Intervista a Leonardo Caffo
Per chi volesse conoscere meglio il pensiero del filosofo Leonardo Caffo:
"I dati di per sé non significano nulla
se non c'è qualcuno in grado di interpretarli. La scienza produce tonnellate di
dati, ma gli interpreti dei dati sono gli umanisti". Non ha dubbi Leonardo
Caffo, filosofo, pensatore e autore di diversi libri che toccano argomenti
relativi all'ambiente e alla sostenibilità, quando gli domandiamo se c'è ancora
posto per i filosofi come lui in un momento in cui la parola d'ordine sia, da
Greta in giù, in ambito ambientale, ma anche nel settore sanitario è "dobbiamo
fidarci della scienza”.
Sembra che solo gli scienziati siano titolati a parlare e a
indirizzare i comportamenti collettivi. Che la nostra salvezza come singoli e
come specie sia nelle mani dei tecnici. Che ruolo può avere un filosofo su
questi temi, quale contributo può dare?
"Sono completamente contrario a questa visione. In realtà
il cambiamento generale delle cose non è in mano alla scienza, ma è in mano
alla scienza alleata alle discipline umanistiche. Nello specifico, nella
questione ecologica, gli interpreti dei dati sono i filosofi, soprattutto
quelli specializzati nelle questioni morali, politiche o di sociologia
generale. Il fatto che noi sappiamo quanti e quali processi siano più inquinanti,
meno inquinanti, o da dove derivino le emissioni non ci dice niente su cosa
significa interpretare i cambiamenti.
È chiaro che poi bisognerebbe mettersi d'accordo su che cosa
significa filosofia. Se la filosofia è dire quello che ti passa per la testa
allora no, ma ci sono fior fiore di filosofi che hanno trasmesso l'importanza
dell'etica normativa, della filosofia morale, dell'altruismo efficace. È a loro
che dobbiamo guardare nel momento in cui la scienza ci dà dei numeri. I numeri
non sono nient'altro che numeri, sono le immagini che abbiamo dei numeri che
diventano interessanti per noi”.
Recentemente ha scritto una Lettera al futuro, chiamata
''L'anno che vorrei, l'anno che verrà'', in cui scrive tra l'altro:
"Vorrei un anno senza emissioni, avremo un anno con migliaia di tonnellate
di CO2 emesse". Introduce il tema dalla distanza tra quello
che sappiamo di dover fare e quello che in realtà facciamo. Che cosa si porta dietro
dal 2021 e quali sono le speranze per il prossimo anno?
"Mi porto dietro da un lato la sempre più urgente
possibilità di mettere le questioni climatiche nell'agenda. Dall'altro però una
scarsissima capacità di comunicarle con la dovuta urgenza concettuale. Per
esempio, saper vendere la complessità della questione, le interrelazioni il
fatto che anche cose che ci sembrano spuntate dal nulla come la pandemia
derivano dal nostro cattivo rapporto con gli altri animali, da come non
riusciamo a ridimensionare le infrastrutture.
Mi porto dietro un po' di tristezza perché mi sembra che siamo
ancora qui a discutere di evidenze ovvie, come se mettere o no tasse sulla
plastica, o sulla produzione di inquinanti da parte di aziende non ecologiche.
Penso che molti dei risultati dell'ultima conferenza sul clima siano stati
estremamente deludenti, e d'altro canto tutto quello che dovremmo fare per
cambiare riguardo agli indicatori dello stato di salute del pianeta rispetto
alla nostra coesistenza è evidente, dal cambiamento della nostra alimentazione
verso una dieta vegetale, alla fine della produzione di combustibili fossili,
al cambiamento radicale della nostra capacità di movimento attraverso aeroplani…
Quindi se di positivo c'è l'urgenza oggi più chiara per cui
nessuno fa niente se non è in una cornice climatica, dall'altro lato c'è ancora
troppa retorica, troppa poca presa sul serio sul fatto che l'ecologia è un
pensiero estremamente radicale e rivoluzionario e noi dovremmo cambiare
sostanzialmente il 100% delle nostre azioni, e non agire in un generale
greenwashing.
