VIAGGIO MILANO- LEGNANO
di Maria Antonietta Peverati
Nei primi anni del dopo guerra, fine anni
quaranta, inizio anni cinquanta, era grande festa per me e mia sorella quando
mamma e papà decidevano di andare a Legnano dove vivevano i parenti da parte di
papà. Ciò succedeva tre o quattro volte all’anno.
Ci si alzava presto la domenica mattina perché da Viale Monza, dove abitavamo a Milano, si doveva arrivare in Corso Sempione, nei pressi dell’Arco della Pace, al capolinea del mitico tram chiamato “El gamba de legn”, percorso Milano-Legnano.
Con il grande entusiasmo dei bambini prendevamo
posto sui sedili di legno accanto ai finestrini dove, con i visi incollati ai
vetri seguivamo il percorso in città e poi oltre la Gallaratese, attraverso
piccoli borghi, paesini e tanta campagna coltivata che secondo le stagioni ci
offriva i suoi colori, il verde tenue della primavera, l’oro delle messi
d’estate e gli splendidi contrasti in autunno. La velocità ridotta ci
permetteva di osservare questa parte di mondo così diversa dal nostro vivere in
città. Le numerose fermate ad ogni borgo di quattro case erano un continuo
saliscendi di persone, quasi sempre contadini vestiti a festa con grandi ceste
e grossi fagotti, probabilmente in visita a parenti. In un periodo in cui ci si
spostava in bicicletta oppure su carretti, almeno la domenica si concedevano il
lusso di viaggiare più comodi.
Dopo circa due ore di viaggio scendevamo a
Legnano, altri venti minuti a piedi ed eccoci arrivati dalla zia Marietta, la
sorella maggiore di papà, la zia ricca dicevamo perché aveva una grande casa
con un bellissimo giardino. La zia era piccola e grassottella, severa e
benestante ma molto avara, solo quando arrivava papà, il fratello prediletto,
allentava i cordoni della borsa e ci offriva un lauto banchetto, apparecchiato
nell’antica sala da pranzo, aperta solo per le occasioni speciali. Il primo ad
accoglierci era Silvio(nome abbastanza insolito per quei tempi), un cagnolino
che fungeva da guardiano che abbaiava e ringhiava ferocemente finché non veniva
slegato, dopo di ché era tutto un correre e saltarci addosso festoso.
Assomigliava tantissimo alla zia, praticamente una palla di lardo, ma più
simpatico ed affettuoso con noi bambine, era il nostro giocattolo della
giornata.
Lo zio Amerigo, su di un lato del giardino aveva
un bel laboratorio di falegnameria e a volte ci faceva trovare un giocattolo di
legno.
A pranzo terminato mentre gli adulti, allegri dopo
aver bevuto qualche bicchiere in più se la raccontavano, noi scorrazzavamo per
il giardino in assoluta libertà, seguiti da Silvio, il cagnolino. Gli alberi da
frutto, secondo le stagioni, erano un dolce invito e spesso salivamo tra i rami
meno alti a coglierne i frutti. Sul limitare del giardino, in fondo e quasi
abbandonato, c’era un piccolo bosco, umido e ombroso e qui era il nostro mondo
fantastico, dove tra rami di noccioli gli uccellini cantavano indisturbati, la
luce filtrava tra le foglie ed era tutto avvolto in un alito di mistero che ci
trasformava in fate e folletti, finché il richiamo dei genitori ci riportava
alla realtà.
Il viaggio di ritorno era quasi un’incognita
perché poco dopo essere saliti sul tram che ci riportava a Milano, con il buio
e lo sferragliare delle rotaie, ci addormentavamo stanche ma felici della
nostra bella giornata trascorsa nientemeno che a Legnano.
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