lunedì, settembre 16, 2024

Il tempo delle Donne: Pari Occupazione, Pari Reddito, Pari Libertà: Tre fronti da cui ripartire

 

dal Corriere della Sera - Il Tempo delle Donne - di Rita Querzè

È terminata ieri a Milano l’undicesima edizione della festa-festival il Tempo delle donne. Ma non si cada in errore: più che di una chiusura si è trattato di un inizio. 

La tre giorni di incontri era incentrata quest’anno sul tema del lavoro femminile. 

Con un titolo che è anche una rivendicazione: pari occupazione, pari reddito, pari libertà. Siamo consapevoli che il percorso per arrivare a un equilibrio reale è ancora lungo. Per questo il faro acceso dalla tre giorni in Triennale sul tema del lavoro femminile non verrà spento.

Due strade, una scelta

Si tratta di una attenzione necessaria anche perché l’inanellarsi degli incontri ha mostrato chiaramente come quello che prima era considerato un «problema delle donne» oggi sia ormai un problema della società nel suo insieme. Riguarda anche gli uomini. Senza il lavoro delle donne non c’è ripresa della natalità. Non c’è sostenibilità della previdenza. Non c’è crescita. Siamo a un bivio: da una parte una società con poche donne al lavoro, bassa produttività, minore ricchezza, servizi in ritirata. Dall’altra un contesto con più occupazione femminile, esternalizzazione di parte del lavoro di cura che da gratuito diventi così retribuito, più produttività, più servizi pubblici (nidi ma non solo), più entrate contributive e fiscali. Si tratta di scegliere, uomini e donne insieme.

I tre divari da colmare

L’inchiesta collettiva che ci ha portato a queste conclusioni è iniziata alla vigilia dell’8 marzo. Abbiamo indagato tre fronti: la partecipazione delle donne al lavoro, la carriera e le retribuzioni. Risultano evidenti tre divari. 

Il primo: ogni 100 donne quelle che lavorano sono 52 mentre ogni 100 uomini lavorano in 70: c’è un gap di 18 punti — uno dei più alti in Europa — tutto da colmare. 

Il secondo: per ogni ora lavorata le donne in Italia nel settore privato guadagnano il 15,4% meno in un uomo. 

Il terzo: ogni 100 dirigenti le donne sono 21 e gli uomini 79.

A monte, a generare questi fossati è una divisione iniqua del lavoro di cura. Il 70% del lavoro domestico gratuito è a carico delle donne. Il sistema produttivo, di conseguenza, penalizza fin da subito le lavoratrici, nonostante i livelli elevati di scolarizzazione, perché parte dal presupposto che saranno meno disponibili proprio a causa degli oneri domestici che ricadono ancora su di loro. Persino le tanto ricercate laureate in materie STEM (materie scientifiche) a cinque anni dalla laurea guadagnano 200 euro al mese meno dei colleghi maschi, come ha evidenziato un recente studio Arel e JTI Italia.

Da dove ripartire

L’obiettivo principale dei nostri incontri è stato quello di andare oltre il frustrante racconto delle disparità per segnalare vie d’uscita. La prima è sfruttare al meglio gli strumenti che abbiamo a disposizione. In particolare, la certificazione di genere (Uni/Pdr 125). Fare sì che aumentino le imprese che la adottano e che la utilizzano stabilmente intraprendendo così un percorso che incrementa l’equità. La seconda è legata al potenziamento dei servizi: nidi ma anche tempo pieno, sgravi fiscali per chi si fa aiutare da colf, badanti e baby-sitter. Offrire insomma alle famiglie soluzioni per esternalizzare una parte del lavoro di cura. La terza sono gli incentivi all’occupazione «buona» delle donne. Se oggi una donna su cinque abbandona il lavoro alla nascita del primo figlio è anche perché può contare solo su impieghi precari o comunque meno retribuiti di quelli dei compagni. A proposito di retribuzioni, poi, un’opportunità per fare passi avanti è offerta dal recepimento entro il giugno 2026 della direttiva Ue in materia.

Nuovo attivismo

Fare tutto questo richiede politiche coordinate e risorse da mobilitare nel medio termine. Con misure monitorate e confermate solo quando portano risultati. Si tratta di un obiettivo che sfidante è dir poco. Le quaranta-cinquantenni, per non parlare delle sessantenni, sanno che non toccherà a loro beneficiare dei vantaggi che possono derivare da un mondo del lavoro più equo. Ma hanno anche chiaro che le loro proposte, i loro sacrifici e la loro capacità di tenere il punto sono i mattoni che, uno sull’altro, possono consentire ai nostri giovani di accedere a un contesto migliore.

Il cambiamento non può che fondarsi su un nuovo attivismo per l’equità che coinvolga anche gli uomini. Lo abbiamo visto al Tempo delle donne: sempre più uomini prendono posizione. 

D’altra parte, un’organizzazione del lavoro che lasci spazi anche per il privato non serve alle donne da sole ma alle coppie. E ai loro progetti.


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