, ma sono comunque pagate molto meno dei loro colleghi maschi. 

In media – dati dell’ultimo Focus di AlmaLaurea sul gender gap – le donne guadagnano 1.720 euro al mese contro i 1.984 degli uomini.

C’è Stem e Stem, si dirà, ma non è così.

Prendiamo Informatica, il corso che in assoluto garantisce le prospettive di guadagno migliori: a cinque anni dalla fine degli studi, una donna guadagna circa 300 euro in meno al mese di un uomo (1.793 euro contro 2.085). E non conta niente che le donne si laureino prima dei loro colleghi maschi e mediamente escano anche con un voto di laurea più alto: in questo caso di poco (102,8 contro 102,3), ma in altri casi la differenza è anche più pronunciata.

In Ingegneria industriale, per esempio, le donne escono con un voto medio di 102,6 contro 101,5 degli uomini. Eppure, una volta finiti gli studi, anche per le ingegnere l’atterraggio nel mondo del lavoro è molto meno morbido di quello dei loro ex compagni di studi, se a fine mese si vedono recapitare in busta paga circa 250 euro in meno.

Quanto alla supposta autoesclusione dalle discipline scientifiche, figlia di antichi e persistenti retaggi culturali, a volte anche di più o meno involontari condizionamenti familiari, ebbene anche in questo caso i dati statistici, visti nel dettaglio, rivelano situazioni molto più articolate del previsto e in alcuni casi anche sorprendenti.

Da un lato infatti è innegabile che alcuni corsi di laurea restino di pertinenza prevalentemente maschile: non solo Ingegneria industriale – dove, nonostante i progressi, le laureate sono ancora poco più di un quarto del totale – ma anche in Informatica, dove la percentuale femminile è invece addirittura scesa di un punto, passando dal 15 al 14 per cento.

Solo in Matematica, e non da oggi, uomini e donne sono pressoché alla pari: sarà che, prima dell’era dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, questo percorso era soprattutto destinato a chi voleva insegnare.

5% È LA PERCENTUALE IN ITALIA DI BOCCIATURE DELLE RAGAZZE NEI CORSI DI STUDIO SUPERIORI, A FRONTE DI QUASI IL 10% TRA I RAGAZZI. ANCHE SUL VOTO FINALE DI DIPLOMA OTTENGONO RISULTATI MIGLIORI  

Quanto al pregiudizio che le donne siano più “condizionate e condizionabili” degli uomini nelle loro scelte, anche in questo caso ci pensano i numeri a fare giustizia.

Le laureate provengono mediamente da famiglie meno avvantaggiate.

Capita molto più spesso che siano le prime a laurearsi in famiglia, e anche nel caso delle professioni “ereditarie”, come notai, avvocati e medici, le “figlie di” sono molte meno dei “figli di”: 33,9% contro il 45,4 degli uomini (dati AlmaLaurea).

Quella delle laureate è una lunga rincorsa, incominciata fin dai primi passi a scuola. 

Già in terza media il 40% delle ragazze esce con un voto uguale o superiore a 9 (nel caso dei ragazzi la percentuale scende sotto il 30%). 

Un vantaggio che persiste alle superiori, indipendentemente dal tipo di scuola scelta: le femmine sono più regolari dei maschi (poco più del 5% di bocciate contro quasi il 10% fra i ragazzi) e si diplomano con un voto più alto.

Ma sono anche molto più indipendenti e intraprendenti: prendono più certificazioni linguistiche, viaggiano di più all’estero, fanno più volontariato, masticano più cultura nel tempo libero (dati AlmaDiploma).

Non sorprende che all’università vadano più spedite e meglio dei loro colleghi maschi.

E soprattutto vadano fino in fondo: il 60% dei laureati è donna.

Lo svantaggio con i maschi riprende fiato solo dopo, sul luogo di lavoro.

È da lì, dal luogo di lavoro, che bisogna partire, non dalla testa delle donne

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