Per il 2022, quindi, spero che si prenda un po' più sul serio
la riflessione filosofica e scientifica sull'ecologia e un po' meno quella
normativa, che ci prende un po' in giro perché la transizione
ecologica è impossibile per esempio insieme alla transizione digitale: il
digitale è uno degli strumenti più inquinanti di cui disponiamo, ma di questo
si parla ancora pochissimo. Delle vere, grandi cause di inquinamento climatico,
il digitale, la carne ecc. si parla troppo poco. Dobbiamo migliorare”.
Ha una figlia piccola. Come pensa che sarà il mondo quando
lei avrà la tua età, tra una trentina d'anni? Cosa vorrebbe lasciarle?
"Mia figlia ha quasi due anni e non metterei la mano sul
fuoco che tra trent'anni il mondo assomigli a quello che pensiamo noi. Ci sono
stati dati 20 anni per invertire la rotta, ma abbiamo dati prescrittivi e
descrittivi che vanno in collisione, in altre parole sappiamo che cosa dovremmo
fare ma sappiamo anche che cosa faremo, e le due cose sono in contraddizione. E
non si tratta di contraddizioni 'facili', ma contraddizioni appunto ancora una
volta normative. Cioè non c'è nessun accordo su 'ciò che si deve' e 'ciò che si
fa'. E come se sapessimo che dobbiamo somministrare una terapia al paziente ma
non gliela facciamo, anzi gli facciamo la terapia opposta.
Penso che mia figlia come tutti i piccolissimi sia davanti a
un bivio: questo sistema così come lo abbiamo pensato deve collassare, prima
collassa meglio sarà per loro. È paradossale, radicale, ma d'altronde un
filosofo non è un politico, non è uno scienziato e talvolta ha il lusso della
verità”.
Ha scritto molti libri che toccano temi di ambiente ed
ecologia. L'ultimo, "Quattro capanne", tratta di semplicità, di
ritorno a una vita più semplice. Questo contrasta con il modello che ci viene
proposto tutti i giorni. Posto che tornare 'nella capanna' è una cosa che non
tutti possono permettersi, quale può essere una semplicità 'sostenibile', sia
in senso ambientale sia in senso di 'sopportabile' per le nostre abitudini e la
nostra cultura?
"Ovviamente la capanna è una metafora, anche se quelle
di cui parlo nel libro sono realmente esistite. Ha a che fare con l'idea che
purtroppo il futuro non sarà solo il tanto simpatico less is more, a cui ci ha
abituato la speculazione architettonica, ma che togliere sarà molto più importante
che riempire e saremo più felici, più ricchi e avremo progresso sulla base di
quante saranno le cose di cui riusciremo a fare a meno, e non sulla base di
quante cose avremo. Perché il sistema sta collassando da un pezzo,
basta guardare al costo dei materiali, al prezzo di una risma di carta, a come
sono aumentati i costi della materie prime.
"È
tutto già qui. La semplicità è la semplificazione della filosofia, cioè di
quante e quali cose abbiamo davvero bisogno. Anche dei bisogni secondari, non
parlo solo di bisogni primari. Una cultura che riuscirà a insegnare il
minimalismo a tutto tondo sarà una cultura in totale accordo col progresso,
anche tecnologico. Non c'è uno iato tra queste due cose, ma l'idea
dell'accumulo è finita. Lo abbiamo già visto con lo sharing, per cui la
proprietà privata è passata in secondo piano, è iniziata la proprietà collettiva
e di condivisione. La semplicità è il paradigma essenziale per cercare di
portare avanti l'ecologia. Perché l'ecologia oggi non significa soltanto
rispettare l'ambiente, ecologia significa anche avere meno cose, una lista
limitata di beni essenziali, avere la capacità di stare nel proprio ambiente
senza spostarsi in continuazione, è un programma di ricerca”.
Un filosofo da leggere per il 2022
"Graham Priest,
per imparare a ragionare”.
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